Il voto serviva per legalizzare il golpe, ma le urne sono rimase deserte. Piccoli incidenti, tanta indifferenza
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/05/foto_Papers.jpg[/author_image] [author_info]di Giuseppe Acconcia, dal Cairo. Giornalista professionista e ricercatore specializzato in Medio Oriente. Corrisponde dal Cairo per il Manifesto e fa ricerca per l’Università di Pavia. È laureato in Economia politica all’Università Bocconi di Milano con tesi sul movimento riformista iraniano. Ha conseguito un Master in Middle Eastern Studies alla School of Oriental and African Studies (Soas) di Londra con tesi sul ruolo dell’esercito in politica in Medio Oriente. Ha insegnato all’Università americana del Cairo e lavorato nella cooperazione euro-mediterranea. Ha pubblicato saggi, è autore de La primavera egiziana (Infinito, 2012) e Un inverno di due giorni (Fara, 2007).[/author_info] [/author]
28 maggio 2014 – Gli egiziani non hanno perdonato all’ex generale Abdel Fattah Sisi la sua discesa in campo in politica. E così hanno boicottato il voto in massa. Ci siamo recati ieri nei quartieri periferici e popolari di Matarriya e Zeitun. I seggi erano completamente deserti. «Chi vuole che andiamo a votare se non c’è Morsi tra i candidati? (l’ex presidente islamista, deposto con il golpe del 3 luglio 2013, ndr)», ci spiega un venditore ambulante in galabya (lunga tunica tradizionale, ndr).
La sua minuscola bottega si trova tra la scuola Musallah e l’ospedale, gestito dai Fratelli musulmani, al Nour. Le strade sono sbarrate da vecchi banchi di scuola, polizia e militari presidiano gli ingressi ai seggi. Non ci sono i minibus della Fratellanza che motivavano elettori ed elettrici ad andare a votare.
E così le urne resteranno aperte un giorno ancora. Il frequentatissimo Centro commerciale City Stars di Medinat Nassr ha chiuso i battenti nel primo pomeriggio di ieri mentre gli altoparlanti invitavano gli avventori ad andare a votare piuttosto che fare acquisti. I trasporti pubblici sono stati resi gratuiti mentre il martedì elettorale è stato dichiarato in fretta e furia giornata festiva.
Le operazioni di voto si sono svolte in relativa calma, anche per la bassissima affluenza. Un ordigno è esploso alle porte del seggio della scuola Lofty di Omraniya senza provocare danni. Tre ordigni sono stati fatti brillare nel governatorato di Giza. Tre manifestazioni di sostenitori della Fratellanza sono state disperse a Kerdasa, Ameriya e Gisr al Suez. Quattro giudici sono stati rimossi dal loro incarico perché, secondo fonti ufficiali, hanno espresso indicazioni di voto nei seggi. Non solo, i sostenitori del nasserista Hamdin Sabbahi, hanno riportato «violazioni sistematiche da parte della polizia e dell’esercito» e brogli all’interno dei seggi. Alcuni sostenitori di Tyar Shaabi, movimento vicino al candidato, sono stati arrestati fuori da alcuni seggi.
Gli effetti della legge anti-proteste
Per sovvertire uno dei provvedimenti più controversi e anti-democratici, approvati nei mesi di governo dell’esecutivo ad interim di Hazem Beblawi prima e Ibrahim Mahlab poi, centinaia di persone hanno marciato nella notte di lunedì per le vie del centro del Cairo. Lo stesso è avvenuto lo scorso sabato quando alle porte del sindacato dei giornalisti si è riunito un gruppo di manifestanti che chiedeva il rilascio dell’avvocato, attivista dei socialisti rivoluzionari, condannata a due anni per aver violato la legge anti-proteste, Mahiennour el Masry.
Il caso di Mahie è paradossale perché aveva partecipato ad un assembramento ad Alessandria per ricordare uno dei simboli delle rivolte del 2011, il giovane Khaled Said, ucciso nel 2010. A tre anni sono stati condannati anche i leader del movimento 6 aprile, dichiarato fuori legge da una sentenza dello scorso aprile, mentre decine di altri attivisti attendono il verdetto per aver violato la norma che impedisce di manifestare.
