Nel summit di ieri a Sofia l’Ue ha ribadito la prospettiva europea e nuovi investimenti per i Balcani occidentali, ma nessun impegno preciso su nuovi allargamenti. Ottimismo sui rapporti Grecia-Macedonia, stallo sulla normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina
di Francesco Martino, tratto da Osservatorio Balcani Caucaso
Prospettiva europea sì, passi concreti verso l’allargamento no. Il summit tra Unione europea e Balcani occidentali, voluto a Sofia dal governo bulgaro a culmine del suo primo storico semestre di presidenza dell’Ue, si è chiuso col rinnovato impegno europeo verso la regione, ma senza fuochi d’artificio.
La dichiarazione finale sottoscritta nella capitale bulgara si sofferma su interconnettività, sicurezza e investimenti, ma tralascia qualsiasi riferimento esplicito a integrazione e allargamento verso i Balcani occidentali. A dispetto delle iniziali speranze degli organizzatori bulgari, l’annuncio della possibile apertura del processo negoziale per Albania e Macedonia è stato rimandato (forse) al Consiglio europeo del prossimo 28 giugno, mentre Serbia e Kosovo non hanno fatto registrare sviluppi significativi nel tentativo di rimettere in pista il faticoso “processo di normalizzazione”, ormai al palo da anni.
La notizia più positiva è venuta dall’incontro tra i premier di Grecia e Macedonia, Alexis Tsipras e Zoran Zaev, che hanno annunciato di aver raggiungo un accordo di massima sulla questione del nome, che da più di vent’anni avvelena le relazioni bilaterali, escludendo di fatto Skopje dalle speranze di integrazione euro-atlantica. La sostanza dell’intesa è rimasta però segreta e, prima di parlare di un superamento definitivo delle divergenze, sarà necessario un confronto politico all’interno dei rispettivi paesi, che si preannuncia tutt’altro che scontato.
Per la Bulgaria, e soprattutto per il premier Boyko Borisov, nonostante il carattere interlocutorio del summit, l’incontro ha rappresentato un successo. Sofia ha dimostrato di essere in grado di condurre la sua presidenza dell’Unione senza incappare in gaffe evidenti, ed ha accumulato un certo grado di credibilità da spendere sia sul tavolo europeo che nei confronti dei vicini balcanici, proponendosi come interlocutore necessario e utile per indirizzare il destino della regione.
Europa e Balcani occidentali: un futuro senza alternative, ma lontano
“Non esiste un piano B per i Balcani occidentali: questa regione è parte integrante dell’Europa”. “Sostengo la necessità di ancorare i Balcani all’Europa. Ma sono convinto che dobbiamo guardare ad ogni nuovo allargamento con molta prudenza e rigore”.
La prima dichiarazione è del presidente dell’Ue Donald Tusk, la seconda del primo cittadino francese Emmanuel Macron. Insieme, le due esternazioni riassumono efficacemente il messaggio emerso dal summit di Sofia. L’Europa ha ribadito l’impegno di principio preso già a Salonicco nel 2003, di vedere cioè tutti i Balcani come parte integrante del proprio progetto a lungo termine. L’Ue e i suoi principali stati membri, però, non prendono nessun impegno preciso su tempistica e modalità di integrazione.
Se la recente pubblicazione della nuova strategia per i Balcani occidentali da parte della Commissione europea aveva riacceso le speranze di una road-map concreta per la regione (con la data del 2025 affiancata al possibile ingresso di Serbia e Montenegro), dall’incontro di Sofia tali speranze escono di fatto ridimensionate. “Oggi non parliamo di allargamento, ma di una prospettiva europea per i Balcani occidentali”, ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, la leader più cercata ed ascoltata nelle sale dell’enorme Palazzo della Cultura di Sofia, sede del summit.
Con le crescenti preoccupazioni legate alla percepita ingerenza di altri attori internazionali, come Russia, Cina e Turchia, l’Ue cerca quindi di riaffermare il proprio primato in un’area strategica per l’Unione. Il vocabolario è quello della geopolitica: nel suo intervento il presidente del parlamento europeo Antonio Tajani ha menzionato il “controllo dell’immigrazione illegale” e “la lotta al terrorismo” come principali campi d’interesse dell’Unione nel proprio dialogo con i Balcani occidentali.
In perenne attesa delle sempre rimandate riforme strutturali, sia nei Balcani che nell’Ue, il piano è quello di ancorare la regione con una serie di investimenti volti a migliorare l’interconnettività, sia infrastrutturale che di comunicazione, sia all’interno della regione che tra i Balcani e il resto dell’Ue. Per l’allargamento vero e proprio, però, non c’è fretta.
L’ottimismo di Zaev, il pessimismo di Vučić
“Io e Alexis ci siamo fermati su un nome che, credo, sia accettabile per entrambe le parti. Ora però questa proposta deve essere valutata dalle istituzioni e dagli attori politici di entrambi i paesi”. Con queste parole il premier macedone Zoran Zaev ha annunciato il passo in avanti più significativo raggiunto ieri a Sofia.
Zaev e il suo omologo greco Alexis Tsipras hanno quindi fatto un passo molto importante per mettere fine ad una delle dispute più controverse della regione, quella del nome della Macedonia, che divide i due paesi dal 1991 e che fino ad ora ha impedito a Skopje di entrare nella Nato e di iniziare i negoziati di adesione all’Ue, nonostante il paese sia un candidato membro dal 2005.
Parlare di una soluzione definitiva è ancora prematuro: la proposta di nome, tenuta segreta, deve ora passare al vaglio dell’approvazione politica sia in Grecia che in Macedonia, un passaggio necessario e per nulla scontato.
Zaev però non ha nascosto il suo ottimismo. “Spero che si possa arrivare con un accordo sottoscritto già al Consiglio europeo di giugno. Se non dovesse succedere, continueremo a lavorare”, ha dichiarato sorridente alle telecamere dei moltissimi giornalisti accorsi alla sua conferenza stampa.
Di umore opposto invece le dichiarazioni del presidente serbo Aleksandar Vučić. Nonostante la stretta di mano con Hashim Thaçi, Vučić ha espresso profondo scontento sull’attuale stato di implementazione degli accordi di Bruxelles del 2013 tra Serbia e Kosovo. “Vi sfido a trovare un solo impegno non rispettato da parte nostra”, ha dichiarato Vučić mostrando ai giornalisti il testo degli accordi. “La nostra controparte, invece, non ne ha implementato nemmeno uno. Dov’è l’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo?” ha chiesto Vučić, dichiarandosi piuttosto pessimista sulla ripresa del processo di dialogo tra Pristina e Belgrado.
L’Italia e l’allargamento
Anche il premier italiano uscente, Paolo Gentiloni, ha parlato del vertice di Sofia definendolo “un passo di un lungo percorso”. Gentiloni ha ribadito lo storico sostegno dell’Italia all’integrazione europea dei Balcani, regione con cui l’Italia ha un “rapporto speciale” basato su storia, economia e geografia.
“Per l’Italia i Balcani sono importanti come partner economico, ma non solo”, ha aggiunto Gentiloni. “È evidente che un vuoto geopolitico europeo sarebbe riempito presto da qualcun altro”.
In chiusura il premier italiano ha commentato un possibile cambio di rotta sul sostegno all’ingresso dei Balcani da parte di un governo Lega nord-Movimento 5 Stelle. “Non sta a me commentare le politiche di un futuro nuovo esecutivo”, ha detto Gentiloni. “Credo però che per l’Italia non essere a favore dell’allargamento sarebbe paradossale”.