ETA, organización socialista revolucionaria vasca de liberación nacional, quiere reconocer mediante esta declaración el daño que ha causado en el transcurso de su trayectoria armada, así como mostrar su compromiso con la superación definitiva de las consecuencias del conflicto y con la no repetición.
Il messaggio che il quotidiano Gara ha pubblicato oggi è storico; una ammissione del danno causato, la richiesta di perdono alle vittime, l’assunzione di responsabilità di una organizzazione armata che ha sempre rivendicato i propri attentati, una parola finale sulla necessità della riconciliazione.
di Angelo Miotto
Il messaggio di Eta, il canto del cigno prima di annunciare la smobilitazione definitiva – dicono nei primi giorni di maggio e grazie a un lavoro certosino del GIC, il gruppo internazionale di contatto – è diretta al popolo basco, ed è stata accolta con gli scudi alzati dalla stampa e politica spagnola. Non poteva andare altrimenti, perché in ballo ora c’è molto di più di una stagione del Novecento che si appresta a scomparire: l’incapacità della politica di trovare soluzioni politiche oltre a quelle repressive.
Il gioco di ruoli, nei fenomeni della lotta armata, va oltre le regole della logica e della convivenza civile: quando una frattura non si ricompone e c’è chi imbraccia le armi per ottenere un risultato politico, quella che si apre è una guerra, un conflitto spesso asimmetrico, che si gioca sulla carne viva della società. E’ stato così, la traiettoria si è chiusa con troppo ritardo, ma non c’è un solo responsabile. Non ci sono solo i ‘cattivi’ in questa storia, così come vorrebbero farci credere le nobili penne della stampa mainstream spagnola. La stessa che festeggia processi a politici catalani accusati di sedizione e ribellione (!) con anni di carcere pronti a piovere in sentenze esemplari.
Il comunicato di Eta si divide in diversi paragrafi. Si chiede scusa per aver causato sofferenza innanzi tutto ai baschi e a chi ha dovuto soffrire, per l’esistenza stessa della lotta armata; torture, morti, carcere, deportazioni, esilio. Si mostra rispetto e si riconosce il danno causato, parlando di chi è morto ingiustamente, di persone coinvolte per casualità, di chi ha sofferto dolore e lutti per l’esistenza del conflitto.
Il testo è ben scritto, ragionato, le parole sono scolpite, il tono è genuino, quando si chiede scusa lo si chiede davvero. Ma Eta, comprensibilmente, non si limita a questo e aggiunge un appello: riconosciamo tutti il danno che abbiamo causato.
Il riferimento è alla guerra sucia, il terrorismo di stato spagnolo, pagato con fondi neri del ministero degli interni e firmato Gal, con una scia di morti negli anni Ottanta, con torturati che sono morti, con persone che sono scomparse per riapparire cadavere. Di quei morti non si è assunto nessuno la responsabilità. Ufficialmente, perché storicamente, invece, ormai i passaggi sono chiari, così come è chiaro che nessun ‘democratico’ vuole riconoscere che in più di una occasione per combattere il ‘terrorismo’ sia è ricorso al terrorismo, gli occhi dello stato di diritto sono stati tappati da mani insanguinate e senza scrupoli.
La risposta spagnola e dell’ormai famigerato governo del Partito popular, non si è fatta attendere. El Pais ieri sera titolava che il ministero degli interni manterrà il regime carcerario più duro per l’88 percento dei prigionieri che rimangono nelle carceri spagnole. C’è da aggiungere che è ancora in vigore la dispersione carceraria: significa che 300 prigionieri politici sono ospitati in 64 carceri (fonte: Gara) e solo 25 reclusi sono all’interno di carceri del Paese Basco o in Navarra (Fonte: El Pais).
Il messaggio di Eta è stato accompagnato da una Nota explicativa. Eta spiega il perché di questo passaggio e aggiunge in uno dei paragrafi un particolare politico importante: non c’è stata una commissione della verità, come viene prevista in diverse mediazioni di conflitti. E questo compito è toccato direttamente alla società, che si è organizzata per affrontare il grande tema della riconciliazione. Questo fatto è una delle grandi sconfitte di questo finale del nodo basco e investe direttamente le autorità e le istituzioni spagnole, incapaci di gestire un finale ordinato, capaci solo di grandi parole di principio, e nessun intervento di sostanza politica diretto verso chi ha sofferto sessant’anni di conflitto armato: la società, basca e spagnola.
Infine un accenno di Eta alla politica incapace di leggere le priorità perché ostaggio della ‘batalla del relato’, cioè di come verrà raccontata questa storia, di come si sedimenterà dentro il Paese Basco, nella storia spagnola, europea. Dove l’Europa è ancora una volta grande assente, infrastruttura vuota e senza potere né volontà.
La mediocrità dell’elettoralismo che specula anche su morti e conflitti armati, ora senza pistole e bombe da anni, si concentra in una serie di ricostruzioni partigiane e di volontà di rimozioni che si scontrano inevitabilmente con il racconto degli avversari. Eppure sappiamo che, anche in presenza di un racconto che sarà per forza di cose differente, sarà necessario trovare un assetto comune su alcuni snodi di questa lunga tappa che è rimane incisa nelle carni di tanti, di troppi. Questo è il grande tema di futuro, è anche un pericoloso fuoco sotto la cenere, se non si sarà capaci di trovare una chiave di dialogo, rispetto pur nella diversità di racconto. Ora gli occhi sono puntati verso il primo fine settimana di maggio.
Anche se come scrive Eta: “Di fatto la sofferenza imperava prima che nascesse Eta e ha continuato anche dopo l’abbandono della lotta armata da parte di Eta. Noi generazioni posteriori al bombardamento di Gernika ereditammo quella violenza e quel lamento e corrisponde alla nostra generazione far sì che le generazioni che verranno possano avere un futuro diverso”.