Il Medio Oriente di Pasolini

La passione del grande scrittore per il Marocco, i sopralluoghi in Palestina, Israele e Siria per Il Vangelo secondo Matteo e l’idea di Petrolio, un romanzo scomodo che ancora cela molti misteri

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/FacebookHomescreenImage.jpg[/author_image] [author_info]di Susanna Allegra Azzaro. Amo definirmi “cittadina del Mediterraneo”. Le mie origini si perdono tra Sardegna, Genova, Sicilia e Nord Africa, ma è a Roma che sono (casualmente) nata. Lavorare nella cooperazione internazionale mi ha dato la possibilità di vivere un po’ in giro nel mondo; la curiosità, invece, mi ha spinta a cercare di imparare il più possibile dalle culture con cui sono venuta a contatto. Tra il 2008 e il 2009 il lavoro mi porta in Medio Oriente e da allora esso continua ad essere una presenza costante nella mia vita. Recentemente vi sono tornata per approfondire i miei studi della lingua araba colloquiale “levantina”.[/author_info] [/author]

24 giugno 2014 – Al Palazzo delle Esposizioni di Roma è attualmente in corso una mostra su uno dei personaggi più controversi e poliedrici del dopoguerra italiano: Pier Paolo Pasolini.
Regista, scrittore, poeta e pittore. Cercare di definire Pasolini sarebbe riduttivo visti i tanti campi in cui, con uguale successo, si è avventurato nel corso degli anni, ma Pier Paolo Pasolini è stato prima di tutto un esploratore insaziabile.
Non di rado si è spinto in angoli della terra anche ostili e lo ha fatto in nome di quella sua voracità di conoscere e capire le numerose sfaccettature dell’animo umano.

Dalle dimenticate periferie romane ai villaggi sperduti del Medio Oriente, Pasolini ha fatto del viaggio, dell’esplorare (dal latino exploro, indagine su cose sconosciute) la principale arte della sua vita, quella che di conseguenza lo ha portato a divenire poeta, regista e pittore.

 

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Ha avuto l’accortezza di lasciare un “sassolino” dietro di sé in ogni posto dove si è avventurato e numerose sono le testimonianze, scritte e non, dei suoi viaggi.
Pasolini ha da sempre avuto rapporto conflittuale con il Medio Oriente che, se da un lato lo ammaliava con la cultura e storia millenaria, dall’altro provocava in lui una certa inquietudine.
Al 1963 risale un suo viaggio tra Israele, Palestina e Siria in preparazione del film Il Vangelo secondo Matteo e anche se alla fine Pasolini sceglierà Matera come location per il suo film, da quell’esperienza nascerà il documentario Sopralluoghi in Palestina.
Pasolini si recò nei luoghi descritti dalle sacre scritture alla ricerca di volti e ispirazione per il suo film, ma rimase profondamente deluso dalla pesante espansione edilizia poco rispettosa del territorio.

Rimase positivamente colpito dalle “solite facce, tetre, belle, dolci, di una dolcezza animalesca precristiana” degli arabi, ma alla fine si decise a girare il suo film a Matera, dove trovava fosse più semplice ricreare il mondo descritto dalle sacre scritture.
Il suo legame con il Medio Oriente non si recise. Verso la fine degli anni sessanta si recò alcuni mesi in Marocco per il film Edipo Re e negli anni Settanta fece numerosi viaggi tra Egitto, di nuovo Giordania, Iran e l’amatissimo Yemen, dove furono girate alcune scene de Il Decameron e Mille e una notte

Recatosi a Sana’a , la capitale dello Yemen, se ne innamorò a tal punto da girare un documentario indirizzato all’UNESCO affinché si prodigasse a salvare le bellissime mura della città ormai in rovina.
Nel cortometraggio la voce profonda di Pasolini ci racconta con quel suo stile unico la storia e la magia di questo luogo, senza dimenticare di puntare il dito contro chi, attraverso un abusivismo selvaggio tipico di quegli anni, sta mortificando l’Italia e le sue bellezze.

