L’articolo è il 113, sta scritto nella Costituzione spagnola. E per la prima volta nella storia di Spagna una mozione di censura passa e determina il cambiamento del presidente del governo.
di Angelo Miotto
Adelante Pedro, con juicio, recita l’adagio manzoniano di una carozza nobile che si inserisce in un tumulto di folla e ne esce con la massima cautela. E anche nelle ultime ore spagnole Pedro Sanchez, discusso leader del Partito Socialista, dovrà manovrare con estrema prudenza, perché è diventato presidente grazie a una mozione di censura, ma non per volere di libere elezioni.
Una sorta di corto-circuito previsto dal meccanismo della mozione di censura scritta nell’articolo 113 della Costituzione del 1978. Chi la presenta e vince governa, in automatico e così è successo: adios Mariano Rajoy, travolto dagli scandali della corruzione del partito, ma non per un voto espresso dagli elettori, quanto per una iniziativa parlamentare, legittima e legale ci mancherebbe, ma pur sempre tecnica.
Viene subito alla memoria il fatto che in Catalogna sia ancora vigente l’articolo 155 della Costituzione spagnola, anche quello applicato per la prima volta nell’ottobre de 2017, dopo le botte al referendum del primero de octubre.
Sono articoli estremi, e vengono usati. Due casi diversi, eppure pare quasi sintomatico e non una semplice coincidenza che si inizino ad avverare meccanismi mai utilizzati o scarsamente utilizzati fino a ora nella vita democratica del paese.
Pedro Sanchez ha avuto l’appoggio e i consigli di Unidos Podemos, che sulla corruzione del Partido Popular ha sempre rivendicato un ruolo di grande accusatore, costante nelle richieste di chiarezza in parlamento, martellante nell’utilizzare questa caratteristica della destra spagnola nella campagna elettorale.
Senza particolare fortuna, dal momento che le due elezioni spagnole degli ultimi anni, che si sono succedute per crisi istituzionali conclamate e impossibilità numerica di formare governi, hanno sempre visto i popolari riconfermare la propria leadership, con una erosione costante, con segnali forti nei coti più territoriali, ma a livello nazionale riuscivano ancora a reggere alla violenza degli scandali e ai numeri di casi di corruzione conclamata che si sono registrati con sempre maggiore frequenza.
Ecco perché il socialista Pedro Sanchez, osteggiato dai baroni del partito, ma sostenuto dalla base, deve stare attento. E cauto. Perché arriva alla Moncloa senza la forza di un voto, con una situazione di accordo con più forze politiche che sono state demonizzate dalla destra, ma anche con i voti dei socialisti, su alcuni piani molto importanti, come il centralismo, il nazionalismo, lo stato sociale.
I partiti catalani hanno appoggiato la mozione di censura: Sanchez ha promesso che avrà un atteggiamento verso il nodo catalano ben differente da quello che ha avuto Rajoy.
Anche se, conviene ricordarlo, il Psoe era in accordo sull’applicazione del 155, la misura estrema di reazione costituzionalista spagnola che ha sottratto poteri e deleghe all’autogoverno catalano. Mai applicato prima.
I sondaggi spagnoli hanno registrato nelle ultime settimane una avanzata clamorosa di Ciudadanos, la formazione nazionalista spagnola che ha incrementato i propri consensi proprio con una politica sempre più sgarbata e accesa, sfruttando la ritrovata coesione nazionale spagnola che derivava dal tentativo frustrato dei partiti independentisti o nazionalisti catalani prima che fossero colpiti dal 155 e dagli arresti.
La disfatta politica spagnola, infatti, non è solo di Rajoy, ma anche di chi ha voluto firmare quelle misure: Catalogna e Pesi baschi stanno aprendo una breccia che potrà essere chiusa solo e ancora una volta con l’uso della violenza.
Laddove il manganello e la prigione han colpito duro o dove si è appena chiusa una stagione di cinquant’anni di lotta armata, proprio lì, su quel terreno politico, Madrid rischia grosso. Perché le istanze nazionaliste spagnoe ha ripreso a fluire forti e dimostrando come la politica del goberno della destra fosse solo ispirata alla repressione, e alla negazione di dialogo.
Cosa farà ora il Partito socialista? Niente elezioni anticipate, per ora, per evitare che arrivi l’ondata spagnolista di Ciudadanos.
Nessuna deroga ai presupuestos generales del Estado, perché l’ha promesso ai baschi del Pnv.
Potrà, però, costruire una alternativa diversa se riuscirà a chiudere i conti interni fra le diverse baronie che dilaniano la dirigenza da mesi, troppi mesi.
Le prime mosse diranno se Sanchez è abbastanza forte per reggere una situazione delicata. Mentre all’interno della destra la vuerra per la successione è già iniziata. E sarà senza esclusione di colpi.