Un racconto dell’alluvione che ha colpito la provincia di Modena, provocando gravi danni in una zona già segnata dalle scosse di terremoto del 2012. Le voci dei volontari, le analisi sul rischio idrogeologico, le contraddizioni della politica.
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/Andrea-Cardoni.jpg[/author_image] [author_info]testo di Andrea Cardoni. Andrea Cardoni è responsabile comunicazione Anpas Nazionale. Ha pensato e raccontato, con video, foto e cose scritte, storie e tante care cose dei villaggi rurali della Tanzania, dei terremoti dall’Aquila all’Emilia, di un partigiano che ha più di 100 anni che si chiama Garibaldo e di suo nonno Remo.[/author_info] [/author].
Fotografie di Luigi Ottani. Video tratto da Youreporter.
Eppure l’11 gennaio scorso i volontari della Croce Blu di San Prospero gliele avevano mandate, al sindaco, le foto di come erano messi male gli argini del fiume Secchia. Nessuna risposta. Adesso invece, dopo nemmeno due settimane, quei volontari devono correre a organizzare turni, notti insonni sulle brandine, prendere giorni di ferie dal lavoro perché devono asciugare tutto e bisogna trovare idrovore e stivali, bisogna evacuare le case, togliere il fango dalle strade, dagli appartamenti e dai negozi.
A parte il New York Times, la notizia dell’allagamento che in poche ore ha colpito Bomporto, Soliera, Solara, Ravarino, Bastiglia, Albareto, San Matteo, San Pietro in Elda, Staggia e parte di Finale Emilia, non è passata molto sui giornali o in televisione, a parte le testate locali. In Italia non si è saputo che in Emilia, proprio nella zona dove c’è stato il terremoto un anno e mezzo fa, adesso le stesse persone sono sfollate, ancora.
Un video di Youreporter mette a confronto le immagini girate nei luoghi alluvionati con le riprese fatte dall’automobile di street view.
In evidenza sulle home page dei siti internet dei Comuni, della Regione Emilia Romagna e della Provincia di Modena ci sono ancora le domande di contributo per la ricostruzione del terremoto o l’IBAN per fare le donazioni per scuole o per il Comune con la causale “SOS Emergenza Terremoto”.
Tutta colpa della nutria.
All’indomani dell’inizio dell’emergenza, quando sono cominciate a girare in rete le prime immagini di Bomporto totalmente sott’acqua, la colpa è stata subito data alla nutria che scavando gli argini del fiume li ha resi più deboli e ha provocato il cedimento dell’argine. A colpevolizzare i roditori c’è anche una interpellanza parlamentare.
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In realtà, come emerge anche dagli studi fatti dai geologi, se c’è una colpa è da imputare, come sempre, all’incuria di un bipede che, fin dai tempi dei romani, aveva deviato il corso dei fiumi, costruito canali e argini, ma che poi all’indomani dell’ultimo terremoto, non ha saputo fare manutenzione di ciò che aveva costruito.
«Da secoli nella zona della Pianura Padana esiste una fittissima rete di canali, ma questa rete ha perso efficienza perché l’anticlinale di Mirandola si è sollevata 15/20 cm durante la sequenza sismica del 2012 e, di fatto, ha sconvolto l’equilibrio idrodinamico dell’area. Per questo i canali non riescono più a drenare l’acqua di quelle zone», dice Carmine Lizza, geologo e responsabile nazionale di Protezione Civile Anpas. «Le altre cause sono imputabili alla tipologia di terreno, che non assorbe perché in superficie è argilloso e non permette l’infiltrazione dell’acqua. Sotto questo strato, spesso 5-6 metri, ci sono le sabbie e le falde che sono in equilibrio idrodinamico con il Secchia, il Panaro e il Po. In questo momento i corsi d’acqua scorrono più alti rispetto ai territori circostanti e quindi i fiumi perdono il loro potere drenante».
“Mancano solo le cavallette”
Una falla di circa 5 metri sull’argine del fiume Secchia aperta per due giorni ha provocato danni enormi per le comunità che si stavano appena rialzando dal terremoto. Scherzando c’è stato chi, viste la difficoltà di reperire materiale per tappare il buco in poco tempo, ha pensato di farlo con le macerie del terremoto. La rassegnazione degli emiliani viaggia su twitter: «2012 Terremoto, 2013 Tromba d’aria, 2014 Alluvione. 2015 Invasione Aliena? Pioggia di meteoriti? Cavallette?».
All’indomani di ogni calamità (frane, alluvioni, terremoti) l’Italia si scopre sempre più un paese a elevato rischio idrogeologico: secondo quanto riportato nel documento “Il rischio idrogeologico in Italia” (redatto dal Ministero dell’Ambiente nel 2008 utilizzando i dati contenuti nei Piani di Assetto Idrogeologico), complessivamente le aree ad alta criticità idrogeologica risultano pari a 29.517 km quadrati.
Secondo Legambiente, in un dossier pubblicato lo scorso 22 novembre 2013 (pochi giorni dopo l’alluvione in Sardegna), i comuni italiani con aree ad elevato rischio di frana o alluvione sono 6.633, con l’esposizione al rischio del 9,6% della popolazione. Fonti Irpi-Cnr dicono che, per inondazione, tra il 1963 e il 2012 i morti sono stati 1580, 805 i feriti e 66 di ispersi. Solo negli ultimi dieci anni sono stati spesi oltre 3,5 miliardi di euro con Ordinanze di Protezione Civile per far fronte a eventi idrogeologici (Fonte Dipartimento della Protezione Civile, 2013).
Ma in quanti, privati cittadini, fanno qualcosa per evitare tutto questo? Quanti, ad esempio, sanno cosa fare in caso di alluvione? Quanti sanno cosa fare per prevenire i danni del terremoto? In base a quanto previsto dalla legge 100 del 2012 in materia di protezione civile, ogni comune dovrebbe disporre e rendere pubblici i piani comunali di emergenza. Sui 7.759 comuni presenti in Italia, sono 5.887 (il 76%) quelli che dispongono di un piano di emergenza. In Emilia su 348 comuni, sono 267 (il 77) i comuni che si sono dotati di un piano. In Campania solo il 34% dei comuni (214 comuni su 551) dispongono di un piano di protezione civile. Ma come vengono diffusi questi piani? Chi conosce il piano di emergenza di protezione civile del proprio comune? Ma quanto siamo preparati a tutti questi rischi? E quanto invece siamo preparati a cercare la colpa nei buchi delle nutrie?
Forse nemmeno Esopo avrebbe potuto trovare la morale di questa storia, che poi è sempre la stessa da qualche anno a questa parte: dal terremoto de L’Aquila alla frana di Saponara del 2009, dall’esondazione del Bacchiglione in Veneto del 2010 all’alluvione in Lunigiana e a Genova del 2011, dal terremoto del 2012 in Emilia, all’alluvione del 2013 in Sardegna fino all’ultimo, ancora in Emilia, pochi giorni fa.
Ricorrono le date, le cause vere e le cause finte, la disinformazione, i capri (o le nutrie) espiatori e gli sciacalli, l’aumento dei prezzi dei camper o degli stivali di gomma nelle zone colpite. È sempre la stessa storia e, parafrasando Mark Twain, dalle cavallette agli sciacalli fino alle nutrie, la storia non si ripete, la storia, purtroppo, fa le rime.