Se son rose fioriranno – 2

Dopo Orfeonica, ecco socialFondazza

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di Bruno Giorgini

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6 maggio 2014 – Potrebbe sembrare pleonastico raccontare, dopo l’associazione Orfeonica di via Broccaindosso, la social street di via Fondazza, essendo che le due strade corrono infra moenia l’una a poche centinaia di metri dall’altra, presumibilmente più o meno con la stessa composizione sociale. In Broccaindosso ci sono cinque trattorie, una osteria e un bar, inoltre una scuola media superiore, in Fondazza soltanto un bar, una osteria, e , fino a ieri, un bistrot con cucina provenzale, una sede universitaria, una chiesa e il museo Morandi – il pittore che metteva l’infinito in una bottiglia, le sue famose nature morte, abitava qui.

Eppure, sebbene praticamente contigue, esistono tra le due forme di autorganizzazione differenze significative. Intanto nell’origine. Se l’Orfeonica nasce con una festa di strada nel lontano 1987, organizzata tramite il porta a porta persuadendo gli abitanti praticamente uno per uno, il gesto primigenio fondativo della social street di Fondazza è stata la creazione – nel settembre del 2013 – di una pagina Facebook per i residenti, quel che si dice un “gruppo chiuso” cui qualcuno – gli amministratori, non so bene come lo si diventi, credo per cooptazione – deve autorizzarti a entrare. Recita l’intestazione “Questo gruppo vuole riunire i residenti di Via Fondazza per socializzare, creare eventi, avere un punto di riferimento dove condividere idee, necessità, progetti, iniziative”.

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Il gruppo Facebook fondato nel settembre 2013 da Federico Bastiani, giornalista, è arrivato oggi a 894 persone, non soltanto abitanti la strada in senso stretto. Sono iscritti un assessore, un famoso cantante, un nutrito gruppo di giornalisti e/o operatori della informazione e comunicazione, lavoratori della scuola e molte persone afferenti non solo l’università di Bologna ma a colpo d’occhio quasi tutte quelle italiane, nonché alcune straniere dall’Europa al Cile fino agli USA. Compaiono poi un certo numero di imprenditori di sè stessi, essenzialmente lavoratori cognitivi, però nessuno, se non erro, si definisce precario, e anche tre o quattro che si qualificano militanti politici tra Rifondazione, SEL e M5S, fino a qualcuno che scrive: amministratore di social street, difficile dire se per scherzo – ma sono in genere tutti molto seri – oppure per desiderio di riconoscimento sociale – il cominciamento di una futura burocrazia? Infine in questa schematica rassegna citiamo entità collettive quali una banca del tempo, una biblioteca, il Labas occupato,centro sociale molto attivo.

Non sono presenti su Facebook alcuni artigiani, negozianti e pensionati della via che pure partecipano alle inizative della social street in vari modi, ed è difficile dire quanti altri siano esclusi, volenti o nolenti, da questa pagina dei residenti, mentre in otto mesi è stata convocata una sola assemblea della socialFondazza, un’ora prima della conferenza pubblica di Loretta Napoleoni sull’economia del mutuo soccorso, che si teneva il 17 novembre 2013 al centro di documentazione delle donne, in una via adiacente. Quell’assemblea, con la conferenza di Napoleoni, fu l’inizio materiale delle attività, quando la realtà virtuale della conoscenza e relazione simbolica si trasfuse in realtà dove si incontrano i corpi, i/le cittadini/e in carne e ossa.

Quasi nello stesso periodo, essendo uno dei fondazziani fotografo, vengono fatte le foto ritratto di molti residenti che si danno appuntamento sotto il portico – un’occasione per metterci la faccia, come dicono. I ritratti vengono poi esposti, siamo al 9 febbraio 2014, appesi al muro del complesso di S.Cristina e arriva anche il sindaco Virginio Merola. D’altra parte non ha detto forse uno dei “portavoce” informali trattarsi di “nuove modalità di relazione tra cittadini e ente locale? Collaborare si può, condividere serve, la collaborazione è un bene comune da difendere con i denti. La cittadinanza attiva è una mediazione e un incontro tra bravi cittadini e bravi amministratori, prima di tutto”.

