La bella époque delle radio libere

Viaggio nell’etere durante gli anni Settanta con intervista a Luca De Gennaro e a Patrizia Calefato

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/10/Schermata-2013-10-31-alle-19.44.48.png[/author_image] [author_info]di Valeria Pacilli. Classe 85, nonostante gli studi tecnico-commerciali delle medie superiori, intraprende studi universitari di area umanistica/sociale laureandosi in scienze della comunicazione all’università degli Studi della Basilicata, e poi alla magistrale in lnformazione e sistemi editoriali all’università Aldo Moro di Bari. Due le pubblicazioni sulla rivista semestrale online di scienze sociali e simbiotica politica Iconocrazia. Desidera diventare moglie e mamma e vivere il lavoro – qualsiasi sarà – come servizio al prossimo.[/author_info] [/author]

tratto da Iconocrazia

4 novembre 2013 – Il valore convenzionale degli anni Settanta non può che essere 11.34, una cifra pesante, compatta, quella che individua il peso specifico del piombo che in Italia ricopriva l’asfalto e impregnava l’aria.

La strategia della tensione associata a quel decennio – nonostante appartenga di fatto agli ultimi tre anni dello stesso – ha contribuito al turbamento dello scenario socio-politico nazionale con i tragici, memorabili attentati di piazza Fontana, piazza della Loggia, della stazione ferroviaria di Bologna sino all’omicidio dello statista democristiano Aldo Moro. Ma ciò non fu l’unica causa di quel turbamento.

A muovere le zolle sociali sotto la superficie piatta di un sistema politico statico e inadeguato è stata una società civile in fermento che ha inaugurato un modo nuovo, democratico, partecipato di fare politica a più livelli. Ogni realtà o identità sociale più o meno istituzionalizzata, più o meno organizzata, dai sindacati agli studenti, o all’apparentemente semplice opinione pubblica, ha partecipato in modo incisivo e decisivo alle grandi scelte e svolte del paese come la legge sul divorzio, la riforma del diritto di famiglia, la legge sull’interruzione di gravidanza, lo statuto dei lavoratori: vere e proprie conquiste politiche, sociali e civili.

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Peso specifico 19.25: si tratta di oro. Piccole grandi pepite d’oro incastonate nel piombo scuro di un decennio incupito da pesanti ombre ma al contempo irradiato da intense luci, fra cui ad esempio, quelle glamour delle passerelle della moda italiana che proprio in quegli anni ha dato lustro ad alcune delle firme (tutt’oggi) più note del made in Italy, quali Versace, Moschino, Ferré, per citarne alcuni.

Non mancarono neppure le luci dei riflettori dei set cinematografici, né quelle soffuse delle lampade che illuminavano i tuguri clandestini nei quali ci si incontrava per esperire il piacere, l’adrenalina e la passione dell’essere dietro ai microfoni di una radio rivolgendosi ad interlocutori invisibili, ma in comunione nel tempo e nello spazio delle frequenze “libere” occupate in modo “pirata”. Si trasmetteva musica, informazione, rubriche e si discorreva di attualità, politica, diritti.

L’esperienza delle radio pirata fu inizialmente considerata illegale e transitoria, invece si rivelò, in pochi mesi, una pratica sociale affermata e consolidata grazie soprattutto all’innovazione tecnologica che consentì alle radio di sfruttare la comunicazione bidirezionale (duplex) attraverso il telefono e successivamente la stereofonia, e, in particolare l’occorrenza di poche reperibili attrezzature per allestire uno studio radiofonico. Tale pratica fu alimentata inoltre dall’eccitazione di poter usare in modo alternativo a quello istituzionale un medium di cui si è sempre stati principalmente fruitori. Il desiderio di “fare la radio” nel tempo è cresciuto sempre più tanto che nelle grandi città le frequenze disponibili venivano occupate da radio che talvolta trasmettevano sulla stessa frequenza.

Potremmo dire che la radio diventò un feticcio attraverso il quale sperimentare, creare e veicolare nuovi linguaggi, messaggi, nonché identità proponendosi nelle vesti di speaker, proto-dj, giornalisti, commentatori. La musica è stata fondamentale per dare un copertura di 24 ore delle frequenze occupate. La molteplicità, insieme alla proliferazione delle trasmissioni dedicate alla musica, inoltre, diedero spazio ad artisti e generi musicali che portando grandi benefici al il mercato dei dischi, legati all’incremento delle vendite di questi ultimi.

