La FIFA e gli stereotipi sul Brasile

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/1015058_4778608114201_571572631_o.jpg[/author_image] [author_info]di Elena Esposto. Nata in una ridente cittadina tra i monti trentini chiamata Rovereto, scappa di casa per la prima volta di casa a sedici anni, destinazione Ungheria. Ha frequentato l’Università Cattolica a Milano e si è laureata in Politiche per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo. Ha vissuto per nove mesi a Rio de Janeiro durante l’università per studiare le favelas, le loro dinamiche socio-economiche, il traffico di droga e le politiche di controllo alla criminalità ed è rimasta decisamente segnata dalla saudade. Folle viaggiatrice, poliglotta, bevitrice di birra, mediamente cattolica e amante del bel tempo. Attualmente fa la spola tra Rovereto e Milano[/author_info] [/author]

27 maggio 2014 – Vi è mai capitato di trovarvi a parlare di stereotipi? Quelle conversazioni dove la gente dice cose tipo “tutti gli italiani sono mafiosi”. Niente mi mette a disagio come queste situazioni, specialmente quando questo accade in un gruppo dove ci sono esponenti di diverse nazionalità. Non che io sia completamente immune a questo tipo di fenomeno; in fondo gli stereotipi sono necessari per aiutarci a capire il mondo, per non finire, come dice uno dei miei insegnanti, in un ospedale psichiatrico. Gli stereotipi ci aiutano a semplificare la realtà che ci circonda. È che alla fine qualcuno finisce sempre per fare uno scivolone e dire qualcosa di offensivo o politically incorrect.

Come la FIFA.

Qualche tempo fa è stato pubblicato un dossier sui mondiali in Brasile. Una delle sue parti, chiamato “Brazil for beginners”, presenta un decalogo per i turisti e appassionati di calcio che metteranno piede in Brasile il prossimo giugno.

Il dossier, pieno proprio di stereotipi, ha sollevato uno scandalo pazzesco tanto è vero che la FIFA lo ha ritirato presentando le sue scuse ai brasiliani.

Io sono andata a cercarmi la lista, l’ho letta, ci ho riflettuto e ora vi dirò come la penso.

1) In Brasile un “Sì” non significa sempre “Sì”: è l’intonazione della voce che vi farà capire se è un “sì” o un “forse”. Per questo se qualcuno vi dice “ti chiamo tra un attimo”, non pensate che il telefono squilli nei prossimi cinque minuti.

Questa è una delle prime cose con cui mi sono scontrata i primi mesi in cui vivevo a Rio. In Brasile non si può certo dire di avere difficoltà a conoscere persone nuove, a fare amicizie dal momento che le occasioni non mancano. La spiaggia, le rodas de samba, le feste e persino l’autobus. All’inizio è esilarante avere intorno un sacco di gente che ti dimostra amicizia e simpatia, ma attenzione. Le due frasi più ricorrenti in portoghese sono “a gente se fala” e “a gente se ve” traducibili con i nostri “ci sentiamo” e “ci vediamo” pronunciate da persone che probabilmente non sentirete e non vedrete mai più nella vostra vita. Se questo non è sicuramente un comportamento esclusivamente brasiliano e non è un comportamento di tutti i brasiliani tenetevi pronti. La probabilità che il telefono squilli è davvero molto bassa.

2) La puntualità non esiste. Un ritardo di almeno 15 minuti in un appuntamento è la norma.

La questione del ritardo in Brasile ha due facce, quella ufficiale e quella informale. Quando frequentavo l’università, a tutti gli studenti stranieri era stato fatto presente che il livello di ritardo tollerato in classe era zero, e infatti lo era davvero. La stessa cosa non si può dire delle situazioni informali: nessuno si sognerebbe mai di arrivare puntuale alla festa perché la probabilità di trovare il padrone di casa sotto la doccia o di venire reclutato per apparecchiare la tavola e sistemare il salone è altissima. Certo, la velocità con cui scorre il tempo non è uguale per tutte le regioni del Paese. Il ritmo di São Paulo e quello di Salvador sono distanti anni luce l’uno dall’altro ma in definitiva, se capisco che i quindici minuti citati nel testo abbiano offeso i brasiliani del Sud, considerati i ritmi del Nordest mi pare che siano una buona stima del ritardo medio nazionale.

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3) I brasiliani non sono abituati all’usanza europea di mantenere un educata distanza gli uni dagli altri. Parlano con le mani e si toccano molto.

“Usanza europea di mantenere un educata distanza gli uni dagli altri”??!? Di che europei stiamo parlando? Degli ungheresi, dei finlandesi o forse dei tedeschi? Perché, se la mia memoria non mi inganna, mi pare di aver sperimentato elevati livelli di contatto fisico anche con italiani, croati e spagnoli. Sto scadendo di nuovo negli stereotipi, vero? Sì, avete ragione, passiamo al prossimo punto.

4) La fila non è nel DNA dei brasiliani. C’è più una corsa a chi arriva prima. 

In nove mesi che ho vissuto in Brasile ho fatto innumerevoli file, all’ufficio postale, all’ufficio immigrazione, all’aeroporto, alla biglietteria dell’autobus, fuori dai concerti e dai musei ma le migliori gomitate le ho prese a Milano facendo la fila fuori dai camerini di H&M quando vado a fare shopping. La fila non è nel DNA dei maleducati e di quelli, cara FIFA, è pieno il mondo.

