Sud Sudan: un silenzio colpevole

Il Sud Sudan sta diventando un’emergenza umanitaria e nessuna prospettiva concreta di pace è all’orizzonte.

[author] [author_image timthumb=’on’]http://www.buongiornoafrica.it/wp-content/uploads/2012/06/raffa01.jpg[/author_image] [author_info]di Raffaele Masto. Faccio il giornalista e lavoro nella redazione esteri di Radio Popolare. Nei miei oltre venti anni di carriera ho fatto essenzialmente l’inviato. In Medio Oriente, in America Latina ma soprattutto in Africa, continente nel quale viaggio in continuazione e sul quale ho scritto diversi libri dei quali riferisco in altri spazi del blog www.buongiornoafrica.it. Insomma, l’Africa e gli africani, in questi venti anni, mi hanno dato da vivere: mi sono pagato un mutuo, le vacanze e tutto ciò che serve per una vita di tutto rispetto in un paese come l’Italia.[/author_info] [/author]

 

28 febbraio 2014 – Da Malakal, capitale dello stato sud sudanese di Upper Nile arrivano notizie di guerra. Malakal è ormai una città fantasma: è stata presa dai ribelli, poi conquistata dai governativi e alcune settimane dopo attaccata ancora dai ribelli.

Ci sarebbero stati sanguinosi combattimenti nei pressi del giacimento petrolifero di Paloich, uno dei più ricchi del Sud Sudan, nella regione di Upper Nile. Unità ribelli hanno sostenuto di aver preso il controllo di Akoka, una località a nord di Malakal vicina ai pozzi. Secondo il quotidiano Sudan Tribune, citato dall’agenzia Misna, oggi Paloich vale il 70% della produzione nazionale di greggio.

Notizie affatto confortanti arrivano anche dalla regione di Jongley. Nella città di Bor, sulla carta in mano ai governativi, ci sarebbero stati nuovi scontri. E nuove fughe di civili che avevano lasciato la città e avevano cercato sicurezza nei dintorni.

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Così le fila di profughi, sfollati interni e rifugiati in paesi vicini, soprattutto in Etiopia, si ingrossano. Il Sud Sudan sta insomma diventando una emergenza umanitaria allo stesso modo di come lo è stato per i lunghi anni di guerra civile tra Nord e Sud.

A quei tempi la situazione umanitaria si acutizzava periodicamente tanto che l’Onu, per almeno due decenni, ha fatto dell’intervento di aiuti e soccorsi in Sudan la più importante operazione della sua storia.

In tutto questo quadro non si parla di pace. I negoziati di Addis Abeba sono praticamente naufragati. Il cessate il fuoco concordato il 23 gennaio non è stato rispettato da nessuno.

Se non si vuole cronicizzare la guerra civile in Sud Sudan è urgente che la comunità internazionale faccia qualcosa. I mediatori africani hanno fallito? Se ne trovino altri. Che Europa, Stati Uniti e Cina facciano sedere al tavolo non delegazioni dei due signori della guerra, ma i due signori della guerra, cioè il presidente Salva Kiir e il suo rivale ed ex presidente Riek Machar.

E se anche questa operazione fallisse che si avvii un procedimento su di loro per crimini di guerra e contro l’umanità. Certo la Corte dell’Aja conta poco in Africa ed è contestata. Ma ai due signori della guerra e al loro entourage non piacerà veder bloccare i loro conti all’estero (che certamente avranno), non piacerà sentirsi limitati nei movimenti perché mezzo mondo nega loro il visto di ingresso. Insomma che si faccia qualcosa.

La guerra in Sud Sudan altrimenti diventerà una di quelle solite guerre africane che non fanno rumore, che non si conquistano l’attenzione dei media occidentali, ma che sono una macchina per la produzione di profughi, di sofferenze. Una macchina poi che risucchia denaro per assistenza e operazioni umanitarie. Insomma, si faccia in fretta qualcosa.

 



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