Kiev costretta alla guerra in cambio dei prestiti, un ricatto del Fmi?
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di Matteo Zola, tratto da East Journal
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6 maggio 2014 – Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha approvato aiuti per 17 miliardi di dollari all’Ucraina. Il pacchetto di aiuti sarà spalmato su due anni e prevede il pagamento immediato di 3,2 miliardi di dollari. Il secondo e terzo versamento saranno condizionati a revisioni e al rispetto dei criteri stabiliti. Soldi necessari per un paese di fatto già in bancarotta che, voltando le spalle a Mosca, ha rinunciato anche ai soldi che il Cremlino era pronto a dare sull’unghia senza altra condizione che la fedeltà. Il Fondo monetario di condizioni invece ne chiede più d’una. E si tratta di condizioni sia economiche che politiche.
Tra queste ce n’è una, applicata all’Ucraina, che sorprende. Sfogliando il rapporto ufficiale del Fondo sul prestito all’Ucraina, a pagina nove, punto diciassette si legge:
Traditionally, policy implementation risks have been significant in Ukraine […]. The program is addressing these risks by seeking upfront implementation of a critical set of prior actions […]. In addition – and perhaps more prominently – the unfolding developments in the East and tense relations with Russia could severely disrupt bilateral trade and depress investment confidence for a considerable period of time, thus worsening the economic outlook. Should the central government lose effective control over the East, the program will need to be re-designed.
Tradotto: attuare politiche economiche in Ucraina è da sempre difficile. Soprattutto adesso che le relazioni con la Russia sono tese e la situazione nell’est del paese non è sotto controllo. Questo potrebbe influenzare pesantemente il commercio bilaterale, deprimendo la fiducia degli investitori per un lungo periodo di tempo e peggiorando le prospettive economiche. Quindi, dice il Fondo, nel caso in cui il governo di Kiev dovesse perdere l’effettivo controllo sulle regioni orientali, il programma di prestiti dovrà essere rivisto.
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Cosa significa? Significa che il governo di Kiev, se vuole quei soldi, dovrà portare avanti tutti i piani “anti-terrorismo” possibili e immaginabili per riprendere il controllo dell’est anche se questo dovesse portare a un conflitto aperto? E’ vero che senza quei soldi il governo non ha possibilità di sopravvivere, è una questione di vita o di morte, ma questa chiave di lettura risulta un po’ forzata.
D’altro canto, a guardar le cose con obiettività, è normale che un prestatore di denaro ponga delle condizioni a garanzia del suo prestito. E il Fondo dice: “Se il Paese non è sotto controllo, prestare soldi è un rischio troppo grande”. Si tratta quindi di un ricatto del Fondo, come scrivono alcuni, o di una normale misura per tutelare il proprio denaro? Non si può però fingere che il Fmi sia un prestatore di denaro qualsiasi, esso è de facto il braccio finanziario del blocco euro-atlantico e le sue misure hanno una ricaduta politica evidente. Ecco perché quella condizione – il controllo, giocoforza manu militari, dell’est del paese – fa pensar male.
La questione è delicata. E sorprende come il quotidiano La Stampa la affronti senza alcuna volontà di verifica: citando un anonimo blog americano, si chiede in modo sibillino se “c’è una clausola dietro al prestito del Fmi”. Basta leggere i documenti ufficiali, che sono pubblici, per capire come stanno le cose ma per i giornalisti de La Stampa è forse più semplice dare informazioni di seconda mano.
Di clausole, il Fondo monetario, ne mette parecchie. E interrogarsi sulla sua efficacia nello scenario ucraino è doveroso in ogni caso. Anzi, senza montare casi dove non ci sono, è sufficiente guardare a quelli che ci sono. Oggi l’Fmi è a modello dell’economia neoliberista e si basa sulla convinzione che il libero mercato sia la soluzione migliore per lo sviluppo economico. Per questo agisce attraverso tre canali principali: la svalutazione della moneta locale; la riduzione del deficit di bilancio; le privatizzazioni massicce. Questo comporta aumento dell’inflazione, a causa della svalutazione, e quindi l’impoverimento. I tagli di bilancio si concentrano sul settore pubblico, colpendo sanità e istruzione. Le privatizzazioni tolgono qualsiasi controllo ai prezzi delle utenze.
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Il Fondo eroga soldi solo a patto che se ne accettino i piani di aggiustamento economico. Gli Stati che accettano perdono sovranità economica. Le politiche economiche del Fmi sono obbligatorie, e scavalcano la consultazione dei cittadini: la democrazia ne esce perciò impoverita. I cittadini, esasperati dalla disoccupazione e dall’inflazione, protestano invano. E per questo sempre più violentemente. Diventa allora necessario rafforzare gli organi di sicurezza e reprimere il dissenso. Così la democrazia viene messa ulteriormente in serio pericolo.
Le ricette del Fmi sono risultate sbagliate, per sua stessa ammissione, in Grecia (dove hanno fatto “un errore di calcolo“) e potrebbero risultare devastanti in Ucraina non tanto per la tenuta economica del paese ma per quella sociale.
Cosa succederebbe se l’attuazione delle politiche del Fondo avessero anche in Ucraina effetti negativi? Come succederebbe se la popolazione di Kiev tornasse in piazza a protestare contro il governo e le (sue) misure economiche? Quali forze politiche, in un contesto così instabile, prenderebbero il sopravvento? E come la Russia approfitterà della situazione?
La cosa peggiore per il governo di Kiev è la mancanza di alternative. Tenuto in ostaggio dagli ultra-nazionalisti, minacciato dai separatisti russi, con un esercito sfilacciato, senza un soldo in cassa, in balia dei denari altrui e privo di sovranità effettiva: il governo ad interim si trova di fronte sfide impossibili e non saranno i soldi del Fondo, dati con il contagocce e con troppe condizioni, a salvarlo. Se si vuole davvero garantire all’Ucraina un futuro democratico, le condizioni in cambio del prestito non dovrebbero essere tanto stringenti dal privare il Paese della sua sovranità economica, poiché non si può pensare che essere vassallo del blocco euro-atlantico sia diverso dall’esserlo del Cremlino.
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