A testimonianza di questa bella époque della radio, della sua natura e funzione oltre che dell’enorme potenziale il quale sembrava aver trovato compimento nelle comunicazioni clandestine di Radio Londra (e nella famiglia di protoradio pirata della prima metà del Novecento) ma che invece ha rivelato la sua incessante metamorfosi – abbiamo rivolto alcune domande ad uno dei pionieri radiofonici musicali di quegli anni: il giornalista, musicologo e responsabile del Department of Talent and Music di Mtv Italia, Luca De Gennaro.

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Valeria Pacilli: Qual era negli anni ’70 la funzione delle radio/radio libere da lei frequentate e in che modo sono assimilabili alle web radio di oggi?

Luca De Gennaro: Le radio libere partivano dalla consapevolezza di una possibile alternativa ai pochi canali della radio ufficiale e dall’urgenza di condividere con il mondo esterno la passione per la musica, che in quegli anni viveva una stagione straordinariamente fertile. In comune con le web radio hanno un punto di partenza tecnologico (la possibilità di realizzare una cosa che prima non esisteva) e l’idea di “libertà di azione”, oltre ad essere una scuola professionale spontanea, in quanto dalle radio libere è nata una intera generazione di professionisti della comunicazione.

V.P.: Secondo lei è possibile scorgere i prodromi del web 2.0 e 2.5 ovvero dei social network?

L.DG.: Il punto in comune tra le radio libere degli anni ’70 e i social network di oggi è che anche lì la comunicazione avveniva da una fonte verso i propri “followers”, che erano gli ascoltatori, i quali inizialmente erano davvero dei “club” di seguaci. Inoltre le radio private, come oggi i social, avevano il ruolo di “spostare” gente, ad esempio di essere megafono in tempo reale di manifestazioni politiche, festival musicali e iniziative giovanili di vario genere.

V.P.: Quali furono gli aspetti tecnologici più interessanti degli anni ’70 sia per le radio (es.: broadcast) e quali novità introdussero nella programmazione e nel modo di fare radio?

L.DG.: Le radio libere rappresentarono l’inizio della dominazione della banda FM rispetto a quella in onde medie, perché in FM l’ascolto era più fedele e stereo, e la novità fu scoprire che era “semplice” trasmettere via radio, bastavano un trasmettitore ed una antenna ad esso collegata. Certo era molto più complesso e costoso del web di oggi, ma allora sembrava un miracolo. Le novità nella programmazione furono un approccio più “internazionale” allo stile di conduzione, mutuato da emittenti come Radio Luxembourg e Radio Montecarlo, con voci giovani e brillanti, e soprattutto l’introduzione progressiva e in qualche modo spontanea del concetto fondamentale di “playlist” che prima non esisteva.

V.P.: Quali i generi e gli artisti più trasmessi e perché?

L.DG.: Diciamo che di base sulle radio “pop” italiane si ascoltavano i grandi successi dell’epoca, quindi parecchia disco music ma anche i singoli del soft rock americano (James Taylor, America, Eagles) e molta musica italiana. Come detto, era un periodo molto fertile non solo dal punto di vista creativo ma anche della qualità di produzione discografica. Un album come Rumours dei Fleetwood Mac, ad esempio, che uscì nel ’77, rimane ancora oggi uno dei più venduti della storia. Oltre ad avere grandi canzoni perfette per la radio, “suonava” talmente bene che era impossibile non trasmetterlo.

V.P.: Quanto vi era di ludico e quanto invece di alternativo come le zone temporaneamente autonome e di politico che si mescolava con la musica?

L.DG.: Uno dei grandi privilegi di chi ha cominciato a lavorare nelle prime radio è che il “gioco”, il passatempo, la passione, si sono trasformati in modo naturale in mestiere. Ad un certo punto hanno cominciato a pagarci per fare cose che fino ad allora avevamo fatto gratis, felici di imparare sul campo. Le radio con connotazione politica hanno una storia parallela a quelle musicali e nascono da presupposti analoghi (la comunicazione “alternativa” al sistema) ma lì la musica era ed è sempre rimasta di secondaria importanza.*

