India, sulla pelle delle donne

Lo stupro tra violenza di genere e strumento del conflitto confessionale

di Maria Tavernini

Una bambina di otto anni è stata sedata, stuprata in gruppo per una settimana e quindi lapidata a morte in un tempio vicino Kathua, una zona a maggioranza hindu, nell’altrimenti musulmano Jammu e Kashmir, in India settentrionale.

Il fatto, avvenuto a inizio gennaio, è balzato sulle prime pagine dei quotidiani indiani e internazionali solo ad aprile, quando l’India è tornata in piazza, scossa dalla barbarie dell’ultimo episodio di violenza, parte di quella che è percepita come una nuova ondata di stupri che ha avuto per vittime bambine sempre più piccole.

La violenza delle proteste è stata paragonata a quella dei tumulti seguiti allo stupro in gruppo di una studentessa su un bus a Delhi nel dicembre del 2012, che ha segnato uno spartiacque nel paese contribuendo a portare alla luce del sole gli orrori di un crimine fin troppo diffuso.

La bambina apparteneva a una tribù di pastori nomadi di fede musulmana, la comunità Bakarwal, che porta i propri capi a pascolare nel più mite Jammu e per questo è odiata dalla popolazione locale (di fede induista). Era scomparsa da una settimana quando è stata ritrovata in un campo a un chilometro dal villaggio.

L’arresto degli otto colpevoli, tutti di fede induista, ha scatenato per giorni violente proteste in Jammuda parte di affiliati al neonato gruppo Hindu Ekta Manch (Forum per l’unità hindu), avvocati ed estremisti della destra ultrainduista in difesa degli accusati, alle quali hanno preso parte anche esponenti locali di spicco del Bharatiya Janata Party (BJP), il partito del premier Narendra Modi, che si sono in seguito dimessi.

Dalle indagini è emerso che gli otto avrebbero agito su indicazione di un ex funzionario dell’amministrazione locale, secondo il quale bisognava dare una lezione alla comunità nomade dei Bakrawal per allontanarli dalle loro terre.

Le proteste in tutto lo stato hanno spinto la famiglia della vittima a chiedere che il caso fosse trasferito lontano dal distretto di Kathua, dove l’atmosfera era infiammata dai supporter degli accusati.

Modi, come spesso è accaduto nei casi delicati che toccano l’opinione pubblica interna e internazionale, è inizialmente rimasto in silenzio per poi, durante un discorso in un’università londinese, condannare l’uccisione di un’altra “figlia d’India” assicurando che giustizia sarà fatta, senza però mancare di accusare i suoi detrattori di voler politicizzare l’accaduto. “Uno stupro è uno stupro”, ha detto.

In uno stato come il Kashmir, l’unico a maggioranza musulmana e teatro di un’annosa guerra a bassa intensità tra il governo centrale e i militanti separatisti, la tensione fra la comunità musulmana e quella induista è sempre pronta a riesplodere. E il peso politico dello stupro, qui, assume un valore ancora maggiore.

Un altro episodio recente ha occupato le prime pagine dei giornali: una ragazza di 17 anni aveva denunciato di essere stata stuprata a Unnao, in Uttar Pradesh. L’accusato, Kuldeep Singh Sengar, è un membro dell’assemblea legislativa dello stato nelle file del BJP.

La ragazzina, per spingere le autorità all’azione, ha tentato di immolarsi sotto la residenza del governatore, il monaco ultrainduista Yogi Adityanath – noto per aver incitato l’odio intercomunitatrio nello stato –, ma la polizia ha arrestato suo padre che è poi morto in carcere, pestato a morte dai supporter di Sengar.

Venuti alla luce più o meno nello stesso periodo, i due crimini hanno portato a manifestazioni congiunte in tutto il paese con sit-in di protesta a Delhi, Mumbai, Kolkata e Bangalore.

Da più parti la società civile ha chiesto che fossero inasprite le pene per gli stupratori, soprattutto nel caso in cui le vittime siano bambine, mentre Swati Maliwal, a capo della Delhi Women Commission, ha iniziato uno sciopero della fame per chiedere l’inasprimento delle pene.

In una decisione di pancia, lo scroso 21 aprile, il governo guidato da Narendra Modi ha votato un ordine esecutivo che prevede la pena di morte per gli stupri di bambine minori di 12 anni. Una misura che l’opinione pubblica ha accolto con favore, ma che giuristi e attivisti temono avrà ben pochi risultati positivi.

Già dopo il caso “Nirbhaya” di Delhi nel 2012, sono stati istituiti tribunali “rapidi”, è stato riformato il codice penale con una definizione più ampia di stupro.

Nonostante la pena per gli stupri che portano alla morte o disabilità permanente della vittima sia stata innalzata e prevista la pena di morte nel “più raro dei casi rari”, solo un caso ogni quattro si conclude con l’arresto del colpevole.

“Gli sforzi legislativi e amministrativi dovrebbero progredire e rendere il nostro sistema giudiziario più efficiente, accessibile e protettivo per le vittime”, commenta a caldo Anant Kumar Asthana, avvocato per i diritti dei minori. “Le recenti misure legislative sono incentrate sull’aumento delle pene ma la pena di morte, di per sé, non aiuta le vittime, anzi renderà difficile denunciare il reato, considerando che la maggioranza è commessa da persone note ai bambini, facendo aumentare il rischio per le vittime. I cambiamenti legislativi dovrebbero essere più informati sulla complessità di tali crimini: un approccio in bianco e nero non è mai la soluzione”.

Nel 98 percento nei casi di stupro in India, l’assalitore è un conoscente (laddove non un familiare) della vittima.

In circa il 40 percento dei casi la vittima è un minore. Anche se nella maggior parte dei casi, sostengono gli esperti, molti stupri non vengono proprio alla luce, il 12 per cento di aumento degli stupri nel 2016 è in larga parte attribuibile alla maggiore propensione delle vittime a denunciare tali crimini, grazie al discorso pubblico che ne è scaturito.

Secondo i dati del National Crime Record Bureau , NCRB, i reati di stupro ai danni di minori sono raddoppiati
tra il 2015 e il 2016, con rispettivamente 10854 e 19765 casi, mentre le statistiche per il 2017 non sono ancora disponibili.

Circa 600 accademici indiani e stranieri hanno firmato una lettera aperta che definisce gli stupri “parte di uno schema di ripetuti attacchi mirati” ai danni delle minoranze, sostenendo che le violenze siano più acute negli stati amministrati dal BJP, il partito al governo.