La storia li ha separati, la musica li ha riuniti. Un’Algeria inedita: note e voci di un Paese spesso dimenticato.
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/01/sandra_haifa.jpg[/author_image] [author_info]di Alessandra Abbona. Classe 1968, press officer, giornalista free lance, è laureata in scienze politiche e poi in antropologia sociale, con particolare interesse per migrazioni, Mediterraneo e Medio Oriente. Ha sviluppato conoscenze sugli intrecci religiosi, sulle culture e subculture nei paesi del Mediterraneo. La musica è la sua passione. Da anni cura la rubrica musicale per Popoli, mensile dei Gesuiti. E’ inoltre una mamma ansiosa ed è allergica a chi non ha mai dubbi. Il suo blog è http://notonlylanga.blogspot.
30 gennaio 2014 – Un giorno, mentre mi trovavo nella Fnac di Avignone e stavo scartabellando tra pile di cd in offerta, mi sono imbattuta in una compilation di tre dischi dedicati alla musica algerina. Era il 2003, anno dell’Algeria in Francia (per tutto un anno vengono dedicate attività culturali ad un paese prescelto), e la mia passione quasi feticista per il Maghreb mi portava da tempo oltralpe alla ricerca di libri, dischi, mostre e quante più tracce possibili, legate alla storia e alla cultura dei paesi nostri dirimpettai sulla costa meridionale del Mediterraneo.
In quella compilation c’erano diverse cose interessanti, ma come mi succede di consueto, spesso “inciampo” in una canzone e ne rimango ipnotizzata, riservandole decine e decine di ascolti compulsivi. Quella volta il pezzo si intitolava “Alger Alger” e la voce che lo eseguiva era magnetica, asessuata, infantile e straordinariamente unica. Una sventagliata di pianoforte apriva le danze, con un sottofondo di fisarmonica e un tocco di cafè chantant: quel francese, però, era masticato tra frasi di arabo dialettale algerino. “J’aime toutes les villes en peu plus Paris, la kil masci comme l’Algerie, comme elle est belle…Algiè Algiè shal el haba, où est tu Place du Gouvernement… Kalbi kalbi”. Un inno straziante alla città più bella del Mediterraneo, più bella di Parigi, kalbi kalbi, cuore mio, non ti posso dimenticare. Lili Boniche era il cantante: ci misi un momento a capire che era un uomo (la voce ingannava non poco) e un po’ di più a scoprire che Lili era il diminutivo di Elie, un nome non propriamente musulmano. Elie Boniche, detto Lili, era ebreo. Un ebreo di Algeri. Tic, un interruttore scattò nella mia testa. Da quel giorno mi immersi a capofitto nella storia sefardita del Maghreb.
Un libro mi illuminò in prima battuta: “Memorie ebraiche” di Lucette Valensi e Nathan Wachtel (Einaudi 1996), una sorta di “Mondo dei vinti” sefardita, ovvero una ricca raccolta di testimonianze di ebrei maghrebini. Quindi, la mia francofilia mi aiutò: le connessioni tra la metropole e le ex colonie erano molte e interessanti. Poco alla volta approfondii le mie ricerche e scoprii che molti tra i più apprezzati musicisti algerini (così come tunisini) del passato erano ebrei.
Lili Boniche, nato ad Algeri nel 1921 da genitori ebrei amanti della musica, e scomparso a Parigi nel 2008 – dove si era stabilito come la quasi maggioranza dei 150 mila ebrei algerini dopo l’indipendenza dell’Algeria nel 1962 – era noto come il “crooner della kasbah”. Fu, tra gli anni ‘40 e ‘50, una vera star della musica giudeo-andalusa e dello chaâbi. Boniche registrò numerosi dischi, così come si esibì alla radio algerina per anni. Possiamo definirlo come l’alfiere della musica “orientale” (così si chiama, con una mutuazione dal francese, quello stile tipico dei paesi del mondo arabo, benché l’Algeria non si trovi nel Mashrek, l’Oriente, ma nel Maghreb, l’Occidente). Cantante, chitarrista, virtuoso di liuto, Boniche divenne la voce “orientale” anche in Francia, dove si produsse per anni in caffè, teatri, feste private.