La musica è stata parte integrante, ad esempio, delle trasmissioni di Radio Alice,

l’emittente bolognese anticonformista, dalla natura anarchico-creativa, voce dei diritti civili che hanno caratterizzato quegli anni. La prerogativa della radio sotto il profilo socio-politico era rivendicare diritti civili delle donne (movimento femminista), libertà sessuale, legge sul divorzio, lotta di classe, lavorare senza sforzi; sotto il profilo musicale, similmente, era passare generi alternativi, dunque non commerciali. Fra le copertine dei vinili sfogliate da Sgualo – uno dei protagonisti del film di Chiesa Lavorare con lentezza (2004) dedicato alla storia della radio di via del Pratello a Bologna – vi sono quelle dei Ramones, Clash (London Calling), David Bowie, ma non mancavano neppure gli album di Jefferson AirplaneArea, e addirittura Beethoven. Ad accompagnare in sottofondo le prime scene del film è una Fratelli d’Italia suonata con la chitarra elettrica condita da effetti di distorsione più delay, mentre sui titoli di coda la canzone di Rino GaetanoMio fratello è figlio unico; invece, ad aprire e chiudere le trasmissioni vi è il brano omonimo Lavorare con lentezza del cantautore pugliese Enzo Del Re.

Di secondaria importanza invece, la musica e i pezzi trasmessi dall’emittente siciliana Radio Aut, progetto di Peppino Impastato e compagni, dalla quale lo stesso denunciava con coraggio e caparbietà la mafia e la politica corrotta del suo paese, Cinisi.

“A me basta che ci sentano a Cinisi. Sia quando tira vento, quando c’è il sole, quando c’è pioggia, quando non mi danno il permesso di fare un comizio, quando ti sequestrano il materiale. L’aria non ce la possono sequestrare”, diceva entusiasticamente Lo Cascio nei panni del protagonista del film di Giordana, I cento passi (2000).

Ad intervallare le denunce, le riflessioni e le performance satiriche sul boss Tano Badalamenti, brani come Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno e A Whiter Shade of Pale dei The Sweet.

E nel viaggio da Bologna a Cinisi non possiamo non passare per radio locali sintonizzandoci sulle frequenze di Bari Radio Uno, la sesta radio in Italia (la Repubblica, 2006) nata dalla voglia di far radio di alcuni studenti di architettura ispiratisi all’esperienza fiorentina. Tra i dischi con bollino rosso cioè con il divieto d’accesso al piatto del giradischi, erano i cosiddetti dischi babiscia, ossia mielosi. “Nell’età della febbre del sabato sera, per dire, erano babiscia anche i Bee Gees, ma negli studi in via De Giosa (nda. A Bari) era facile incrociare Eugenio Bennato, Roberto De Simone e Teresa De Sio in attesa dell’ intervista in diretta” (la Repubblica, 2006). Distintasi essenzialmente per il suo impegno politico e militante, l’emittente di (contro)informazione pugliese fu uno spazio di sperimentazione di nuovi linguaggi che davano vita a trasmissioni contaminate da più generi, come racconta brevemente la sociosemiologa Patrizia Calefato, professore associato di Sociolinguistica all’Università Aldo Moro di Bari a proposito del fenomeno delle radio di quegli anni.

V. P.: Ci racconti i ricordi di quegli anni e dell’esperienza radiofonica barese

P. C.: L’esperienza delle radio che allora si chiamavano “libere”, ha inizio a Bari con Bari Radio 1, nel 1974. A partire da quel momento, l’etere comincia a essere percorso, in tutta Italia, da voci di ogni genere, per lo più – dato il periodo – impegnate nella militanza politica e nella controinformazione. Si trattò, forse senza che neanche lo si sapesse allora, di un fenomeno basato soprattutto sulla sperimentazione di nuovi linguaggi. Personalmente la mia esperienza inizia nel 1977 a Radio Radicale, che all’epoca a Bari ospitava una pluralità di generi comunicativi. Partecipai come ideatrice e come “ospite” ad alcune trasmissioni culturali, che mettevano insieme musica, letteratura e politica. La radio cadenzava allora lo studio, le manifestazioni di piazza, il tempo libero, l’informazione. Rimane memorabile il modo in cui Radio Radicale seguì in diretta, nel novembre 1978, tutta la dolorosa vicenda dell’assassinio e poi dei funerali di Benedetto Petrone: giornate di grande tensione in città.

V. P.: Possiamo davvero affermare che le radio abbiano avuto il loro periodo
di massima espansione negli anni ’70 con il fenomeno delle radio libere?

P. C.: La radio è stata rivoluzionaria già al momento della sua invenzione. Ha avuto un ruolo fondamentale durante la Seconda guerra mondiale, con Radio Londra, e ha conosciuto poi un momento d’oro, nel caso dell’Italia, nella seconda metà degli anni ’70, con le radio “libere”. Pochi anni dopo, il fenomeno venne fagocitato dalle radio commerciali, o meglio tutte le radio divennero commerciali. Il fenomeno del volontariato dovette far posto alla necessità delle radio e dei suoi animatori di dovere sopravvivere. E la radio divenne allora anche un business.

