A Milano, dall’8 al 15 novembre, cinema, fotografia, musica e letteratura: un filo diretto con la cultura brasiliana
13 novembre 2013 – DIARIO DI BORDO A CURA DI ELENA ESPOSTO
Ricordo come se fosse ieri la prima volta che ho visto “O som ao redor”.
Era estate a Rio de Janeiro, eravamo usciti con amici per andare a vederlo tutti insieme ma nel cinema del nostro quartiere tutti i biglietti erano esauriti. L’unico posto dove avremmo potuto trovare degli ingressi era il cinema di Botafogo, allo spettacolo della mezzanotte.
Ci siamo andati, immancabilmente testardi.
Non posso dimenticare le nostre facce mentre alle tre di notte uscivamo dal cinema per andare a prendere un taxi. Sconvolti, parecchio scioccati, senza tanta voglia di parlare tra di noi.
Il film, ambientato nella Recife moderna, è una finestra sul mondo, quasi che la capitale pernambucana fosse un punto di partenza locale per parlare del globale.
Il mondo della classe media di ogni angolo di mondo. Recife, Rio de Janeiro, Miami, Nuova Delhi, Milano… la classe media che, nel terrore di vedere i suoi spazi invasi da chi classe media non è, si rinchiude in assurdi piccoli mondi protetti nei quali riversa tutte le sue paure, le sue nevrosi, le sue turbe. Piccoli mondi destinati ad implodere, senza connessioni con l’esterno per una scelta di sicurezza che finisce per essere più pericolosa del pericolo stesso.
Il microcosmo di una classe media che racchiude tutte le manie e le solitudini del nostro tempo. Il silenzio pesante e quasi rancoroso che regna tra moglie e marito, una famiglia distrutta, un adolescente irrequieto, una donna che si masturba con una lavatrice, l’incomunicabilità tra genitori e figli, una storia d’amore finita ancora prima di iniziare, differenze sociali e culturali apparentemente insanabili, astiose riunioni condominiali.
Un mondo chiuso, terrorizzato dall’invasione di quello che sta fuori, pervaso da sogni e fantasmi, bambini cenciosi che irrompono in appartamenti immacolati, una favela racchiusa tra gli enormi palazzoni di una metropoli moderna, vecchie storie che appartengono al passato, storie rurali, a prima vista inconciliabili con il mondo moderno ma legate ad esso in profondità.
Il film lascia indubbiamente a bocca aperta, non solo a livello di contenuti, ma anche a livello tecnico. Riprese panoramiche che si chiudono su particolari insignificanti come un bullone appoggiato su di un muretto, per poi tornare alla visione globale, quasi a ricordarci che anche i piccoli dettagli contribuiscono a creare il tutto. Anche quello cui non prestiamo attenzione, anche quello che non ci sembra importante, quello che abbiamo dimenticato di aver detto o fatto perché ci sembrava superficiale può aver segnato la vita di qualcun altro per sempre. E può tornare a segnare la nostra.
Un richiamo al mondo globalizzato nel quale, come disse una volta qualcuno, “il battito d’ali di una farfalla ai Caraibi può scatenare un uragano in Asia”, ma anche un richiamo alla società moderna brasiliana ma non solo.
Le classi sociali che emarginiamo, le etnie che snobbiamo, le persone che ignoriamo nell’assurdo individualismo che pervade la società sono tutti tasselli di un puzzle più grande, e noi che vi siamo immersi non potendo sapere quale ruolo hanno o avranno, le releghiamo ai margini, nella nostra presunzione di civilizzazione che assomiglia di più all’impero della barbarie.
La sala dello Spazio Oberdan era piena di gente, come meritava un film proposto all’Oscar come migliore film straniero, ma alla fine della proiezione non c’era il cicaleccio che si sente di solito quando finisce un film.
Rifugiati in un McDonald per sfuggire al freddo e ai morsi della fame, ancora una volta, come in quella notte d’estate, mi sono guardata negli occhi con i miei amici senza sapere cosa dire, sebbene tutti percepissimo che le menti degli altri erano occupate da mille pensieri e sensazioni.
Credo che ognuno abbia il diritto di vedere e cercare nel cinema, come in ogni altra arte, quello che più gli pare opportuno. Per me il cinema ha molteplici funzioni, e se quella di fare riflettere vi è compresa, allora Kleber Mendonça Filho ha colpito nel segno.
