Quando l’anarchia verra’

Cento anni della storia di un movimento in un documentario

tratto da Rai Storia

13 maggio 2013 – Senza governo: è l’idea che dalla metà dell’800 circola in Europa e in America, diventando un credo, uno stile di vita. Il termine negli anni ha assunto un connotato negativo: nell’accezione più comune, infatti, anarchia significa caos. Ma nella storia del movimento e delle idee significa il sogno della libertà.

Il movimento anarchico, nato nella seconda metà dell’Ottocento, oggi è vivo nel pensiero e negli scritti degli anarchici che fanno sentire la loro voce soprattutto come singoli. Individui che credono realizzabile la libertà e l’uguaglianza sociale, in vista delle quali ognuno deve operare con tutte le sue forze senza deleghe al potere. La maggior parte di loro si raccoglie nella Federazione Anarchica Italiana. L’Archivio della FAI, la Rivista Anarchica, periodici come “Libertaria”, “Umanità nova”, l’uso di una propria tipografia a Carrara, l’adesione ideale e appassionata di personalità della cultura e dell’arte, tra cui Fabrizio De Andrè, Dario Fo, Ascanio Celestini, danno voce ad un movimento volutamente privo di strutture forti.

Al centro della concezione anarchica è il principio del non delegare, che respinge l’autoritarismo, propone l’abolizione dello stato, e si muove nella speranza e con il fine di costruire una società libera ed egualitaria. Linee ideologiche storiche si possono far risalire, in Italia, a Carlo Pisacane, che propone l’unione dei Comuni, realizzata secondo le esigenze locali, e, in Europa, a Bakunin, che sostiene che lo stato deve essere abbattuto, fosse anche la dittatura del proletariato, e che la rivoluzione deve essere opera di tutto il popolo e non solo di una sua avanguardia. Una posizione, questa, che nel 1861, nella Prima Internazionale Socialista, lo porta al conflitto con Marx e ad essere espulso dall’Internazionale stessa.

 

In Italia nell’Ottocento emergono come figure storiche Andrea Costa, Enrico Malatesta e Carlo Cafiero. Andrea Costa organizza nel 1874 un’insurrezione in Romagna, resta due anni in carcere e poi lascia il movimento anarchico. Diviene il primo parlamentare socialista in Italia, convinto che si debba entrare nelle istituzioni per riformarle dall’interno. Enrico Malatesta teme invece i pericoli delle tattiche elettorali. Il movimento anarchico è radicato soprattutto nelle regioni già dello Stato Pontificio: primeggiano le città di Carrara, Ancona, Ferrara. Vi aderiscono lavoratori manuali, autodidatti, sindacalisti. Carrara, con i tagliatori delle sue cave, diventa la capitale degli anarchici e tanti ne ospita in un suo cimitero sconsacrato (fra cui Gino Lucetti, combattente, insieme ad altri, contro il fascismo).
Le persecuzioni spingono ad emigrare migliaia di anarchici, in particolare negli Stati Uniti. Qui, nel 1927, finiscono sulla sedia elettrica, dopo sette anni di prigione, ingiustamente accusati di omicidio, Bruno Sacco e Bartolomeo Vanzetti, sindacalisti, sui quali pesa il razzismo anti italiano e la paura dei sovversivi. Solo nel 1977 il governatore del Massachusetts li riabilita totalmente.
Nel mondo molti attentati terroristici vengono ricondotti alla matrice anarchica. Tra questi l’uccisione dello zar Alessandro, della principessa Sissi, del re italiano Umberto I, per uccidere il quale torna apposta dagli USA l’anarchico Gaetano Bresci, mosso anche dallo sdegno per il favore accordato dal monarca al generale Bava Beccaris. Gli anarchici appaiono così come “bombaroli”, pur non essendo gli unici ad usare le bombe e pur opponendosi alla guerra. A Barcellona, invece, al tempo della guerra civile, offrono del movimento il volto della solidarietà nella produzione e distribuzione di beni.

Nel 1945, al termine della seconda guerra mondiale, in Italia vi sono molti i gruppi anarchici, ma la loro operatività non si concretizza sia perché lo stato si organizza presto ed efficacemente, sia perché la guerra fredda dirotta le energie sul fronte politico. Il ’68 ha poi una matrice libertaria, ma non prevalentemente anarchica, tanto che Cohn-Bendit rinfaccia agli anarchici di non essere più rivoluzionari. Il 1969 è l’anno, tragico, della bomba di Piazza Fontana con i suoi 17 morti (della cui responsabilità sono totalmente scagionati gli anarchici) e della morte di Giuseppe Pinelli, l’anarchico volato dalla finestra della questura dopo tre giorni di interrogatorio. L’inchiesta diretta da Gherardo D’Ambrosio individua una causa accidentale della caduta.

Oggi, come spiega Ascanio Celestini, le frange estreme del movimento anarchico possono operare nei movimenti di autogestione, fra gli animalisti, fra i pirati informatici e nei gruppi insurrezionalisti no global, squatter, black bloc, anche se sono fenomeni marginali e non rispecchiano lo spirito profondo del movimento anarchico attuale. Che è poi facile colpevolizzare perché manca di coordinate organizzative e quindi consente l’infiltrazione di elementi estranei.

 

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