Leader di Hezbollah ucciso a Beirut

Per il movimento sciita libanese c’è Israele dietro l’omicidio di Hassan Lakkis. Ieri Nasrallah ha accusato Riad del duplice attentato all’ambasciata iraniana

tratto da NenaNews

4 dicembre 2013 – Uno degli esponenti di spicco di Hezbollah è stato ucciso ieri notte a Beirut, lo ha reso noto la tv del Partito di dio Al-Manar. Hassan Lakkis è stato assassinato verso mezzanotte mentre rientrava a casa a Hadath, sette chilometri dalla capitale, ma non è stato reso noto come è stato ucciso. In una nota il movimento sciita libanese ha puntato il dito contro il “nemico Israele” che avrebbe tentato varie volte di assassinare Lakkis in passato. Per il momento Tel Aviv non ha commentato.

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L’omicidio di Lakkis arriva poche ore dopo le pesanti dichiarazioni di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, che ha accusato l’Arabia Saudita di essere il mandante del duplice attentato vicino l’ambasciata iraniana a Beirut, lo scorso 19 novembre, in cui sono morte almeno 25 persone e circa 150 sono rimaste ferite. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo jihadista delle Brigate Abdullah Azzam, vicino ai ribelli siriani. Un messaggio a Hezbollah, stretto alleato di Teheran, che manda i suoi uomini a combattere in Siria a fianco delle truppe fedeli al presidente Bashar al Assad. Altri due attentati la scorsa estate hanno colpito i rioni meridionali di Beirut, controllati dal Partito di dio: il 9 luglio a Bir el Abed e il 15 agosto a Rweiss.

Il Libano rischia di essere coinvolto nella guerra in Siria, che ormai dura da quasi tre anni e ha fatto oltre 120.000 morti e milioni di sfollati. Il coinvolgimento diretto di Hezbollah nel conflitto, la divisione del Paese dei cedri in sostenitori e oppositori di Assad e l’arrivo in massa dei profughi siriani (circa 820.000) rischiano di far saltare il fragile equilibrio del Paese, alle prese con un lungo stallo politico e la crisi economica.

Sul Libano preme la minaccia di un contagio del conflitto siriano e nel Paese si è già aperta una stagione di attentati e omicidi mirati, che ricorda gli anni della guerra civile. Mentre nella città settentrionale di Tripoli si combatte da oltre due anni un conflitto parallelo a quello siriano tra il quartiere sunnita di Bab al Tabbaneh e quello alawita (Assad è un alawita) di Jabal Mohsen. Una faida che negli ultimi giorni ha fatto oltre 12 morti e 80 feriti.

Intanto, in Siria si continua a combattere. L’esercito fedele ad Assad sta riguadagnando terreno, mentre la diplomazia è riuscita a fatica a persuadere il governo di Damasco e le opposizioni a sedersi insieme al tavolo di Ginevra 2, il prossimo 22 gennaio. Ieri l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha per la prima volta accusato Assad di crimini di guerra: la commissione d’inchiesta sulle violazioni dei diritti umani in Siria “ha prodotto prove massicce di crimini molto gravi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Prove che indicano “la responsabilità ai più alti livelli di governo, compreso del capo dello Stato”.



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