11 novembre 2013 – DIARIO DI BORDO A CURA DI ELENA ESPOSTO
È una domenica di quelle che fa freddo, il vento tagliente scuote le fronde degli alberi, un timido sole fa capolino dal cielo semicoperto. È proprio una di quelle domeniche da andare al cinema.
Oggi, in anteprima italiana, in occasione della rassegna Piccolo Grande Cinema e di Agenda Brasil, allo Spazio Oberdan è stato proiettato il film “Tainá, una leggenda amazzonica”.
Non doppiato né sottotitolato ma letto in voice over live, da me, Ulrike e Linda. È stato uno spasso, non solo la lettura ma anche sentire le risate cristalline dei bambini, divertiti e commossi davanti alla storia della piccola india Tainá che si inoltra nella Foresta Amazzonica alla ricerca delle sue origini.
È accompagnata nella sua avventura da Gobi, un bambino del villaggio indio, appassionato di informatica, e Laurinha una bambina della città, capitata un po’ per caso in mezzo alla giungla.
Per dirla in portoghese il film è uma gracinha: non si può restare indifferenti davanti ai visini espressivi e dolci dei tre bambini, specialmente a quello della piccola Tainá che si trova a combattere contro Jurupari, lo spirito del male che minaccia di distruggere la foresta, impersonato da uno sconsiderato anti-naturalista che vuole trovare il Grande Albero Sacro solo per interesse personale.
Ma il film non si ferma ad una storia bella e commovente, che fa ridere grandi e piccini. Va molto oltre e, come sottolineato da Marco Palazzini (per scheda film vedi http://vagaluna.it/i-film-di-agenda-brasil-2013/ ), mette in luci alcuni temi cruciali per la società contemporanea.
In particolare vorrei metterne in luce due.
Il primo è l’incontro tra culture e popoli, che rende il Brasile, come l’Amazzonia, uno scenario magadiverso. Un incontro non sempre facile, che la lasciato tracce indelebili nella storia (l’incontro tra gli europei e gli indios all’epoca della colonizzazione, ad esempio, o la tratta degli schiavi africani), tracce dolorose, che ancora oggi pesano sulla società brasiliana. Una società che si mantiene pericolosamente in equilibrio tra integrazione e intolleranza basata su pregiudizi e preconcetti che si potrebbero facilmente neutralizzare con la conoscenza reciproca, la comprensione del valore dell’altro in quanto diverso da me. Come la piccola Laurinha, che imparerà a conoscere e a voler bene ai due piccoli indios solo quando capirà il valore della loro cultura, e la bellezza dell’incontro.
L’altro grande tema affrontato nel film è la minaccia ambientale che incombe sulla Foresta Amazzonica.
Da anni ormai questa area, contesa tra gli interessi economici dei vari Stati, subisce le angherie di affaristi senza scrupoli che ne uccidono la diversità, la soffocano tra strade, dighe e luoghi di estrazione mineraria, ne minacciano la pace, tormentano i suoi abitanti.
Proprio a questo proposito, all’entrata dello Spazio Oberdan, è stato allestito un banchetto della Associazione Amazônia che porta avanti vari progetti nella regione dello Xixuaú.
La regione dello Xixuaú, collocata nello stato di Roraima, nel Brasile nord-occidentale, conta circa 200 mila ettari di foresta intatta, ricca di specie vegetali e animali che vivono sotto la minaccia dell’estinzione e si estende lungo il fiume Jauaperi, il quale ospita circa 500 abitanti tradizionali, chiamati in portoghese ribeirinhos.
La comunità Xixuaú nasce nel 2004 con lo scopo di proteggere la foresta dalle minacce esterne, allo scopo di proteggerne l’enorme biodiversità, oltre che la vita dei suoi abitanti originari.
I progetti della comunità si basano sulla filosofia dello sviluppo sostenibile e della partecipazione attiva degli abitanti della foresta.
Quando le chiedo quale tra i progetti vorrebbe che mettessi più in luce Chiara Tosi, la rappresentante italiana dell’Associazione Amazônia, non ha dubbi nel dirmi: “quelli riguardanti la salute”.
