di Angelo Miotto
Il 3 maggio 2018 sarà la data della fine, dello scioglimento, smantellamento dell’organizzazione armata. Un video, due voci storiche, un comunicato.
Declaración final de ETA al Pueblo Vasco
Josu Urrutikoetxea, miembro de las delegaciones de ETA para un diálogo resolutivo https://t.co/1wfX4EgJJL pic.twitter.com/fgclbNfx8f— naiz: (@naiz_info) 3 maggio 2018
È la fine di Eta. Una fine che viene raccontata in un crescendo di notizie e comunicati, anticipazioni di stampa che hanno condizionato la scaletta degli eventi previsti a Ginevra, al centro Henry Dunant, dove è stata certificata la genuinità del comunicato e delle parole, nette, che vi sono scritte. In queste ore i media baschi e spagnoli stanno stratificando parole, reazioni, prese di posizione, dichiarazioni. Sono importanti e danno, o cercano di togliere, il carattere storico di questa giornata che è sicuramente storica e che chiude definitivamente la porta di una storia nata e cresciuta in pieno Novecento, per smarrirsi e logorarsi sul finire del secolo e poi fino ai primi anni 2000.
Dietro le parole, le lettere e i video, i tweet e gli speciali che si affastellano con sottolineature di parte e partigiane, c’è un dato che va ricordato subito ed è quello della carne, del sangue e delle ossa. Le vittime.
Le vittime, tutte, di questo conflitto iniziato nel 1959, il primo morto del 1968, con un pallottoliere macabro e doloroso, fatto di uomini e donne, uccisi o torturati, sequestrati o vittime della ‘guerra sucia’, dove la conta dei cadaveri, improbabili e inneccessarie leggi del taglione non rendono giustizia al dolore delle vittime.
Il rispetto del dolore e, però, le responsabilità diverse: di chi ha iniziato la lotta armata, in una dittatura sanguinaria, con rivendicazioni e obiettivi politici, utilizzando la violenza politica. E chi ha utilizzato le armi dello stato di diritto spesso violentando il diritto stesso, nel forzare le regole garantiste per una lotta senza quartiere durata decenni.
Non c’è equidistanza, in questo contesto, ma la strategia della condivisione del dolore, che ha allargato il campo dei bersagli di Eta e che ha avuto come risposta la repressione su larga scala di una parte della società basca, ha condotto negli anni a una furia capace di partorire, senza requie, solo odio.
Le armi che tacciono dal 2011 oggi sono ormai un ricordo, perché dal 3 di maggio 2018 di Eta si parla al passato. Resta il vuoto di famiglie che piangono vittime, restano 300 prigionieri politici nelle carceri, quasi tutti dispersi lontano dai propri domicili, resta la ferita ancora aperta, resta il percorso già iniziato della riconciliazione. Ma resta, e farà discutere per diverso tempo, quella che viene chiamata la ‘batalla del relato’ e cioè capire come verrà raccontata questa storia.
Il comunicato finale.
Eta smantella tutte le sue strutture, ha terminato il suo ciclo storico, insiste in concetti che abbiamo letto già nella lettera fatta trapelare dalla stampa diretta ad agenti politici e sociali baschi: il conflitto pre-esisteva, il conflitto continuerà anche senza Eta, una soluzione non è stata ottenuta.
È il fallimento del progetto; le rivendicazioni storiche non sono state centrate, l’organizzazione armata non ha ottenuto nulla. Se ne va in maniera unilaterale, non c’è riconoscimento politico, non ha risolto carcere e/o amnistia per i suoi uomini e donne.
Eta si è trovata politicamente lontana dal mondo che un tempo era a suo fianco all’interno del Movimento di Liberazione Nazionale basco. L’organizzazione si scioglie e i suoi militanti contribuiranno al futuro nelle formazioni che sceglieranno, scrive Eta, con la responsabilità di sempre.
La voce che legge, quella di Josu Urrutikoetxea e quella di Marixol Iparragirre, non ha sfumature declamatorie; il tono è piano, il video è sobrio e accompagna la lettura, le critiche di chi ha voluto vedere uno show nella presenza dell’elemento filmico non reggono rispetto a quello che tutti vediamo; un prodotto semplice, senza particolari simbologie o immagini che possano far pensare a una parata finale di rivendicazione.
