A settembre 350 profughi sono stati rimandati in Italia, intercettati mentre cercavano di raggiungere la Svezia. Parte da Milano il reportage che ripercorre il viaggio dei siriani verso il nord Europa
di Lorenzo Bagnoli, da Parigi, per Terre di Mezzo
5 novembre 2013 – “Non è stata una mia scelta. Avessi potuto, avrei chiesto un paese scandinavo”. Questa frase la scandiscono Anas e Jasem, studenti universitari siriani di 22 e 27 anni, arrivati in Francia per riprendere gli studi dopo tre anni di conflitto. Sono a Parigi quasi per caso. L’uno, Anas, ha parenti in Francia da ma decina d’anni: sono loro la garanzia per il visto di transito a Parigi. Il lasciapassare che permette di partire per l’Europa. L’altro Jasem (in foto), ha avuto in sorte di lavorare con un giornalista francese ferito durante il conflitto. Come unico testimone dell’evento, è stato chiamato a Parigi. È stato in prigione tre volte a Damasco, per aver preso parte alle manifestazioni anti Assad.
foto di Germana Lavagna
“Se fossi finito in un campo profughi in un Paese confinate non sarei mai partito. Spero di poter rientrare a Damasco presto”, spiega. Al contrario, racconta, il flusso di persone dalla Turchia all’Egitto e da lì alle barche della speranza che attraversano il Mediterraneo si sta nuovamente rinforzando. Lo raccontano i media locali. Chi parte dalle coste egiziane lo fa perché le condizioni non sono più sostenibili. Come tutte le sere i due ragazzi stanno al bistrot Syrien, un locale in boulevard Bonne nouvelle che in alcuni casi ha anche dato riparo ai profughi, almeno per qualche giorno. Le pareti del locale sono tappezzate di scritte anti Assad.
Secondo le stime del Governo, sono tremila i profughi siriani nei confini francesi. Non vengono censiti però quelli che l’hanno attraversata, per la Germania o i Paesi scandinavi. “Il modello migratorio di Parigi è quello dell’assimilazione: un rifugiato può restare solo se ha legami con il Paese è diventerà un buon francese in futuro”, spiega Nizar Touleimat, franco siriano dell’associazione “Democratie età entrasse en Syrie”.
Il sentimento comune dei profughi è di sentirsi parcheggiati in Europa solo in attesa che la tempesta che si è abbattuta sulla Siria passi in fretta. Perché rinunciare alla propria appartenenza? “Non credo che tornerò qui dopo che avrò avuto l’opportunità di andarmene”, continua Jassen. Danimarca e Svezia offrono invece i mezzi per autosostenersi senza doversi legare per sempre al destino di un paese. Mohammed racconta di Abood, un amico che sta in Svezia, Paese che ha raggiunto in estate dopo un viaggio lungo tutta l’Europa. È a Parigi per salutare alcuni amici siriano palestinesi. “Gli hanno preso le impronte in Italia – aggiunge l’amico -. La polizia svedese ha chiesto a quella italiana una conferma della sua identità, ma finora non ha ottenuto risposta”. E Abood spera che Roma continui ad essere così poco solerte altrimenti il suo viaggio lungo il corridoio Nord sarà stato inutile.