Il progetto Xixuaú dà un’importanza primaria alle cure mediche e dal 2003 vengono portate avanti varie azioni per cercare di compensare la scarsità del servizio sanitario governativo. Nel 1995 inoltre venne avviata una campagna per debellare la malaria che riuscì a ridurne l’incidenza del 95%.
Altri interventi sul piano sanitario includono la costruzione di pozzi che permettono l’accesso all’acqua potabile, l’assistenza odontoiatrica e progetti di sicurezza alimentare (tutte le informazioni sui progetti dello Xixuaú sono disponibili sul sito www.amazoniabr.org). Un altro progetto importante è quello del sostegno a distanza, per permettere ai bambini dello Xixuaú di studiare e crescere nella propria terra.
Recentemente è stata lanciata anche una campagna di crowfunding sostenuta dall’Associazione Capoeira Angola di Bergamo, in collaborazione con l’Associazione Culturale Vagaluna, per la costruzione di un nuovo ambulatorio nella regione, dopo che quello precedente è stato distrutto dalle pioggie.
Sempre a Bergamo si terrà, dal 21 dicembre al 6 gennaio presso la Sala Viscontea dell’Orto Botanico, la mostra fotografica “Xixuaú livre”, già presentata al festival Latinoamericando di Milano, in giugno.
Ed eccoci qui, pronti a iniziare la seconda settimana di festival. Da domani ci sposteremo allo Spazio Oberdan, in viale Vittorio Veneto, con una serie di eventi imperdibili!
Agenda Brasil continua… prossimamente su questi schermi (letteralmente).
10 novembre 2013 – DIARIO DI BORDO A CURA DI ELENA ESPOSTO
“Le grandi società non sanno che la linea di demarcazione tra fame e furore è sottile come un capello” scriveva John Steinbeck nel 1939, raccontando la sofferenza dei contadini americani durante la Grande Depressione.
Glauber Rocha (regista e sceneggiatore di Deus e o Diabo na Terra do Sol, proiettato oggi pomeriggio al MIC, Museo Interattivo del Cinema) scriverà, ben 34 anni dopo: “La più automatica manifestazione culturale della fame è la violenza”.
La violenza, conseguenza giustificata della fame e della povertà, è l’elemento portante del film, sebbene sia una violenza seducente, ammaliante, estetica appunto.
Una violenza peraltro quasi totalmente immaginata, una brutalità i cui dettagli sono lasciati alla mente di chi guarda, un qualcosa che ricorda la famosa scena nella doccia di Psycho, ma non per questo meno reale e palpabile.
Questo connubio di crudezza frammista a immaginazione crea nello spettatore uno stato quasi onirico, e in quel momento anche l’abominevole scena del sacrificio di un bambino diventa qualcosa di affascinante e eccitante.
Il contorno di questa realtà così crudele e violenta è il paesaggio desertico e inospitale del Sertão nordestino.
Un sertão arido, riarso, dove non si aggira anima viva se non cangaçeiros, cacciatori di taglie e poveri disperati.
È il sertão desolato che racconterà anche Galeano nel suo grande saggio sul sottosviluppo dell’America Latina: “Il sertão, deserto di pietra e radi arbusti, dalla scarsa vegetazione, soffre di fame periodica: il tagliente sole della siccità si abbatte sulla terra e la riduce ad un paesaggio lunare; costringe gli uomini all’esodo e semina di croci i bordi delle strade”.
Non è solo il sertão con la sua siccità a creare sofferenza. I contadini sono schiacciati dalle angherie dei Coroneis, i ricchi proprietari terrieri che esercitavano un potere assoluto sulle loro terre e su coloro che le lavoravano.
Da qui nasce la necessità della ribellione, della violenza liberatrice, da una fame non causata solo dalle condizioni geo-climatiche ma sopratutto da una distorta redistribuzione della ricchezza, dall’oppressione di uomini su altri uomini, una nuova forma di colonialismo non meno aberrante e scomoda.
Nel suo manifesto Rocha auspica la liberazione tramite la violenza, il tema del sangue come elemento purificatore ritorna più volte anche nel film.
Le classi tiranneggiate devono ergersi contro i propri oppressori perché “solamente se il colonizzato prende coscienza della sua unica possibilità, la violenza, il colonizzatore può comprendere, attraverso l’orrore, la forza della cultura che egli sfrutta”.
