PEPERONI IN FUGA

Sono passati almeno 10 anni dall’uscita di ognuno dei film che rivisiteremo in questo spazio, eppure, nel bene o nel male, nulla pare essere cambiato. Pare che le tematiche siano più attuali del previsto. Dunque, si ripropongono, proprio come i peperoni. Speriamo solo di digerirli il prima possibile

di Alice Bellini

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24 maggio 2014 – Questo Peperone è dedicato a tutti quelli che stanno scappando.

Scappando dalla domenica di voto alle porte. Scappando non solo dal loro primo diritto, ma anche dal loro primo dovere: quello del voto. L’urgenza di esprimere un’opinione è ormai ancora più forte dell’opinione stessa. E quando sento persone che, ormai esauste e scontente della condizione politica attuale, hanno scelto di disinteressarsene e non votare, sento un tonfo al cuore e un senso di confusione incredibile: come si fa a gettare le armi in pieno campo di battaglia e pensare che non si perirà? Come si fa a pensare, anche solo per un istante, che politica e vita quotidiana siano anche solo remotamente slegate? E mi sorprende anche il solo dover porre la domanda.

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Il Sergente Nicola Lorusso direbbe che era perché in Italia non si viveva poi così bene e nessuno lasciava mai che nulla cambiasse. “E allora gli ho detto: avete vinto voi, ma almeno non riuscirete a considerarmi vostro complice”. E il pensiero è capibile, quando ormai sembra che le strade son state intraprese tutte e nessuna ha mai portato a nulla. O peggio, tutte si scoprono avere la stessa, identica meta. Ma forse fuggire, non votare, significa essere ancora più complici.

1991. Gabriele Salvatores. E Mediterraneo, con un cast indimenticabile e quel sapore di Marrakesh Express che ancora aleggia mitico nell’aria. Una storia che sembra una bolla di sapone, con il suo tempismo perfetto, la sua profondità al punto giusto, e la tenerezza di non avere alcuna pretesa, se non quella di riflettere un po’, insieme allo spettatore, come amici seduti attorno a un tavolo con un bicchiere di vino in mano.

Dicono sia un film generazionale. Dicono parli a tutti coloro che oggi, facendo qualche calcolo, hanno più o meno cinquant’anni, anno più anno meno. Che poi sono anche i più preoccupati e i più disillusi. Quelli che la forza gli viene a mancare, che vanno avanti d’inerzia e che costante hanno in mente la domanda “ma che ci proviamo a fare, se tanto poi le cose continuano ad andare così, possiamo dirlo, di merda?”. Ma che poi la speranza e l’ardore dell’ideale non li molla mai e continuano forti a lottare, sempre più intrepidi, sempre pronti in prima linea. 

A loro, di cui anche Salvatores stesso fa parte, e tutti gli attori del cast, Mediterraneo dedica un verso di Henri Laborit: “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”.

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E io, che di anni ne ho a malapena venticinque, mi chiedo se in quelle parole non ci sia, ancor di più, la mia di generazione. La generazione che per antonomasia è in fuga. Quella che senza nemmeno dare una possibilità prende e se ne va (io inclusa). Quella che volge lo sguardo altrove. Quella che al voto manco ci pensa, perché non sono solo i politici a non rappresentarla, ma la nazione stessa e le sue dinamiche di vita quotidiana. Una generazione che si distacca dalla politica perché la politica, probabilmente, non l’ha mai conosciuta veramente, immersa in una realtà di un Parlamento che sembra un Talk Show e liste di Ministri che annoverano reginette di bellezza e mafiosi di varia natura. 

Fuggire, restare. Ma in fondo che cambia? Per dirla alla Seneca, per quanto il cielo sopra la nostra testa possa mutare, sotto ci siamo sempre noi e avremo sempre qualcosa da cui continuare a fuggire. Finché non scopriremo che da qualche parte nel mondo, mentre noi ci isolavamo su un’isoletta isolata e lontana, la Storia continuava a mietere le sue vittime, a fare i suoi armistizi, a fa scoppiare nuove guerre e a creare nuovi motivi di fuga. Per poi raggiungerci nuovamente e obbligarci a tornare al punto di partenza. E allora, cosa avremo risolto?

Così, quello che forse Lorusso non aveva capito è che essere complici non significa dare un voto, ma proprio il contrario. Il silenzio non ha mai motivato il cuore di nessuno, né ha mai fatto sentire le persone più vicine, come anche la fuga non ha mai cambiato le carte in tavola. Un gioco da cui tutti scappano è un gioco fermo, sempre più incancrenito, avulso al cambiamento, impossibilitato a migliorare. 

Mantenersi vivi, ma a che prezzo? Una vita a nascondere la testa sotto la sabbia non è una vita che vale la pena di essere vissuta. Una vita spesa a non prendersi la responsabilità di una scelta e di un’opinione, è solo un respiro sprecato.

Se non saremo noi i primi a dare importanza al nostro voto, nessuno lo farà al posto nostro. E per quanto potremo ostinarci a fuggire, non potremo mai fuggire da noi stessi. E di sicuro non potremo farlo per sempre. Perché per quanto ci troveremo in un’isoletta sperduta nel Mar Greco, essa sarà sempre parte del resto del mondo.

Ci vediamo alle urne. 

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