Johnson e i suoi compagni hanno vinto: schiavi di un’azienda agricola di Brancaleone, in Calabria, ottengono giustizia contro il padrone
tratto da MeltingPot
Una storia di sfruttamento e ricatti, di violenze e minacce; una delle tante che compongono la mappa del nuovo schiavismo di questo Paese. Che si tratti del caporalato legalizzato nelle cooperative del Nord o del bracciantato schiavizzato nell’agricoltura del Sud, poco importa, il copione è sempre lo stesso: lavoratori usa e getta, senza uno straccio di diritto, ricattati dalla minaccia dell’espulsione, della perdita del permesso di soggiorno, disposti a tutto pur di racimolare qualche quattrino per sopravvivere, spremuti fino all’osso all’occorrenza per poi essere eliminati, quando rivendicano diritti, una paga degna, condizioni di lavoro migliori.
Ma questa volta la vicenda di Johnson e dei suoi compagni non si è persa nell’ombra come accade per molte altre. Questa volta si è trasformata in denuncia e, cosa eccezionale, in un permesso di soggiorno umanitario per protezione sociale a cui è seguita la condanna degli schiavisti da parte del Tribunale di Locri.
Era l’aprile del 2011 quando Ben Johnson ed altri cinque suoi connazionali iniziarono a lavorare presso i Palumbo, titolari di un’aziensa agricola di Brancaleone. Alcuni di loro lo avevano fatto anche negli anni precedenti. La storia dei cinque è di quelle ascoltate altre centinaia di volte: una baracca fatiscente da dividere in sei, una decina di ore di lavoro sottopagato a raccogliere broccoli (per circa 5 euro l’ora) condivise con altre quindici persone, per lo più ghanesi ed indiani, la promessa di un’assunzione che non arriverà mai ed una “padrone” mai contento.
La mattina del 17 maggio 2011, il titolare chiede loro di lavorare “come cavalli” ed accusa Johnson di essere lento. In pochi minuti al ghanese viene dato il ben servito. Per questo Ben chiede di avere i pochi soldi che gli spettano. Ma le cose vanno male, la situazione diventa tesa ed il figlio dei Palumbo pensa bene di colpire ripetutamente Johnson al volto, prima con schiaffi, poi con una bastonata che gli procura una ferita lacero contusa alll’occho sinistro.
Il gruppo di ghanesi chiama i carabinieri che intervengono sul posto. Poi, assistiti dal Centro Sociale Ex Canapificio di Caserta, insieme all’Avv. Tonino Barberio, Ben ed i suoi amici decidono di andare fino in fondo. Accade di rado. La stragrande maggioranza dei lavoratori si arrende di fronte ad una legge che ancora non riesce a pensare chi è sfruttato come vittima da tutelare e non offre protezioni in grado di funzionare da leva per l’emersione dal lavoro schiavistico.
Eppure l’Italia, con il decreto 109/2011, anche se tardivamente, ha recepito la Direttiva 52/2009 in materia di contrasto al lavoro irregolare. La situazione non è però mutata di molto. Le condizioni imposte per il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario per chi denuncia sono troppo restrittive, mentre le disposizioni previste dall’art 18 del TUI possono essere utilizzate solo in rarissimi casi.
In buona sostanza, laddove non ci sono violenze, criminalità organizzata, sfruttamento seriale, il rilascio di un titolo di soggiorno a chi denuncia e quindi l’assicurazione della sua testimonianza, sono pressoché impossibili.
Non è stato così in questo caso. La relazione dei Carabinieri giunti sul posto dopo la chiamata dei lavoratori, quell’occhio frantumato dal bastone impugnato da Saverio Palumbo, il racconto del gruppo, non hanno lasciato margini alla Procura di Locri che ha deciso di concedere ai lavoratori la protezione ai sensi dell’articolo 18 del TU.
Mimma D’Amico, del Centro Sociale Ex Canapificio di Caserta non ha dubbi.“Offrire ai migranti la possibilità di accedere alla giustizia e di denunciare i datori di lavoro che li sfruttano con il rilascio di un permesso per protezione umanitaria è di fatto una rarità! Figurarsi poi ottenere anche la condanna di due datori di lavoro nella locride!”. Per questo ciò che è avvenuto il 3 dicembre è un fatto importantissimo.
Sebbene i due datori, imputati di estorsione, violenza e furto di energia elettrica, siano stati condannati solo per le lesioni procurate ad una delle vittime di sfruttamento lavorativo, la sentenza emessa dal Tribunale Penale Collegiale di Locri appare eccezionale. Non accade spesso che dei magistrati indaghino sulle violenze commesse da datori di lavoro su cittadini stranieri in condizione irregolare e che il meccanismo di tutela, seppur fragile, previsto dalla disciplina dell’immigrazione, venga azionato per delle vittime di sfruttamento lavorativo.
Allo stesso modo, non accade frequentemente che dei braccianti africani denuncino gli abusi che sono costretti a subire da datori di lavoro senza scrupoli e poi si presentino in tribunale a confermare le dichiarazioni rilasciate davanti ai Carabinieri.
Ma in questo caso, grazie a Ben ed ai suoi connazionali, il Tribunale Penale Collegiale di Locri ha condannato alla pena di un anno di reclusione e al pagamento del risarcimento del danno di € 4.000,00 oltre alle spese legali, Palermo Saverio, figlio di Palermo Pasquale titolare dell’azienda agricola in Brancaleone.
Durante il dibattimento è emerso un contesto lavorativo di estremo disagio ma nonostante lo stato di continua soggezione, la mancata retribuzione pattuita e la condizione di sfruttamento lavorativo in cui versavano i quattro braccianti, i Palumbo sono stati assolti dall’accusa di concorso in estorsione.
Ora Ben è a Rosarno per la raccolta delle arance ed alloggia per la stagione nella tendopoli di San Ferdinando.
I suoi tre colleghi, Yaw, Francis e Boadi, che hanno testimoniato contro i Palumbo, grazie al progetto “Rosarno …e poi” finanziato dalla Fondazione con il Sud e gestito dal Centro Sociale ex canapificio e dal CIR, stanno svolgendo un tirocinio retribuito con una borsa lavoro presso tre cooperative sociali del casertano che fanno agricoltura biologica su terreni confiscati alla camorra.
“Un fiammifero acceso nel buio di centinaia di migliaia di lavoratori stranieri che in Calabria e nel Sud Italia vivono e lavorano in condizioni di sfruttamento estremo”cosi ha commentato la sentenza l’Avv. Tonino Barberio.
Una vittoria della dignità che fa luce su una storia di ricatti e violenze, di sfruttamento e disprezzo, ma getta ancora una volta l’ombra su una normativa incapace di tutelare le tante vittime dell’infernale circuito dello schiavismo.