È il dovere degli oppressi. Siano essi contadini nordestini, favelados, vittime della repressione politica…
Ma lo scoppio di violenza auspicato da Rocha non si è mai avverato.
Negli anni della dittatura militare molti gruppi di lotta armata hanno tentato di opporsi al regime, ma poi la transizione democratica è stata graduale e pacifica, senza rivoluzioni di massa. E le grandi sacche di popolazione agricola e urbana che vivevano in condizioni di miseria e fame non si sono ribellate.
Quasi a voler contraddire lo stesso Rocha che sosteneva: “noi sappiamo che la fame non sarà curata dalle pianificazioni governative” i brasiliani hanno eletto Lula, che con i vari programmi di riduzione della povertà è riuscito non a risolvere, ma per lo meno amenizzare le condizioni di vita di tanti suoi concittadini.
La rivoluzione non è mai sembrata tanto lontana dalla cultura brasiliana. Non solo perché, come amano ripetere i cinici, alla fine in Brasile tudo acaba em samba ma perché le condizioni sociali non sembravano presagirle.
Una classe media in espansione, una redistribuzione della ricchezza non soddisfacente ma sicuramente in miglioramento, un economia in pieno boom, una democrazia sulla via della solidificazione… non si vedevano sintomi della rivoluzione.
Ma poi qualcosa è andato storto.
Da qualche parte nella storia recente una scintilla è partita e agli inizi dell’estate Glauber Rocha avrebbe forse tirato un sospiro di sollievo.
È stato un momento bizzarro della storia del Brasile moderno, qualcosa che ci ha lasciati tutti stupiti. Gli stessi brasiliani non credevano che finalmente ci fosse qualcosa di diverso dal Carnevale che riuscisse a trascinarli per strada. E poi basta.
Che fine hanno fatto le rivoluzioni brasiliane? Hanno ottenuto l’abbassamento del prezzo del biglietto dell’autobus ma poi?
Il Brasile è al 69° posto del rank internazionale della corruzione, il sistema sanitario e educativo pubblici lasciano a desiderare, intere masse di popolazione continuano a vivere in situazioni precarie nelle periferie urbane di Rio, São Paulo, Belém… I neri sono ancora discriminati, la polizia entra nelle favelas in assetto di guerra e spara senza fare troppe domande.
Il boom forse non era così eclatante, e se lo è stato è stato troppo rapido e non ha portato con sé quelle trasformazioni sociali profonde senza le quali anche il progresso economico è destinato a fallire.
La rivoluzione auspicata da Rocha si è fermata. È tornato il silenzio. Un silenzio carico di tensione e attesa. Cosa succederà ora?
9 novembre 2013 – DIARIO DI BORDO A CURA DI ELENA ESPOSTO
Ciak si parte. Inizia così la seconda edizione di Agenda Brasil, al MIC (Museo Interattivo del Cinema), in Viale Fulvio testi, a Milano, con una sala piena di gente, persone sedute sulle sedie collocate in ultima fila, altri seduti sui gradini perché, sfidando ogni legge sull’antinfortunistica, questa sera abbiamo voluto accontentare tutti.
Il presidente della Fondazione Cineteca apre le danze, poi la parola passa a Regina Marques, la presidentessa dell’associazione culturale Vagaluna nonché direttrice artistica del festival, e infine a Marco Palazzini, il nostro critico cinematografico.
Il film di apertura dell’edizione 2013 è “A busca”, in italiano tradotto con “La sedia del padre”, di Luciano Moura.
Il film introduce due dei tre temi che noi dello staff, un po’ per scherzo un po’ sul serio, abbiamo individuato come i fili conduttori del festival: il rapporto padre e figlio e il viaggio (anche metaforico).
Come dice Marco di un film non si racconta la storia (anche perché il 15 novembre si replica allo Spazio Oberdan, e non posso rovinare la sorpresa a nessuno) ma si può mettere in luce alcuni aspetti, particolari che ci hanno colpito, dettagli che ci possono permettere di comprenderlo meglio, sia per chi non lo ha mai visto, sia per chi lo vorrà rivedere.
La trama di fondo è un dramma familiare: una famiglia allo sfascio, un ragazzino che scappa di casa, un padre che, per andare a cercarlo, viene messo di fronte ad un altro dramma, che appartiene al passato.
