Nella zona di Rosarno, in Calabria, ci sono oltre duemila migranti che lavorano come braccianti e vivono in condizioni disumane. La denuncia della onlus Medici per i Diritti Umani
di Lorenzo Bagnoli
24 marzo 2014 – Rosarno, Piana di Gioia Tauro. La stagione agricola è al termine. I casolari abbandonati che punteggiano la piana sono abitati ancora da centinaia di lavoratori migranti. “Una situazione chi si ripete da anni, invariata”, denuncia Cristina Riso dell’Arci Reggio Calabria, che da anni viaggia nei luoghi dello sfruttamento. I più di duemila schiavi della zona in dieci ore di lavoro si portano a casa tra i 25 e i 30 euro. Si spaccano la schiena per raccogliere arance rosse, clementine, olive, tutto cià che proviene dai campi calabresi e che troviamo nei supermercati. La onlus Medici per i diritti umani (Medu) il 12 marzo è andata nella Piana per dare assistenza sanitaria ai migranti. In un mese e mezzo, Medu ne ha aiutati 150, per la maggior parte provenienti da Burkina Faso, Mali, Ghana, Costa d’Avorio e Senegal.
I risultati della missione sul campo verranno discussi alla Camera dei Deputati il 25 marzo. Perché il problema della Piana non è una ferita aperta solo per la Calabria, Puglia, Campania e Sicilia. Ha infettato anche la Franciacorta, tra Lombardia e Veneto, la provincia di Cremona: il Paese intero.
In oltre il 70% dei 150 casi monitorati da Medu, i lavoratori possiedono un regolare permesso di soggiorno e il 45% è titolare di un permesso per protezione internazionale o per motivi umanitari. Quasi tutti sono qui da più di due anni e parlano un buon italiano. Ecco i numeri degli schiavi di San Frediano, la più grossa tendopoli della zona. Il ministero dell’Interno ha investito 40 mila euro – l’unico intervento fatto finora, denuncia Medu – per disinfestare la zona e aggiungere un allaccio elettrico, almeno per parte della tendopoli. Ma non esiste altro. I migranti sono costretti a dormire in condizioni disumane, respirando le polveri dell’eternit. Fuori dai loro giacigli, accatastano bombole del gas e rifiuti. All’interno, si riscaldano dando fuoco a legno e altro materiale. Le finestre filtrano acqua e le pareti si sgretolano, corrose dall’umidità. D’altronde non hanno altre possibilità di guadagno: “Vivono in condizioni economiche in cui anche 30 euro fanno la differenza”, continua Cristina Riso. Alcuni sono stati costretti a tornare nella Piana dopo aver perso il lavoro al Nord. Questi campi sono stati testimoni della prima rivolta dei migranti. A Rosarno, il 7 gennaio 2010, dopo l’ennesimo ferimento di tre braccianti, era partita la loro protesta. Ancora a dicembre il 2013 pubblicava un bollettino di morti, uccisi da auto pirata nel tragitto per tornare a casa.
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I colpevoli non vanno cercati solo tra le file della ‘ndrangheta. “L’unica inchiesta in cui sono stati coinvolti direttamente mafiosi è stata Migrantes, condotta quattro anni fa dal procuratore Giuseppe Creazzo – dice Cristina Riso – Ora come ora gli interessi della ‘ndrangheta non emergono dalle carte dei processi”.
Finora non c’è traccia di gestione diretta. Questo non significa che la ‘ndrangheta non tragga profitto da questo mercato.
Nella Piana non c’è latifondo, non esiste monopolio. Sono tanti i proprietari a disporre di appezzamenti di terra. E in tanti reclutano braccia offrendo questi prezzi e questi servizi: “Tra i responsabili della situazione di Rosarno c’è anche l’economia globale. Gli agricoltori usano questi metodi di lavoro perché il mercato impone costi di lavorazione bassissimi”, spiega Riso. Meno costa il lavoro, più ingrossano gli introiti.
Per di più, il settore agricolo non è mai stato protagonista di sanatorie per regolarizzare i braccianti. Un caso? No, visto che è il lavoro nero lo strumento per mantenere il costo del lavoro a livelli minimi.
Soluzioni per uscirne ne esisterebbero. Prima di tutto, una normativa che rendesse più agevole la ricerca del lavoro per chi è titolare di protezione internazionale. E poi bisognerebbe seguire l’esempio di Acquaformosa, nel cosentino, un borgo che rischiava di essere abitato solo da anziani, visto che giovani l’hanno lasciato per cercare lavoro altrove. L’hanno popolato altri migranti, provenienti dal Sud ancora più profondo. E così si sono garantiti un giaciglio degno di questo nome.
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