Contemporanea di Boniche fu l’affascinante Line Monty (nata Eliane Sarfati), classe 1926 e scomparsa nel 2003. Volto da diva hollywoodiana e voce vellutata e versatile, fece girare molte teste grazie al suo fascino e alla sua bravura. Anche il suo era un repertorio di chaâbi e rumbe, che all’epoca spopolava: le sue canzoni miscelavano francese e dialetto algerino, segno distintivo dell’identità meticcia algerina e di un paese che era un vero melting pot di culture e lingue, non ancora omologato dall’arabizzazione forzata degli anni post indipendenza. Talentuosa, si esibì anche con il mito della canzone egiziana Farid El Atrache (che però era un druso libanese, ma questa è un’altra storia). Di lei ricordiamo in particolare “Ana louliya”, “Ma guitare, mon pays”, “L’orientale”.
Andando più indietro non possiamo non citare Cheikh Raymond, nato Raymond Raoul Leyris, cantante, suonatore di oud e direttore di orchestra giudeo-andalusa, nato a Costantina nel 1912, e qui assassinato misteriosamente con un colpo di pistola nel 1961. Grande virtuoso di malouf, fu a capo di una delle orchestre più richieste sia per eventi privati, sia in radio e successivamente alla televisione. Suo genero, che iniziò con lui, è il famosissimo Enrico Macias (sempre ebreo, nato Gaston Ghrenassia), uno dei nomi più amati della canzone melodica francese.
Altro nome imprescindibile è quello di Reinette l’Oranaise, nata Sultana Daoud nel 1915 a Tjaret, da padre ebreo marocchino e madre ebrea algerina. Cieca a causa di un’infezione dall’età di due anni, la piccola Sultana venne iniziata allo studio del canto e della musica sotto la guida di Messaoud Médioni, stimato musicista ebreo dell’epoca (zio di un altro musicista di successo, Maurice el Medioni, di cui parleremo più avanti), il cui nome d’arte era Saoud l’Oranais, proprietario di un caffè a Orano.
Soprannominata Reinette, la ragazza si rivelò un talento precoce: suonò la darbouka, poi il mandolino e infine lo liuto. Si esibì con le più importanti voci dei suoi anni, accompagnando anche orchestre maschili. Anche lei dopo il 1962 lasciò il paese per stabilirsi nella periferia parigina. Furono anni, quelli francesi, di oblio e di rimozione. Finchè negli anni 80 partì una riscoperta delle sonorità giudeo-andaluse. Reinette fu rilanciata dalle radio e iniziò una nuova carriera che la portò nei principali teatri della capitale francese e non solo: si spense nel 1998, ormai riconosciuta come la leggenda della musica orientale.
In anni più recenti una storia sorprendente merita di essere raccontata. Nel 2003 la giovane regista di origine algerina Safinez Bousbia, in vacanza nella terra dei suoi genitori, a spasso per i vicoli di Algeri conosce il proprietario di una bottega in cui si era fermata a fare acquisti.
Mohamed el-Ferkioui, ora artigiano, un tempo fu allievo del conservatorio cittadino, sotto la guida di El Hadj Mohamed El Anka, grande maestro di chaâbi, la musica popolare della Casbah. Immediatamente la regista capisce che si tratta di una straordinaria storia da raccontare e decide di riunire, 50 anni dopo la loro separazione, gli anziani musicisti – ebrei, arabi, pieds-noirs (i francesi d’Algeria) – che fecero la storia di “El Gusto”, una mitica orchestra algerina degli anni Cinquanta. Mohamed el-Ferkioui, Mustapha Tahmi, Robert Castel, Rachid Berkani, Maurice el-Medioni (pianista ebreo, che accompagnò spesso anche Lili Boniche) e molti altri, sono tornati a suonare insieme nei teatri francesi: nasce un disco straordinario, “El Gusto – L’histoire les a séparés, la musique les a réunis” e l’omonimo film uscito nel gennaio 2012.
Un tassello di quell’Algeria perduta – che vide per quasi 2000 anni gli ebrei vivere fianco a fianco con kabili, romani, cristiani, arabi e francesi – possiamo sentirlo proprio in queste note e queste voci.