Molti, fra politici e analisti, in Spagna come nel Paese Basco, hanno voluto segnalare come queste ore siano mediaticamente occupate da una catena di avvenimenti costruiti per dare ampia celebrazione e solennità al momento. In realtà il comunicato, la presenza di attori internazionali e la conferenza che si svolgerà oggi a Kanbo con rappresentanze di molti politici e sindacati, dice una cosa importante che le dichiarazioni politiche non potranno mai dire ai microfoni: un attore protagonista degli ultimi sei decenni chiude la porta, dopo un processo di disarmo unilaterale e di abbandono delle azioni armate, sempre unilaterale.
Si può detestare, odiare e insultare, maledire, ma Eta è stata una presenza che ha determinato spostamenti e trasformazioni dalla sua nascita fino ai primi anni 2000. Nella società, nel quadro politico spagnolo, nella presenza internazionale.
Sono caduti governi, si è persa la verginità democratica di stato nel terrorismo anti-Eta, pagato con fondi neri dal ministero degli interni spagnolo, si è perso – e vergognosamente – il diritto, nelle torture inflitte nei calabozos della guardia civil, negli stupri, nelle finte esecuzioni. Eta è stata per anni e anni la prima preoccupazione censita fra gli spagnoli dagli istituti di ricerca.
Oggi certa politica rivendica la vittoria della democrazia sul ‘terrorismo’, con bocche di onorevoli politici che di democratico hanno davvero poco. Si chiusero giornali e radio, si sono incarcerati giornalisti, nella guerra totale a Eta che comprese, di fatto, ampie fasce del nazionalismo, anche quello certamente non radicale.
Che cosa si aspettassero politici spagnoli o le penne pronte a indignarsi per un finale mediatico, peraltro in cui si riconosce un fallimento, non si capisce bene. Spesso l’impressione è che si prenda partito senza nemmeno leggere i fatti. Non avrebbe dovuto esistere nemmeno, si dice negando la realtà. Meglio allora leggere dal penultimo comunicato una frase più significativa: avremmo potuto terminare la nostra traiettoria molto prima.
Il futuro.
Sulle pagine web scorrono prodotti più o meno buoni, o mediocri, di ricostruzione. I numeri delle vittime causati da pistole e bombe sono impressionanti: 828, migliaia di feriti. Meno conosciuti i numeri dei torturati in questi decenni , perché non si deve essere ipocriti, quando si tiene allo stato di diritto. Lo studio lincato è del governo basco, e dice che il 73% delle torture censite avvenne dopo la morte di Franco.
Due situazioni diverse che non si fronteggiano in classifiche impossibili, ma che sono la dimostrazione evidente di come il futuro potrà solo passare da una riconciliazione che – avvisava la stessa Eta in uno degli ultimi comunicati – è resa ancora più difficile dal fatto che i governi spagnolo e francese non sono entrati in dinamiche di processo di dialogo, quindi non esistono commissioni per la Verità, così come quelle che in diversi altri conflitti sono state utili e dirimenti per arrivare a creare un clima di dialogo costruttivo a livello sociale.
La risposta ai tanti quesiti che si aprono ora è dentro la società basca, le sue dinamiche, un patrimonio di storia proprio e una capacità di reagire che è stata, in sessant’anni di morti, feriti, bombe, carcere e repressione di polizia, altissima. Lasciamo passare la piena delle parole, non resterà che guardare ai fatti.
AGGIORNAMENTO:
Il 4 maggio a Kanbo, nei paesi baschi francesi, si è svolta una conferenza internazionale che ha certificato lo smantellamento di Eta. La dichiarazione in diverse lingue qui:
https://www.naiz.eus/media/asset_publics/resources/000/495/025/original/20180504-arnaga-adierazpena.pdf
vedi anche:
https://elpais.com/elpais/2018/05/02/album/1525272030_001751.html?rel=mas#foto_gal_10
http://www.deia.eus/2018/05/03/politica/euskadi/una-pagina-negra-de-la-historia-de-euskadi