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Mentre si sviluppano pratiche di buon vicinato con episodi di solidarietà attiva, il metodo per produrre eventi, fatti, iniziative più ampie è basato sull’autodeterminazione, ovvero qualcuno/a ha un’idea che propone sulla pagina Facebook, altri/e la condividono e si parte per la realizzazione pratica. Nascono così il trekking, la lettura ad alta voce, gli auguri collettivi di Natale sotto i portici, il cinema domenicale per i bambini, l’insegnamento delle lingue, francese inglese spagnolo, sempre per i più piccini –l’attenzione verso i/le fanciulli/e è particolarmente significativa, e benemerita, in una città che per i più piccoli ha in genere pochi spazi e poca attenzione – un concerto, alcune conferenze sulla storia/ le storie di Fondazza, la via avendo quarti di nobiltà antichissimi.

Fu infatti il centro della antica Felsina, capitale commerciale della nazione etrusca, quindi luogo di streghe per approdare nel Novecento a strada di malavita con signorine lussuriose e fuorilegge leggendari. Abitava al 44 di San Petronio Vecchio, che incrocia con Fondazza, Paolo Casaroli bandito degli anni ‘50 che cita Sartre e Nietzsche nonchè capobanda di acerrimi rapinatori. Quando la polizia li bracca nemmeno i dieci proiettili che gli mettono in corpo riescono a ucciderlo, mentre la sua storia verrà raccontata nel film “ La Banda Casaroli” diretto da Florestano Vancini con uno splendido Renato Salvatori (1962). Casaroli che, uscito da Porto Azzurro, aprì un negozio proprio in Fondazza, morendo nel 1993.

Ma riprendiamo il filo dell’autodeterminazione che sembra portarci a Spinoza, laddove scrive essere la democrazia “una società che esercita collegialmente il potere in modo tale che tutti sono tenuti a obbedire a se stessi, senza che nessuno sia costretto a obbedire a un proprio simile”. Però, scusandoci col grande Baruch, accade che non tutte le ciambelle riescano col buco, perchè nemmeno l’autodeterminazione permette di tenere lontano il conflitto e la burocrazia comunale.

Un gruppo si costituisce per dare forma alla “green street”, la strada verde. I partecipanti si ritrovano per costruire delle fioriere riciclando due pallet dove vengono messe delle piante di fotinia, poi collocate sotto il portico. Non si vede a chi possano dare fastidio, eppure prima una delle piante viene spezzata in modo meticoloso rametto per rametto da ignoti – i fondazziani reagiscono con un volantino che recita: “Chi lo ha fatto deve vergognarsi” – poi interviene l’autorità comunale a dire che no, non va bene che qualcuno si sia permesso di mettere mano all’arredo urbano senza chiedere i dovuti permessi qua e là. Così tra violenza privata esercitata contro la pianta e vincoli comunali, le fioriere scompaiono mentre, a tutt’oggi, ancora non sono ripristinate, nè par probabile che lo siano a breve. Così naufraga il primo tentativo di modificare l’arredo urbano, tramite l’autorganizzazione dei /delle cittadini/e.

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Nel contempo il comune in varie forme sembra chiedere l’aiuto dei cittadini per pulire – gratis è ovvio – un giardino, tra l’altro privato, e altre manutenzioni – la sussidiarietà ben nota – e persino Hera, società dell’energia quotata in borsa e destinata al profitto, insomma privata seppure con capitale a maggioranza pubblico, fa capolino sulla soglia delle social street. Hera, i cui manager guadagnano montagne di danaro, e contro l’ipotesi di Renzi per porre un tetto alle loro retribuzioni si è mosso il sindaco Merola levandosi sdegnato in difesa degli emolumenti manageriali. Sperando che anche Hera non faccia appello al senso civico magari per il lavoro gratuito nell’ educazione della cittadinanza alla raccolta differenziata con varie e eventuali.

A questo punto la socialFondazza rischia di essere muta, deprivata della sua autonomia e inabilitata all’azione sociale urbana diretta, con una pura funzione sul piano cittadino di sussidiarietà definita da altri poteri. Due sono le questioni in ballo: democrazia e conflitto. Come dice l’antico sapiente, “il conflitto è il padre di tutte le cose, bisogna avere alla mente che il conflitto è comune ad ambo le parti e giustizia è contesa”. La tua giustizia non è detto sia la mia, anche se siamo amici, abitiamo lo stesso pianerottolo o addirittura condividiamo lo stesso letto. E la fioriera che per me è bella e buona, per te può essere offensiva, può ferire una qualche tua credenza o sensibilità.

