Save Beirut Heritage/2

Si chiama ”Coalizione della società civile contro il progetto dell’autostrada”. È un collettivo di una ventina di associazioni, un’organizzazione dal basso, per contrastare un progetto di costruzione di un’autostrada a sei corsie nel centro di Beirut

testo e video di Alessandra Fava, da Beirut

31 marzo 2014 – La strada, progettata nel 1961, chiamata autostrada Fouad Boutros, è stata recentemente resuscitata dall’amministrazione comunale. Il tracciato prevederebbe di collegare il porto con via Damasco grazie a un mostro a sei corsie, che di fatto replica i numerosi cavalcavia costruiti negli anni Sessanta e Settanta per mettere in connessione vari quartieri cementificati sempre più a casaccio. In realtà fu già allora un palliativo che non ha mai portato a vere soluzioni, perché terminato il cavalcavia le auto ridiscendono nel solito inferno cittadino, come racconta il giornalista Samir Kassir (ucciso nel 2005) in ”Histoire de Beirut” (edizioni Perrin).

Ecco perché ora gli abitanti sono molto scettici quando qualcuno promette soluzioni magiche agli ingorghi automobilistici. Ma ci sono altre ragioni che spingono i beirutini a dire di no al progetto: la paura che un altro pezzo di città scompaia, che caseggiati più o meno antichi vengano distrutti per essere reinventati dalle grinfie degli speculatori oppure anche gli ultimi quartieri centrali rimasti ”intatti” si trasformino con l’ennesimo progetto di gentrification, gentrification che sta conquistando metro quadro per metro quadro diverse zone, specialmente qui in centro, vedi una parte di Gemmayze, popolata di gallerie, concept store e ristorantini.

La manifestazione organizzata sabato 1 marzo a Mar Mikhael in via Al Nahr ha radunato centinaia di persone. Poche, dicevano alcuni. Tante, visto che è la prima uscita ufficiale della popolazione, commentavano altri. Per l’occasione sono comparsi giornalisti e telecamere, comprese quelle della tv libanese Lbc (Lubnan Broadcasting Corporation), ribattezzata ironicamente in città ”Lubnan Bidou Coulotte” (tv senza mutandine), a causa delle ampie scollature delle sue anchorwoman. Lo stereotipo è sconfitto oggi da una cronista giovane, dinamica e decisamente vestita, che segue attenta tutta la manifestazione, dando spesso il microfono ai manifestanti coricati per strada mentre urlano slogan all’amministrazione comunale tipo ”comune, comune, se passa l’autostrada passiamo nel tuo ufficio” oppure alla gente affacciata ai balconi ”venite giù, scendete in strada” e altre frasi contro la corruzione nella macchina pubblica.

Gli organizzatori oltre alla musica che rimbomba da un impianto stereo, hanno portato un paio di tappeti di erba finta, che stendono per terra in strada, man mano che il corteo avanza, in modo che i manifestanti non si sporchino gonne e calzoni e stiano seduti comodi.
Così il corteo cammina lentamente e ogni tanto si ferma per un sit-in sull’erba (sintetica). Anche questa una bella metafora in una città dove si fa fatica a trovare angoli verdi.

Il progetto alternativo all’autostrada l’ha studiato un architetto-urbanista, che sta seduto in disparte e preferisce non farsi riprendere. Si chiama Habib Debs, da 15 anni cerca di far qualcosa per migliorare i piani urbanistici della sua città: «È un anno che cerchiamo un’alternativa a questo progetto che risale agli anni Sessanta e risente di una visione delle città completamente diversa – dice Debs – Paradossalmente proprio a causa di questo progetto, i palazzi sono stati preservati perché già allora furono espropriati dallo Stato, oggi sono di proprietà pubblica e ci vivono inquilini con vecchi contratti. Negli ultimi mesi abbiamo avuto diversi incontri con l’amministrazione e la cosa importante è che il Comune ha deciso di fare uno studio d’impatto sul traffico, sugli edifici e sulla popolazione del quartiere. È un bel passo in avanti. Certo c’è un fenomeno di gentrification anche a Beirut, ma questo succede in tutto il mondo – aggiunge Debs – Quel che manca da noi è una preservazione del patrimonio edilizio nei piani regolatori urbani. Così Beirut oggi rischia di perdere il suo patrimonio in modo irreversibile. Gli amministratori ci dicono: lo Stato è in fallimento, non abbiamo soldi e non possiamo acquistare i palazzi per proteggerli. Ma in questo caso le case sono già proprietà dello stato e quindi non ci vuole molto. Solo qui, in via Armenia, ci sono edifici costruiti dall’età ottomana a oggi. Non tutti avranno un valore incredibile, ma è giusto cominciare da qualche parte».

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