È un film che parla della quotidianità. Immagino che chiunque di noi possa rispecchiarsi in almeno una scena del film. Chi ha i genitori separati, chi è separato, chi ha pensato almeno una volta di scappare di casa o chi lo ha fatto, chi non parla con i sui genitori da anni, chi si sente prigioniero di una storia d’amore che non funziona più. È una storia comune, la storia di tutti noi.
È un film che ci parla di un altro Brasile. Non quello dei paesaggi mozzafiato delle estesissime spiagge oceaniche, o di verdi distese amazzoniche, non quello dei culi marmorei delle ballerine di samba, non quello delle cartoline e degli opuscoli delle agenzie di viaggi. E neanche quello terribile, ma comunque affascinante, delle favelas, dei trafficanti di droga, delle sparatorie e dei fiumi di sangue.
È il Brasile della classe media, gente normale che conduce vite normali, a volta mediocri. Ci si sposa, si costruisce una casa in cui magari non si vorrà neanche vivere, si fanno i figli, si lavora per mantenerli, ci si ama, si litiga, ci si lascia, ci si riprende.
Lontano dagli sfavillii delle grandi capitali e dall’euforia dei luoghi più battuti dai turisti, il film si dipana in uno scenario diverso, ma non per questo meno suggestivo e autentico.
Tre generazioni alla ricerca di sé stesse attraverso gli stati di São Paulo, Minas Gerais e Espírito Santo. (Qualcuno sapeva che Espírito Santo è uno dei 26 stati della Federazione Brasiliana?).
È un Brasile insolito, inaspettato. Un Brasile dove i giovani si radunano in Woodstock improvvisati in mezzo al nulla per ascoltare rock, e non samba o funk come avremmo potuto immaginare. Un Brasile dove la favela può anche essere un ambiente positivo, e chi la conosce sa certamente che lo è. Un Brasile dove non sono tutti allegri, simpatici e disponibili, ma dove ci sono anche persone diffidenti, persone che ti chiudono la porta in faccia. Un Brasile dove i culi marmorei sono solo sui poster nell’officina del meccanico.
Mentre guardavo il film per la seconda volta, seduta sull’ultimo gradino della sala, non ho potuto fare a meno di identificare questa alterità, in Wagner Moura, uno degli attori protagonisti. I più attenti si ricorderanno di averlo visto in Tropa de Elite. È lui, il Capitano Nascimento, ufficiale del BOPE che in Tropa de Elite entrava nella favela per uccidere i trafficanti, questa volta, nei panni di un padre angosciato entra nella favela disarmato, sconvolto, alla ricerca disperata del figlio.
Molti sono stati i pareri che ho raccolto tra coloro che hanno visto il film. Dalle risposte di tutte le persone che ho importunato durante l’aperitivo di apertura emergono due principali filoni: coloro che lo hanno ritenuto poco entusiasmante, con una storia debole e un po’ scontata, e coloro che hanno amato la capacità del regista di mettere in luce aspetti importanti della quotidianità come la famiglia, le difficoltà delle relazioni, la ricerca di sé stessi, sempre lasciando sullo sfondo l’affresco di un Brasile vero, genuino.
Il film non è solo questo, certo. Tanti altri messaggi sono contenuti nella sua trama, semplice ma intensa, eppure questo era quello che mi sembrava più importante mettere in luce.
Esiste un altro Brasile, diverso da quello dell’immaginario collettivo e Agenda Brasil, tra le altre cose, vuole trasmettere anche questo e lo fa con uno dei mezzi di comunicazione più potenti perché è il connubio di suoni, parole e immagini: il cinema.
Agenda Brasil non è però solo cinema. La cultura ha tanti veicoli di diffusione e noi li abbiamo voluti usare quasi tutti.
L’aperitivo inaugurale è stato animato dal dolce ritmo della Bossa Nova, grandi brani che appartengono alla storia musicale del Brasile interpretati da Priscila Ribas (voce) e Paulo Zannol (chitarra).
Nei prossimi giorni ci aspetteranno incontri di poesia e musica, la presentazione di un libro, una mostra fotografica sul calcio di strada, un’intera giornata dedicata ai bambini dove la cultura brasiliana passerà per canali ancora diversi.