Nemmeno Gesù Cristo mise d’accordo non dico tutti coloro ai quali predica, ma neanche i suoi dodici apostoli. Di fronte al conflitto intrinseco nelle relazioni sociali, anche le più elementari, o ci si rifugia nel dogma divino, la teologia, o umano, l’ideologia, oppure si apre lo spazio pubblico, qualunque sia, virtuale o reale, globale o di strada, al dubbio e alla critica manifesta, cercando la persuasione e concludendo quando sia il caso con un voto che definisca una maggioranza e una minoranza, nel rispetto del dissenso. Per le fioriere tanto quanto per i rapporti con le istituzioni e gli altri poteri.

La democrazia diventa anche necessaria quando la socialFondazza campeggia su molti media italiani e stranieri generando un effetto valanga che produce social street un poco ovunque, facendone volenti o nolenti un fenomeno emergente nel panorama della politica urbana, a Bologna per esempio nella partita per la città metropolitana. Al primo convegno delle social street, tenutosi il 22 marzo, intervengono a introdurre ben quattro iscritti alla pagina Facebook di Fondazza, di fatto portavoce senza delega o mandato, tutti uomini, mentre invece nelle iniziative di strada sono ben presenti, quando non generatrici e protagoniste, molte ragazze e donne. Sembra quasi che agisca una inconscia divisione di origine patriarcale, tra il lavoro di cura della strada appannaggio delle femmine, e il portato simbolico e politico di quello stesso lavoro monopolizzato dai maschi. Non si tratta di un fatto trascurabile e/o ideologico perché costituisce un limite materiale al pieno dispiego di una socialità libera e egualitaria, tanto nel macrocosmo della società intera, quanto nel micromondo di una social street.

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Concludendo siamo di fronte a una esperienza di dinamica urbana fortemente innovativa, che aumenta il numero dei gradi di libertà del cittadino, il suo campo d’azione, e le dimensioni della sua socialità, quindi molto ricca e complessa, ma anche inevitabilmente, problematica. Un’esperienza che mescola antiche incrostazioni sociali e politiche, se non antropologiche, con nuovi orizzonti, bisogni, desideri, sogni, ambizioni, conflitti che camminano con le gambe dei cittadini/e in presa diretta.

Un’esperienza inoltre che fa gola a molti, per molti diversi motivi e interessi. Leggendola con l’alfabeto – se volete col codice – delle reti, abbiamo una prima rete che si costituisce tra i/le cittadini/e di una strada dove ogni individuo/abitante è un nodo – complesso in sè e per sè, in quanto dotato di proprietà cognitive e di libero arbitrio (free will) nonchè con un suo patrimonio di cultura, opinioni, convinzioni, emozioni – che stabilisce legami (link) plurimi con gli altri – questa rete di strada interagisce con la rete delle istituzioni e dei poteri già costituiti, e la natura di questa interazione è a sua volta complessa. Quindi anche la rete di strada è un nodo complesso – un hub in gergo – della rete cittadina costituita dalle social street/associazioni di strada, e ognuno di questi elementi ha un suo ritmo evolutivo, sue necessità di crescita, sue contraddizioni – a due passi l’una dall’altra come abbiamo visto l’Orfeonica e la socialFondazza esperimentano modi e prassi diverse.

Insomma abbiamo diverse complessità che si intersecano, incrociano e sovrappongono: quella del/la cittadino/a abitante, quella della rete di strada, quella delle rete di tutte le reti di strada, mentre ognuno di questi elementi interagisce con il complesso delle reti già stabilite, il comune e i consigli di quartiere, le aziende di pubblico servizio, gli altri poteri e associazioni, dalle cooperative agli ordini professionali, ecc… Ora quanto più un sistema è complesso tanto più in genere è delicato, o, per meglio dire, costellato di possibili punti critici, o nodi molto intricati che non puoi tagliare come il famoso nodo gordiano, pena la perdita di complessità e di dimensioni, se si vuole il taglio del nodo gordiano riduce la biodiversità sociale e i gradi di libertà del sistema. Per cui se si vuole che fiorisca, la/e rosa/e va coltivata con cura , pazienza e fantasia sapendo che il suo fusto è pieno di spine.

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