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V. P.: Che differenza c’è fra “radio libere” e “radio pirata”?

P. C.: Di radio “libere” si può parlare a mio parere solo per quella breve fase, almeno in Italia che va dal 1974 al 1978-79, con radio basate sul volontariato, sul pluralismo e sul localismo. Radio “pirata” sono invece quelle radio che interferiscono a momenti nella comunicazione per sabotare l’informazione ufficiale e trasmettere messaggi non controllati.

V. P.: Si può parlare di radio pirata anche dagli anni ’20 in poi (es. Radio Londra). Qual è la differenza secondo lei tra queste e quelle degli anni ’70
P. C.: Radio Londra aveva una funzione soprattutto informativa, doveva cioè inviare messaggi – spesso in codice – indirizzati soprattutto alle popolazione e ai partigiani nei paesi occupati. Le radio anni ’70 avevano invece un ruolo molto più comunicativo in senso ampio: c’era musica, lettura dei quotidiani, commenti, oltre che – in certi casi come Radio Alice di Bologna – un ruolo attivo nei movimenti studenteschi.

V. P.: Quanto le radio negli anni ’70 sono state catalizzatori dell’impegno civile e del cambiamento nello scenario politico e sociale di quegli anni

P. C.: La radio è stato un “medium” di partecipazione della democrazia italiana?*

Le radio libere sono state le prime forme di citizen journalism. Quello che oggi fanno i blogger impegnati come attivisti o commentatori, allora lo facevano, in ogni piccolo comune d’Italia, giovani, spesso giovanissimi, alle prime esperienze, con tutte le ingenuità, ma anche con tutta la freschezza e la libertà possibili per la loro età. Basti solo ricordare Peppino Impastato con la sua Radio Aut.

V. P.: Guardando agli anni ’70 dalla prospettiva di riforme, movimenti sociali, libertà individuale e libertà di informazione, possiamo definire ancora e comunque gli anni Settanta “anni di piombo”?

P. C.: Gli anni di piombo cominciano dopo il 1977, con il terrorismo, da un lato, e l’irrigidimento delle leggi speciali dall’altro (fermo di polizia, ecc.), culminano poi con il rapimento e l’assassinio di Moro. Quindi anni di piombo sono solo gli ultimi due-tre del decennio.*

 

Gli ultimi tre anni del decennio Settanta attraversati dalla strategia della tensione, sono stati la risposta estremista ad un sistema, specie quello politico, ritenuto bloccato e privo di alternative di fronte al quale la lotta violenta e l’anarchia sembravano essere l’unico viatico verso la demolizione dei vecchi apparati e di una politica “borghese”. Il movimento di contestazione italiano, il più profondo e duraturo d’Europa, esploso nel 1968 grazie ai caldi venti ideologici e sociali provenienti dalla California, ha percorso gli anni Settanta mescolando le proteste degli studenti riguardo all’autorità delle università italiane ad altre forme di conflittualità sociali che generarono significativi ed epocali mutamenti nella mentalità e nei costumi. Un segno del passaggio culturale del Paese, che al di là delle vicende strettamente politiche e morali che abitarono discorsi e posizioni, ha rappresentato un tempo forte di partecipazione politica e sociale intergenerazionale, mediante l’esercizio dei diritti costituzionali sanciti dall’art. 21 della Costituzione che mai come in quegli anni furono attualizzati e rivendicati. Spesso con fatica se si pensa alla censura imposta alle radio (ad esempio, Bari Radio Uno imbavagliata dalla polizia postale per due mesi, e come questa tante altre) e a manifestazioni della libertà di pensiero agite tramite diversi linguaggi e media, dal corpo alla moda e alle radio, strumento di risonanza di una fase storica di notevole spessore.

Una libertà di pensiero che ha attraversato e animato le piazze, i comizi, le università, il Parlamento, i bar, i circoli culturali e letterari, le sedi dei partiti, le stazioni radio, luoghi fisici da cui con un semplice microfono (a volte con trasmettitore e antenna) voci plurali, raggiungevano le case, le menti e le vite degli italiani. Le radio nate e vissute negli anni Settanta, come scrive Luca De Gennaro sono state antesignane della comunicazione “uno a molti” e al contempo “molti a molti” (se si pensa al flusso di persone che circolavano nelle radio e che conducevano trasmissioni), uno scheletro comunicativo e di trasmissione incarnato dai flussi di bit e di identità, voci e messaggi che viaggiano sulle frequenze del web 2.0 e dei social network. Possiamo immaginare ad esempio i social network come stazioni radio, spazi fisici in quanto prolungamento della nostra fisicità, pelle, emozioni (de Kerckhove, 1996) dove ciascuno dei membri della redazione radiofonica è allo stesso tempo membro della comunità radiofonica, ossia il pubblico dei radioascoltatori. Ognuno edita/va messaggi tramite un canale, l’aria per le radio, l’elettricità, il web per i social.