5) Nel traffico vince il più forte e i pedoni sono ignorati, perfino sulle strisce quasi nessun automobilista si fermerà volontariamente.

Qui lo scivolone è clamoroso. Se dobbiamo fare di tutta l’erba un fascio almeno facciamolo con stile. È evidente che in città delle dimensioni di Rio, São Paulo, Belo Horizonte o Brasilia il traffico sia folle. È una questione di stile di vita urbano più che di cultura nazionale, chi è stato a Beirut, Budapest o Parigi (solo per fare tre esempi di città dove ho subito seri attentati alla mia vita di pedone) lo sa benissimo. Per quanto riguarda il resto del Brasile, quello rurale o quello della foresta amazzonica, beh, mi risulta molto difficile immaginare qualcuno investito da un carretto trainato da un cavallo o dalla canoa di un indio.

6) Quando andate a mangiare carne in una churrascaria, preparatevi con un digiuno preventivo e aspettate i pezzi migliori, che arrivano alla fine.

Se i brasiliani si sono offesi per il riferimento al churrasco in nome del fatto che la cucina brasiliana è molto più varia sottoscrivo in pieno. Pato no tucupí, pão de queijo, tuti, feijoada, tapioca, bolo de mandioca, cocada… sono solo alcuni dei miei piatti preferiti, e la lista potrebbe continuare. Se invece la perplessità riguarda le porzioni mi dispiace, ma la FIFA ci ha preso in pieno.

7) Assaggiate l’açai, un frullato energetico prodotto con il frutto di una palma.

L’açaí si ricava dal frutto di una palma tipica della regione amazzonica, la stessa da cui si produce il palmito, e si presenta sotto forma di palline scure che macinate rilasciano un succo violaceo e denso. L’açaí ha un altissimo potere nutriente ed è un alimento base della dieta nella regione amazzonica. Si può mangiare puro (sconsigliato vivamente ai deboli di stomaco, infatti essendo ricco di massa fibrosa è un po’ difficile da digerire) oppure diluito, zuccherato e ghiacciato, presentato sotto forma come di granita. È il nettare degli dei!

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8) Pelle nuda e corpi femminili possono essere comuni durante il Carnevale ma non fanno parte della vita di tutti i giorni. Anche se i bikini brasiliani sono più ridotti di quelli europei sono comunque sempre indossati. Abbronzarsi in topless è severamente vietato e chi lo fa può ricevere una multa.

Vero. Se i bikini “filo interdentale” non sono una leggenda ma un’autenticissima realtà, il topless è qualcosa di totalmente sconosciuto sulle spiagge brasiliane.

9) Niente spagnolo: la lingua nazionale è il portoghese. Se dite che Buenos Aires è la capitale del Brasile potreste essere deportati.

Non capisco se qui si debbano sentire più offesi i locali o i turisti. Probabilmente è vero che 90% della gente che andrà a vedere i mondiali è ancora convinta che la capitale del Brasile sia Rio de Janeiro e c’è un sacco di gente di mia conoscenza che quando dico che sono stata in Brasile mi dicono: “Ah, ma allora parli spagnolo”, però grazie a Dio non tutti hanno il debito di geografia dal primo anno delle elementari fino alla laurea. Poi che tra argentini e brasiliani ci sia campanilismo è innegabile, ma anche se non ci fosse credo che un filo di nervoso verrebbe a chiunque. È come quando la gente mi chiede se la capitale dell’Ungheria è Bucarest o quando, trovandomi in altri continenti, dico che sono italiana e in tutta risposa la gente commenta “io ho un amico a Madrid”. Forse dovremmo davvero metterci agli angoli delle strade a distribuire libri di geografia alla gente.

10) In Brasile le cose sono in larga parte fatte all’ultimo minuto. Vale anche per gli stadi. E se c’è una cosa che un turista deve ricordarsi è di non perdere la pazienza e tenere i nervi saldi. Un’attitudine brasiliana verso la vita può essere riassunta con: rilassati e divertiti.

Si ripropone il tema del punto 2, tutto dipende dalla zona del Paese in cui vi trovate. Sicuramente avrete bisogno di molta più pazienza a Natal che non a Porto Alegre. Per quanto riguarda l’ultimo minuto non posso contraddire questa somma verità. I brasiliani sono i maestri di prendersi all’ultimo eppure riescono quasi sempre a venirne fuori coperti di gloria. Secondo il giornalista carioca Ruy Castro questo vale per sia le cose del quotidiano sia per i grandi eventi, come la sfilata delle scuole di samba o la preparazione della conferenza internazionale Rio 1992. Nel suo libro dedicato alla città di Rio, Castro racconta come gli osservatori internazionali fossero terrorizzati dal fatto che a distanza di pochissimo tempo dall’inizio della conferenza regnassero ancora il caos e la disorganizzazione più totali. Poi però alla fine tutto filò liscio, anzi, l’evento restò nella storia dell’ONU come uno dei meglio organizzati.

Forse vi sembrerà una banalità ma non c’è niente al mondo, in Brasile come in qualunque altro luogo, che non si risolva con un bel sospiro e una rilassata. Porque no final tudo dá certo.

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