Pasolini descriveva così lo Yemen: «… architettonicamente, è il paese più bello del mondo. Sana’a, la capitale, è una Venezia selvaggia sulla polvere senza San Marco e senza la Giudecca, una città-forma, la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma nell’incompatibile disegno… è uno dei miei sogni».

 

Zabid

Zabid, spiazzo davanti alla casa di Pasolini

Spostandosi verso il sud del Paese, in direzione di Aden, si arriva a Zabid, un piccolo villaggio rimasto fermo in chissà quale epoca remota, dove il bestiame vive libero per le stradine e l’asfalto non ha ancora spodestato la sabbia.
In mezzo a questo labirinto di polvere e costruzioni bianche si trova quella che fu la casa di Pier Paolo Pasolini per un periodo della sua vita.
I mobili sono semplici, ma eleganti, la quintessenza del gusto classico mediorientale. Pur non essendoci assolutamente nulla se non poche case e un piccolo suk, non mi sorprende il fatto che Pasolini abbia deciso di trattenersi oltre il dovuto in questo villaggio.
Qui si ha la sensazione che il tempo scorra più lentamente rispetto al resto del mondo.
I giovani locali indossano l’abito tradizionale bianco con una fascia in vita che sorregge la jambiya, una spada ricurva usata spesso nelle danze locali. Delle donne nel villaggio nemmeno l’ombra.

Del Medio Oriente Pasolini diceva: “Io amo quel mondo, ma senza nostalgia. Lo amo per quello che è ancora e lo amo per quello che è adesso e temo che cambi”. Dubito che sarebbe in grado di rimanere immune dalla nostalgia oggigiorno se vedesse come sono ridotti paesi come la Siria, l’Iraq e lo stesso Yemen.

Mente libera e indipendente qual era, Pasolini cercò di osservare il conflitto tra palestinesi e israeliani in maniera obiettiva e incondizionata.
Passò svariato tempo nei kibbutz per capirne le dinamiche e, allo stesso tempo, rimase sorpreso dalla vivacità di Tel Aviv. Nel 1967 pubblicò delle poesie su Israele e criticò apertamente con una lettera pubblicata su Nuovi Argomenti i comunisti italiani che non riconoscevano lo stato di Israele.

Secondo Pasolini bisognava distinguere il diritto di Israele di esistere dallo stupido sionismo, ma anche i popoli arabi, che amava quasi come “una madre”, dall’irresponsabilità del loro fanatico nazionalismo.

Ma c’era anche un’altra grande piaga nel mondo arabo che Pasolini non mancò mai di criticare: l’avidità dei paesi ricchi di petrolio.
E proprio Petrolio si sarebbe dovuta chiamare la sua ultima opera, “una specie di summa di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie”, opera che non riuscì a completare prima di quel maledetto 2 novembre 1975 quando, in circostanze tuttora misteriose, il corpo di Pier Paolo Pasolini fu lasciato senza vita sul lido di Ostia.

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Un estratto di Petrolio, romanzo incompiuto di Pier Paolo Pasolini. Pubblicato postumo nel 1992 da Einaudi

Ma la sua morte non è l’unico mistero rimasto irrisolto: qualcuno fece sparire dei capitoli di Petrolio e in molti pensarono che tra i due eventi, la morte dello scrittore e il furto, ci potesse essere un collegamento.
Uno dei capitoli in questione, intitolato “Lampi su ENI”, conteneva informazioni delicate sul sistema politico economico dell’epoca e puntava il dito contro l’avidità dei neocapitalisti.
Nel marzo 2010 il tristemente noto Marcello Dell’Utri affermò di essere in possesso del capitolo scomparso, ma molti dubitarono dell’attendibilità dell’informazione.
Il grande sogno di Pasolini era di trasferirsi definitivamente in Marocco e di passare lì gli ultimi anni della sua esistenza.
Qualcuno decise che il suo destino sarebbe stato un altro e che il suo viaggio dovesse finire non troppo lontano da quelle periferie che lui aveva tanto amato e vissuto.

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