[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/ValeB.jpeg[/author_image] [author_info]di Valeria Barbi. Ricercatrice per lavoro, viaggiatrice per vocazione e scrittrice per passione. Si occupa di politiche climatiche e tutela dell’ambiente. Ha molte passioni. Una di queste è dare sempre e comunque la propria opinione. Anche quando non è richiesta. Tende a non farsi condizionare dalle regole ma a vivere le proprie emozioni. Ha deciso di restare in Italia (per ora) per vedere chi la spunta tra la sua instancabile forza di volontà e questo Paese immobile[/author_info] [/author]
Riservata e a tratti spocchiosa, umida, famosa più per le sue fabbriche, molte delle quali ormai al limite della sopravvivenza, e per i segni di un benessere economico ormai svanito. Vista così, non sembra vi siano molte ragioni per far rientrare la piccola città di Pordenone tra le mete turistiche di chi si reca in Friuli.
Eppure, dal 28 settembre scorso, e fino a gennaio 2014, una ragione c’è: la possibilità di perdersi per almeno un’ora tra le vie di Cuba. E’ questa la sensazione che ti trasmette la mostra Mira Cuba, proposta dal Comune di Pordenone negli Spazi Espositivi di Via Bertossi e considerata la più importante esposizione sino ad oggi allestita in Italia sulla Grafica Cubana dalla Rivoluzione castrista del 1959 sino ad oggi.
[new_royalslider id=”73″]
E’ difficile raccontare una mostra senza scadere nella banalità ma quello che stupisce maggiormente nel posare lo sguardo sui 220 tra manifesti e bozzetti originali è la capacità di trasmettere le storie che si nascondono dietro ai colori, quasi sempre vivaci e allegri, anche quando affrontano i temi più complessi e intricati: la celebrazione politica, innanzitutto, ma anche i grandi temi sociali, dalla decolonizzazione dell’Africa alla lotta per la liberazione della Palestina, dalla riforma sanitaria a quella agraria, alle campagne per l’educazione estesa a tutti e al tema, oggi più che mai attuale e importante, del risparmio idrico ed energetico.
Abituati come siamo a considerare la pubblicità come un mezzo di comunicazione studiato a tavolino da gruppi di esperti capaci di manipolare sapientemente la nostra mente e di dirigere la nostra capacità d’acquisto verso prodotti di cui la maggior parte delle volte non sappiamo che farcene, ci richiede uno sforzo non indifferente pensare che nella caraibica “Isola che non c’è” i grandi cartelloni pubblicitari alla occidentale tuttora non esistono. I muri non sono tappezzati di profumi o procaci donne seminude, nessun messaggio subliminale disturba la proiezione di film o la messa in onda dei programmi radiofonici. Quantomeno nessun messaggio che induce all’acquisto.
Quello che le litografie appese alle pareti grezze e ancora fresche di ristrutturazione di questo vecchio edificio ci trasmettono è l’attaccamento ad un ideale, l’impegno sociale e un fermento culturale che, se per i giovani occidentali degli anni ’60 era solito concretizzarsi nella gioia per l’acquisto di un nuovo modello di macchina, per l’arrivo sul mercato europeo dei prodotti americani e la nascita dei grandi discount che avrebbero presto soppiantato le piccole botteghe di quartiere, per i giovani cubani era sinonimo di impegno civile.
Sempre presente e percepibile, poi, il rapporto di antagonismo e sfida con gli Stati Uniti, il gigante imperialista da temere e ripudiare con ogni mezzo: dalla politica, alla propaganda, dalle armi ai segni dei pennelli sulla carta. Negli anni che seguirono la scacciata dalla Isla Grande del Generale Batista e la presa al potere di Castro, tutto doveva essere funzionale al rafforzamento dell’adesione popolare al nuovo ideale rivoluzionario. Alcuni lo fanno in forma diretta, attraverso i volti dei Presidenti americani Lyndon Johnson e Richard Nixon ritratti come cannibali, o l’immagine della Crocifissione di Cristo nell’icona del dollaro statunitense, ma molti altri, altrettanto efficacemente, in modo indiretto, trasmettendo la voglia di ricominciare e il fermento culturale dell’epoca attraverso l’uso del colore.
Incredibile notare, poi, come nonostante l’isolamento economico e politico dell’isola caraibica, gli artisti siano riusciti a catturare ed elaborare il boom culturale degli anni ’60 in Europa. A dimostrarlo efficacemente, i carteles di comunicazione cinematografica tra cui spiccano, con orgoglio, i capolavori del cinema italiano e francese: dalla locandina de Il Medico della Mutua a Baci Rubati di Trauffaut.
Nonostante la mancanza di strumenti tecnici moderni e le proibizioni di un regime che ancora oggi considera la pubblicità, nell’accezione occidentale del termine, come un qualcosa di pericoloso e potenzialmente destabilizzante, il linguaggio creativo e figurativo dei carteles cubani risulta incredibilmente moderno e rivoluzionario sia nei contenuti che nel desiderio inespresso di autonomia.
Un percorso affascinante attraverso i corridoi di uno degli edifici più vecchi della piccola cittadina del Nord-Est una volta adibito a Scuola Media che, lungi dal perdere il suo ruolo educativo, ha riacquistato nuova anima attraverso l’arte del Cartel Cubano.
La mostra organizzata dal Comune di Pordenone, è patrocinata da: Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ambasciata della Repubblica di Cuba in Italia, Istituto Italo-Latino Americano, Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva, Casa de las Americas, Comitè Prografica Cubana, Instituto Cubano de Arte e Industria Cinematograficos, Associazione di Amicizia Italia Cuba.
Orario di apertura: da martedì a sabato 15.30 > 19.30/domenica 10.00 > 13.00 – 15.30 > 19.30/chiuso il lunedì
Ingresso: intero € 3,00 – ridotto € 1,00
Per ulteriori informazioni: attivitaculturali@comune.pordenone.it Tel. 0434 392916