A guardare bene il nuovo millennio, possiamo scorgere non pochi segni che lo accomunano agli anni Settanta del Novecento: cortei di proteste degli studenti contro le riforme del Governo per scuole e università, campagne di sensibilizzazione e manifestazioni di piazza per la tutela dei diritti delle donne, la difesa delle stesse dalla violenza di cui sono vittime, e altresì la loro grande libertà nelle scelte etiche ed estetiche ereditate dai movimenti femministi proprio degli anni Settanta, così come anche il fermento di blog e web community in cui si disquisisce tout cour di particolari argomenti. Pensiamo a quanto spazio abbia trovato la discussione e la partecipazione politica nel web: testate online, rubriche e blog dedicati, gruppi sostenitori o boicottatori di qualcosa o qualcuno, movimenti politici “parlamentari” partoriti dalla rete, come il Movimento 5 Stelle di Grillo e Casaleggio, o extraparlamentari/estremisti che ormai svolgono le loro attività in rete (anche il terrorismo viaggia e abita preferibilmente l’etere).

La crisi che oggi attraversa l’Italia e l’Europa, ha una sua natura culturale: crisi dal greco κρίσις, denota la decisione, un cambiamento forte, importante, una scelta, che evidenzia intrinsecamente molteplici possibilità, strade, alternative. Lo slancio libertario delle radio anni Settanta ha rappresentato di fatto un’alternativa: ha incarnato il desiderio di affermare e rispondere a nuove esigenze sociali, rafforzate e sedimentate giorno dopo giorno dal loro modus operandi. Come ogni “rivoluzione” anche quella delle emittenti libere non si è cristallizzata in una pratica fine a se stessa, ma sintonizzandosi sulle frequenze della storia e del presente, esse hanno intercettato nuovi bisogni elaborando nuovi linguaggi e/o mescolandoli con i vecchi, costituendosi in una nuova forma giuridica: quella privata. Tuttavia, nonostante la sua natura privata, la radio resta essenzialmente una zona temporaneamente autonoma (Bey, 1995), uno degli spazi mediatici più partecipati assieme alla rete e ai social network; un luogo distante dai riflettori rispetto alla tv ad esempio, almeno nell’immaginario collettivo di chi ha vissuto le radio prima che divenissero web. In fondo, anche se da semplici radioascoltatori più o meno attivi, potremmo dire di avere la sensazione – come per lo “staff” di Radio Alice e compagne – di non fareradio, ma di essere la radio.

Bibliografia

Bey, H., 1995, T.A.Z. Zone Temporaneamente Autonome, Milano, Shake.

de Kerckhove, D., 1996, La pelle della cultura. Un’indagine sulla nuova realtà elettronica, Genova, Costa&Nolan.

Ricci, P., 2006, Noi pionieri delle radio libere, “la Repubblica”, 26 gennaio, p. 9, sezione Bari
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/01/25/noi-pionieri-delle-radio-libere.html.

Sitografia

Broadcast Italia
http://www.broadcastitalia.it/storia%20delle%20radio.htm

Miniradio
http://www.miniradio.it/storia.html

Musica e memoria
http://www.musicaememoria.com/radio_pirata_radio_libere.htm

Radio ascolta
http://www.radioascolta.it/t-le-radio-libere-anni-70/

Videofilmografia

Da Radio Aut. Trasmissione Onda Pazza. Particella1
http://www.youtube.com/watch?v=JII0GQwBFyw

Enzo Del Re – Lavorare con lentezza e tengo ‘na voglia e fa niente
http://www.youtube.com/watch?v=0Bcp4mFyNQ4

I cento passi, 2000, M. T. Giordana, Italia.

Lavorare con lentezza. Radio Alice 100.6 MHZ, 2004, G. Chiesa, Italia.

Lavorare con lentezza
http://www.youtube.com/watch?v=UAHpXLo6_M0

Lavorare con lentezza Intro,
http://www.youtube.com/watch?v=SPsk9-95gis

Piccolo omaggio alle Radio Libere,
http://www.youtube.com/watch?v=DsAeRmp9jGc



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