[author] [author_image timthumb=’on’]https://lh5.googleusercontent.com/-A5l4IyO9H8k/UFyWqH24WqI/AAAAAAAAAEE/Z5EQDPcnVtA/w497-h373/Kandy.jpg[/author_image] [author_info]Alfredo Somoza, giornalista e scrittore, presidente di Icei, direttore di Dialoghi.info [/author_info] [/author]
Il colonnello Chávez divenne un protagonista della scena politica nel momento peggiore della storia venezuelana. Era il febbraio 1989 e il paese stava precipitando nel caos. Il governo socialdemocratico di Carlos Andrés Pérez firmava l’accordo con il FMI per negoziare il debito estero accettando un memorandum che, secondo la logica neoliberista dell’ente internazionale, andava a incidere fortemente su pensioni, tariffe del trasporto pubblico e prezzi degli alimenti di base. La risposta fu il caracazo, 24 ore di violenze e saccheggi inscenati dalle popolazioni delle baraccopoli di Caracas. Il saldo ufficiale parlò di 300 morti, quello ufficioso di 3000 cittadini uccisi dai militari usciti dalle caserme per domare la ribellione.
Tra le macerie di un Venezuela fallito e in pieno incendio sociale, con la popolazione che chiedeva che tutti i politici scomparissero urlando lo slogan “que se vayan todos!”, il giovane colonnello Chávez tentò un colpo di Stato con altri colleghi nazionalisti e finì in galera. Ma rimase impresso nella memoria della popolazione, alla ricerca di un leader non compromesso con la vecchia politica, e alla prima opportunità fu eletto presidente. Diventò così il primo presidente della Seconda repubblica, dopo che i partiti tradizionali, socialcristiano e socialdemocratico, erano stati spazzati via.
Al potere, il colonnello ha fondato la Repubblica bolivariana, riprendendo il vecchio sogno del Libertador intenzionato a lottare per un’America Latina unita. Ha fatto tornare il suo Paese tra i protagonisti della scena internazionale inventandosi nuove alleanze in chiave strategica, come l’accordo con l’Iran, diventato partner politico tra i Paesi petroliferi. Con gli Stati Uniti ha recitato il vecchio e collaudato ruolo del caudillo antiamericano, ma non ha smesso di vendere il “suo” greggio a Washington. In Venezuela, lo Stato è diventato onnipresente attraverso le misiones, cioè gli interventi sanitari e scolastici a favore dei poveri e gestiti dai cubani.
Chávez ha continuato a dialogare quotidianamente con il suo popolo “a tu per tu”, attraverso ore e ore di trasmissioni televisive con domande e risposte in diretta. Una relazione tra capo e popolo nel più puro stile peronista, caratterizzata in questo caso dal rispetto delle forme democratiche e dall’uso della televisione. L’opposizione, che controlla l’intero settore dell’informazione privata, è stata più volte minacciata ma mai toccata sul serio. Nelle cinque elezioni dell’era chavista (quattro vinte e una persa), nessuno ha avanzato infatti il benché minimo dubbio sulla regolarità delle consultazioni. In questi lunghi anni, l’opposizione a Chávez si è rivelata rissosa, frammentaria e soprattutto popolata da personaggi poco presentabili.
Il potere chavista è stato costruito sia dall’alto verso il basso sia viceversa. Con alla testa un leader carismatico dalle spiccate doti da predicatore, ma anche con una miriade di organizzazioni di base cresciute modellandosi sugli schemi di partecipazione cittadina maturati a Porto Alegre. Il programma economico di questi anni, fortemente statalista e nazionalista, non è stato molto dissimile da quelli di molte forze antisistema del Vecchio continente. La differenza è che Chávez ha saputo costruire un blocco di potere per governare, basato sull’esercito e sul popolo organizzato.
Il Venezuela che verrà non potrà mai cancellare alcuni punti introdotti da Chávez nella sua Costituzione; soprattutto non potrà tornare indietro sulle scelte economiche che, per quanto si possa essere critici, hanno permesso a un paese fallito di uscire dalle macerie e di diventare protagonista in uno dei cambiamenti geopolitici più importanti dell’ultimo decennio: la rottura dei legami di dipendenza tra l’America del Sud e le vecchie potenze industrializzate.