La musica, la fotografia, la poesia, il cinema… questi i nostri canali per raccontarvi il Brasile moderno.
Agenda Brasil è appena iniziata. Grandes coisas estão por vir. Stay tuned!
Programma completo su www.vagaluna.it.
1 novembre 2013 – Cinema, fotografia, musica e letteratura. Queste sono le caratteristiche di Agenda Brasil, manifestazione che propone al pubblico milanese un filo diretto con il più grande Paese sudamericano e ne celebra le eccellenze culturali. L’evento, giunto alla sua seconda edizione, si terrà a Milano dal 6 al 15 di novembre in diversi spazi della città, tra cui il MIC (Museo Interattivo del Cinema), Spazio Oberdan e Mediateca Santa Teresa. La manifestazione è ideata e realizzata dall’Associazione Culturale Vagaluna in collaborazione con la Fondazione Cineteca Italiana.
IL PROGRAMMA COMPLETO DELLA MANIFESTAZIONE
Per la rassegna cinematografica sono stati selezionati dodici film della produzione brasiliana. Saranno presenti tre registi che proporranno in anteprima i loro film al pubblico italiano. Tra le proiezioni segnaliamo: Colegas, premiatissimo road movie i cui protagonisti sono tre ragazzi con la Sindrome di Down; Vinicius de Moraes, un tributo a uno dei più importanti musicisti e scrittori brasiliani nel centenario della sua nascita; Gonzaga de pai pra filho, storia di due dei più amati protagonisti della musica popolare brasiliana; 5xFavela – agora por nós mesmos, risultato di un laboratorio di cinema tenuto da registi affermati presso alcune favelas di Rio de Janeiro. E quando si parla di Brasile, non può mancare il calcio: il pluripremiato Heleno mostra l’ascesa e la decaduta del calciatore che era ritenuto il principe di Rio de Janeiro degli anni Quaranta.
Il lungometraggio scelto dal ministero della cultura per rappresentare il Brasile all’Oscar 2014 sarà uno dei film in evidenza durante l’Agenda Brasil. O Som ao Redor racconta la storia di una milizia in una strada di classe media nella Zona Sud di Recife che cambia la vita dei residenti locali. Un’altra chicca della rassegna sarà il film Limite, opera unica di Mario Peixoto del 1931, che sarà proiettato con accompagnamento musicale dal vivo. Altri classici sono Il Dio Nero e il Diavolo Biondo di Glauber Rocha e Non portono lo smoking di Leon Hirszman. Tutti i film saranno proiettati in lingua originale con sottotitoli in italiano.
Ci sarà anche la fotografia a raccontare l’amore dei brasiliani per il calcio, in vista dei mondiali del 2014, che il Brasile ospiterà. Con la mostra Futebol da Gente, il fotoreporter Evandro Teixeira è sceso in campo per ritrarre il gioco del pallone nella sua forma più coinvolgente: il calcio di strada.
Non mancherà lo spazio per i bambini. Il programma di Agenda Brasil si mescola a quello della rassegna Piccolo Grande Cinema, organizzato dalla Fondazione Cineteca e che dedica la sua giornata inaugurale al Brasile con la proiezione del film Tainá una leggenda amazzonica, per poi proseguire con una lezione di samba per bambini e racconti della tradizione brasiliana.
Ci saranno anche due incontri con il pubblico: uno sull’attualità e uno sulla letteratura in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano. Inoltre per tutta la durata della manifestazione, la Mediateca Santa Teresa metterà a disposizione del pubblico uno spazio dedicato al Brasile, dove gli utenti potranno ascoltare musica, guardare film e trasmissioni musicali e sportive brasiliane raccolte nelle Teche RAI.
Un aperitivo musicale e una festa danzante apriranno e chiuderanno la manifestazione.
La direzione artistica è affidata a Regina Nadaes Marques, la presentazione dei film durante la rassegna saranno a cura del critico cinematografico Marco Palazzini mentre l’organizzazione generale è di Marcella Baraldi.
Vagaluna è un’associazione culturale che opera sul territorio di Milano e si occupa di promuovere la ricerca e la valorizzazione dei diversi linguaggi artistici (cinema, teatro, fotografia), con un’attenzione particolare alla multiculturalità.