La Corte di Appello di Torino conferma e inasprisce le pene per i proprietari dell’Eternit di Casale Monferrato. Con una sentenza che potrebbe diventare storica, segnando il confine del profitto privato rispetto alla salute dei cittadini e dei lavoratori
di Christian Elia
Quando arrivano in tribunale, con le loro bandiere italiane legate attorno alle spalle come un mantello, sembrano tifosi della nazionale. Oppure manifestanti dell’Anpi, per una festa della Liberazione. Ma su quelle bandiere c’è scritto: ETERNIT: GIUSTIZIA! Non parlano di calcio, non si riferiscono a una guerra, almeno non a quella del 1945.
Quella dell’Eternit, a modo suo, è stata una guerra. Con la sua Coventry, la sua Dresda, che si chiama Casale Monferrato, provincia di Alessandria, Piemonte, Italia. Le persone che non si sono mai perse un’udienza, per anni, sono quelli che a Casale sono rimasti, contando le vittime della tragedia dell’amianto prodotto dalla fabbrica Eternit che nella cittadina piemontese ha funzionato dal 1907 al 1986. Ci lavorarono 5mila persone. Si calcola che le fibre di amianto disperse nell’aria per anni abbiano causato la morte di 1800 persone, tutti per mesotelioma pleurico, un male che ti soffoca dai polmoni. Un dramma, che non ha finito di uccidere, perché il male ha un’incubazione fino a trenta anni. E tutti, a Casale, hanno perso un genitore, un figlio, un amico.
L’ultimo funerale, che ormai in paese è un rito collettivo, si è svolto il 31 maggio scorso, per salutare Paola Chiabrero Gazziero, morta di mesotelioma a soli 36 anni. C’erano tutti a salutare Paola, con i palloncini bianchi. Lei non ha potuto sentire le parole della corte d’appello di Torino, il 3 giugno 2013, quando i giudici del secondo grado di giudizio hanno inasprito le pene già pesantissime del primo grado (leggi qui il testo integrale della sentenza tratto da IlMonferrato.it).
Stephan Schmidheiny, il magnate svizzero che ha costruito un patrimonio immense grazie anche all’Eternit, a 18 anni di reclusione per disastro ambientale doloso e omissione dolosa di misure di sicurezza. In primo grado, il manager era stato condannato a 16 anni. Per l’altro imputato, il conte belga Louis De Cartier, deceduto il 21 maggio scorso, la Corte ha deciso il non luogo a procedere. I giudici hanno inoltre quantificato in 30,9 milioni di euro la somma da risarcire al Comune di Casale Monferrato.
“La sentenza apre grandi prospettive anche per le vicende di Taranto e per le altre città che attendono giustizia”, ha dichiarato il pubblico accusatore Raffaele Guariniello. “Non è finita qui e non è finita nel mondo”, ha aggiunto Guariniello, definendo la sentenza “importante e da diffondere. Qui in Italia siamo riusciti a fare un processo che nessuno è riuscito a fare in nessuna parte del mondo”.
Nessuno potrà ridare il sorriso ai parenti delle vittime, la bonifica sarà lunga e costosa, ma questa sentenza è come una pietra miliare: il profitto non può e non deve essere più importante delle vite umane. Qualcuno dei parenti, dopo la lettura della sentenza, sulla sua bandiera italiana, sotto la scritta ETERNIT: GIUSTIZIA! ha aggiunto è fatta.