La Colombia, tra processo di pace ed elezioni
di Lorenza Strano
Un viaggio virtuale nella Colombia che resiste. Ogni episodio darà voce a uno dei municipi de Los Montes de Maria, in cui i sopravvissuti al logorante conflitto parlano di sé, dei loro talenti, della loro resilienza.
Video, foto e audio cercheranno di tramettere l’immensa accoglienza della gente, tra scene di vita quotidiana, emergerà quel lato della storia poco raccontato, quello delle “vittime” che non si arrendono ai ricordi di dolore.
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Capitolo 4 – OVEJAS
Entrare a Ovejas da una delle tante vie della grande strada dà l’idea di un abbandono istituzionale, nonostante sia passato qualche anno dalla fine del conflitto, le strade danno ancora la sensazione che lascia una tempesta o una carestia. L’assenza di controllo, il caos e l’anarchia sembrano regnare. Un secondo sguardo è necessario per scoprire la storia dietro le cose.
Un albero che funziona come un indirizzo, ci vediamo al palo di caucho, un incrocio dove i viaggiatori incontrano trasporto, dove la gente si dà appuntamento o dove semplicemente trova un po’ d’ombra. Se non lo conosci, non puoi dire di essere stato ad Ovejas.
Famoso per l’Università della gaita e il festival di ottobre, tra le sue vie passa sempre gente. La piazza è un andirivieni continuo e davanti la chiesa principale alcune sere si gioca a bingo in un tranquillità quasi utopica.
Chi compra la pizza, chi una patata ripiena al chioschetto di Ugo, mentre i bambini si divertono sulle giostre che se piove si allagano.
Eppure quella pioggia è utile. Ovejas territorio ricco d’acqua lascia troppi rubinetti secchi a causa di un’amministrazione fallimentare nonostante l’acqua passi esattamente sotto la chiesa, le scuole, le case.
Le strade sono una corsa ad ostacoli, alcune sono fatte interamente di terra. Costeggiate da abitazioni minime che nelle parti più dimenticate sono solo di barreque. Tra quelle case vivono i sopravvissuti, tra difficoltà e speranza.
La Red de Jovenes
Non sono ragazzi speciali. Sono giovani troppo normali che vogliono cose normali. Sviluppare il proprio territorio, poter rimanere lì dove hanno cuore e anima. Nei monti di Maria. Diventano speciali perche da qui i giovani vanno via o vivono male e nella disillusione.
La maggior parte non ha possibilità di studiare, figli di contadini ridotti al lastrico, a cui non resta che trasformarsi in mototaxisti.
La rete vuole opportunità, immaginarle, pensarle e crearle. Loro che hanno passato l’infanzia nascosti sotto il letto per paura di spari o dei violenti che seminavano terrore, l’ultima generazione del conflitto racconta una Ovejas distinta.
Che non si arrende, che ha un futuro, nonostante le ferite dei loro primi anni di vita e la società colombiana che li etichettava come guerrilleros.
Non lo sono adesso e non lo sono mai stati, vogliono dimostrare al mondo che qui si può venire, vivere e costruire e loro stanno costruendo mettendoci la faccia. Ogni sera si riuniscono a casa di Neiro, ascoltano musica, ballano, fantasticano su idee d’impresa che vogliono sviluppare insieme.
Attraverso lo sport, la musica cercano di attirare i loro coetanei, mantenere un’offerta culturale, sociale per allontanarli dalla droga e restituirgli una tela su cui dipingere uno scenario distinto.
A fine serata passano al patio che loro chiamano “degli accusati” per raccontarsi nella loro intimità.
Le ambizioni sono tante: vogliono creare cultura diversa attorno a temi importanti come la discriminazione di genere, il rispetto della comunità LGBT, distruggere gli stereotipi, creare una società senza disuguaglianza.
Lì nell’oscurità il rapper del gruppo improvvisa canzoni che parlano di un paese che non offre molto ma che vuole migliorare il suo presente. Gli hanno detto “Seba qui non concluderai niente” ma qui è dove si sente bene, dove vuole vivere.
Alla gente de Los Montes che ha sempre resistito vogliono lasciare un messaggio di ringraziamento per le lotte, le battaglie, la forza e il perdono. Di pagine ne hanno scritte tante e ancora tante da scrivere toccano alla generazione della pace.
Las Mujeres de Ovejas
In questo piccolo municipio si possono incontrare delle grandi donne. Donne che hanno avuto la forza di smontare e rimontare la propria vita per darne una sicura ai propri figli, che hanno passato anni tra i lavori più umili in mezzo a mille difficoltà che la violenza creava. Vite segnate dal terrore, donne che non hanno mai smesso di essere madri, figlie, professioniste al servizio della comunità.
C’è Mariela, che da piccola si arrampicava sugli alberi perché voleva toccare il cielo, che nel cuore della notte scappò sola da Salitral con i suoi bambini per metterli al sicuro.
Negli anni ha resistito a un dolore che rischia di soffocarla ma che non le ha mai tolto la voce per gridare i propri diritti. Ancora affezionata al posto che ha dovuto lasciare e dove ritorna appena le è possibile, una vita da desplazada che mai abbandona gentilezza e sensibilità.
Ciò che prepara da mangiare lo divide con tutti coloro che nel quartiere hanno bisogno. Il rito del suo mote de queso è un tranquillizzante naturale per le anime che in questi monti hanno sofferto.
C’è la figlia Saray che sogna di poter incidere sul futuro della sua terra, difendendo i diritti dei più deboli. Il senso della giustizia la accompagna nel suo peregrinare tra i monti, tra una formazione e un’altra. I fantasmi del passato a volte la tormentano ma la forza di rompere etichette vince su tutto.
Tira avanti il piccolo negozietto che nella vita da desplazados è diventata l’unica fonte di reddito. Ogni tanto le torna in mente la scena orribile nel patio davanti casa, in cui i guerrilleros esposero la testa di un prete che si opponeva alla propaganda e lei ebbe il coraggio di chiedere perché. Nonostante i traumi non ha piú abbandonato la sete di sapere.
C’è Anabelle, si descrive come professionale del diritto che sempre ha vissuto nella zona rurale di Ovejas.
Appassionata di politica e questioni sociali, le piacerebbe cambiare le cose attraverso il potere.
Durante il conflitto questo senso di giustizia la portó a diventare ispettrice di polizia. Passò per una tappa molto violenta, divisa tra guerrilla e paramilitari.
Grazie al suo essere obbiettiva è riuscita a sfuggire alle accuse di cui era costantemente vittima in quanto forza pubblica.
L’amore per politica era così tanto che si candidò come sindaco negli anni piú duri. Ne parla come una esperienza meravigliosa in cui salvò la vita grazie all’aver perso la corsa all’alcaldia. Adesso lavora al comune, assistendo chiunque bussi alla sua porta.