Decine le vittime, decine di migliaia gli sfollati: una stima dei danni per ora è impossibile, ma che pesa come un’ombra sul futuro
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-15-alle-20.39.17.png[/author_image] [author_info]di Francesca Rolandi. Storica, ha portato a termine un dottorato in Slavistica e si occupa di studi sulla Jugoslavia socialista. Ha vissuto a Belgrado, Sarajevo, Zagabria e Lubiana e ha provato a raccontarle per PeaceReporter, Osservatorio Balcani Caucaso, Cafebabel e Profili dell’Est[/author_info] [/author]
18 maggio 2014 – Divise da molte cose, unite da una catastrofe ambientale che non trova riscontro nell’ultimo secolo. La Serbia e la Bosnia Erzegovina, paesi vicini e lontani, sono in queste ore in ginocchio a causa delle esondazioni e delle frane. I territori più minacciati sono quelli della Bosnia centrale, dove a far paura è il fiume Bosna e della Serbia meridionale, dove a minacciare è la Sava.
Decine di migliaia gli sfollati, decine le vittime, una stima dei danni per ora impossibile, ma che pesa come un’ombra sul futuro.
La situazione più grave appare al momento essere quella della città di Doboj, interamente sommersa da un muro d’acqua di due metri, dove si contano la maggior parte dei morti in Bosnia Erzegovina, e migliaia di persone sono rimaste intrappolate, senza corrente, cibo e acqua potabile, negli appartamenti ai piani alti, mentre i piani inferiori erano allagati. Un numero destinato ad aumentare, come ha sottolineato il sindaco Obren Petrovic, perché diverse parti della città non sono ancora state ripulite.
Segue il triste primato la città serba di Obrenovac, completamente ricoperta dall’acqua, dove si registra un numero al momento non identificato di perdite.
Oltre alle città allagate, nei villaggi sono state le frane a portare via spesso interi nuclei abitati. Case costruite alla bell’e meglio, senza intonaco, spesso indice di un trasferimento recente, o di una ricostruzione in tutta fretta, che in molti casi non sono state scelte volute ma dettate dalla guerra.
Così gli elicotteri evacuano, le persone attendono aiuti dai tetti delle case, il terreno si scioglie inghiottendo case, asfalto, automobili.
Smottamenti e alluvioni, inoltre, in un territorio ancora in parte minato come quello bosniaco, possono significare una fuoriuscita delle mine dai territori identificati come minati in zone considerate fino a oggi sicure.
Si sta assistendo a una grandissima prova di solidarietà da parte della popolazione, che si sta mobilitando e organizzando per portare aiuti materiali, mentre dall’altra parte si registrano i primi casi di sciacallaggio con speculazioni sui generi di prima necessità e furti in case abbandonate precipitosamente.
Cosa succederà dopo la guerra, si chiede lo scrittore bosniaco Aleksandar Hemon, quando l’acqua si ritirerà e la popolazione si scontrerà con una nuova ricostruzione, con nuove e più grosse difficoltà e con l’incapacità dei politici locali, impreparati davanti a ogni evenienza. E di fronte a ondate d’acqua che non si fermano davanti ai confini etno-nazionali disegnati sulla mappa della Bosnia Erzegovina dall’accordo di Dayton.