Schiavi del pallone

Qatar: un calciatore in carcere fino alla rinuncia dei suoi diritti, un mondiale organizzato sulla pelle dei migranti

di Christian Elia

14 dicembre 2013 – Partiamo dalla fine: Zahir Belounis, calciatore franco-algerino, dopo 17 mesi, ritorna in libertà il 28 novembre scorso. La sua è una di quelle storie che se fosse accaduta altrove avrebbe acceso riflettori e incendiato editoriali sui diritti umani. Solo che è accaduta in Qatar, padrino e sponsor di occidentali economie. Quindi non ne ha parlato nessuno.

Belounis, quasi 34enne, è un attaccante navigato. Fisico asciutto, agile, bravo negli spazi, meno a farsi valere in area di rigore. Uno di quei calciatori che dopo le promesse non mantenute della gioventù, come un militante deluso dalla politica, diventa un mestierante del pallone. Inizia in Francia, dove nasce da genitori immigrati dall’Algeria, poi Svizzera, Malaysia per finire in Qatar. Al-Jaish Sport Club, per la precisione. Squadra di proprietà del fratello dell’emiro del Qatar.

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Qui inizia la sua odissea. Il suo contratto scade nel giugno 2015, ma il padrone si stanca di lui e semplicemente se ne vuole liberare. Zahir non ci sta, diavolo, c’è un contratto da rispettare. In mancanza di un’alternativa valida, che gli garantisca lo stesso trattamento economico o almeno una sontuosa buona uscita, non si parla di andar via. Il suo atteggiamento fa infuriare il regale fratello che, ad uso dei modi qatarini, decide di fargliela pagare. Il calciatore viene privato dei suoi documenti, non può abbandonare il Paese.

In Qatar, infatti, la legislazione sui lavoratori immigrati è normata dalla kafala, che permette l’espatrio solo previa autorizzazione del datore di lavoro. Belounis si vede quindi negare il visto di uscita, come conseguenza della sua denuncia nei confronti del club, che nel frattempo aveva anche tentato di cederlo ad altre squadre senza il suo consenso. Oltre a non pagarlo più.

Praticamente sequestrato in Qatar, Belounis con moglie e due figli, può contare solo sull’aiuto dei francesi residenti in Qatar e del sostegno di amici e parenti dalla Francia.

Una storia che racconta di emiri nel pallone, convinti di poter trattare i lavoratori come schiavi. I soldi non esistono, si trovano nella sabbia, si spendono senza senso. Poi il giocattolo non piace più, lo si butta via, e una qualsiasi protesta dle lavoratore che non accetti di essere trattato così è onta da lesa maestà, da punire con atteggiamenti medievali. Belounis ha scritto a campioni del passato e del presente, per denunciare quello che gli è capitato. Non accadrà nulla: troppo potente il Qatar, troppo ricco, per le asfittiche casse dei paesi europei.

GUARDA L’INCHIESTA DEL GUARDIAN SULLE CONDIZIONI DEI LAVORATORI IMMIGRATI IN QATAR

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Lo aveva già raccontato il Guardian, con un’inchiesta sulle condizioni di lavoro dei migranti ridotti in schiavitù per la costruzione degli impianti del campionato del mondo di calcio, la cui organizzazione è stata assegnata proprio al Qatar per il 2022. Con una procedura per lo meno opaca, ma che ha fatto da contorno a una procedura di santificazione dell’emirato del Golfo, tra finanza e politica internazionale.

Ogni contrasto, ogni lancio, ogni scatto di una partita del mondiale 2022, sarà realizzato sulla pelle di migliaia di asiatici in catene, meccanismi di un ingranaggio senza pietà, dove il pallone è ostaggio di interessi troppo grandi per un gioco, fosse anche il più bello del mondo.



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