Alla manifestazione per Mahie dello scorso sabato alle porte del sindacato dei giornalisti al Cairo hanno preso parte centinaia di persone, tra foto di detenuti politici, microfoni, striscioni e altoparlanti, insieme ai principali leader dei movimenti egiziani dal comunista Khaled Ali al socialista Heitam Mohammedin.
Finiti gli interventi di amici e sostenitori per la campagna che chiedeva la liberazione di Mahie, in fretta e furia, sono state portate via le casse ed è iniziato un lungo corteo in violazione della legge: cordoni di attivisti proteggevano la prima linea e la fine del corteo che ha attraversato via Sherif fino a piazza Talaat Harb. Alle porte del partito dell’unione progressista Tagammu, vicino al candidato alle presidenziali Abdel Fattah Sisi, sono scoppiati tafferugli durati pochi minuti con il lancio di pietre e vetri sui manifestanti. La paura che si leggeva negli occhi di chi ha partecipato alla manifestazione era palese, tutti sentivano di stare violando la legge e di non avere alcuna possibilità di raggiungere piazza Tahrir.
Torna il recinto per le proteste
E così anche a causa della legge anti-proteste, lo spazio per il dissenso si è ridotto drasticamente. Dal 25 gennaio 2011, Tahrir è diventata il simbolo dei movimentiperché ha unito migliaia di giovani, ultras, venditori ambulanti, donne, migranti, poveri e attivisti, che hanno formato la loro identità anti-regime occupando lo spazio pubblico. La più grande piazza della città è diventata un laboratorio unico al mondo di «politica di strada». Con gli islamisti al potere e fino al giorno del massacro di Rabaa al Adaweya tutta la città e le piazze delle principali città del paese sono state usate per esprimere il dissenso da parte dei contestatori. Le opposizioni, oltre a presidiare piazza Tahrir, si sono date in varie occasioni appuntamento ad Heliopolis, intorno al palazzo presidenziale di Ittihadeya. E così, l’immenso palazzo, irraggiungibile ai tempi di Mubarak, subito dopo la nomina del primo rais eletto in Egitto, è diventato il luogo dove il presidente poteva finalmente essere raggiunto da chiunque.
Il movimento sociale che ha determinato la caduta dell’ex presidente Mubarak l’11 febbraio 2011 può essere descritto come il tentativo di riappropriarsi dello spazio pubblico e dei palazzi delle istituzioni da parte di ampi strati emarginati della popolazione. Per questo le prime manifestazioni hanno avuto luogo intorno al parlamento (Moghles Shaab), alla sede del governo (Qasr Al-Aini), al ministero degli Interni (via Sheykh Rihan) e per le strade limitrofe a vari ministeri.
In seguito alle rivolte anti-Mubarak, lo spazio pubblico è stato frammentato dai militari proprio per scoraggiare le proteste. Così i manifestanti da Tahrir si sono spostati lentamente verso Qasr Al-Aini per le contestazioni contro la giunta militare. Con il passare dei mesi, nell’estate del 2011, sono iniziati i cortei che, partendo da punti distinti della città (Ramsis, Agouza, Sayeda Zeinab, Mohandessin) hanno raggiunto il centro delle proteste: piazza Tahrir. Mentre Maspero (la tv di stato) è diventata il punto di riferimento delle contestazioni dei cristiani dopo il massacro di copti dell’ottobre 2011.
I contestatori hanno così idealmente superato le mura, costruite in fretta dalle Forze di sicurezza, intorno ai palazzi delle istituzioni pubbliche. Con il golpe dello scorso luglio queste mura sono tornate, più alte di prima anche se immateriali, e ai contestatori, come ai tempi dell’ex presidente Hosni Mubarak, sono rimaste solo le università (ora chiuse per il voto) e il sindacato dei giornalisti, come unici recinti per protestare.
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