Il premier serbo ha epurato i vertici delle forze dell’ordine accusandoli di essere collusi con la malavita, ma c’è il sospetto che si tratti di una mossa per sbarazzarsi di colleghi che non gli andavano a genio
di Lorenzo Bagnoli
@Lorenzo_Bagnoli
6 luglio 2014 – Belgrado, 21 giugno. Durante una conferenza stampa, il premier Aleksandar Vučić epura i vertici di cinque dipartimenti delle forze dell’ordine: polizia, polizia criminale, polizia di frontiera, sicurezza e polizia stradale. “Per i corrotti non c’è posto in Serbia”, ha tuonato Vučić. E denuncia la dilagante corruzione nelle forze dell’ordine serbe. A scoperchiare il vaso di Pandora è stato Darko Šarić, il boss dei Guerrieri balcanici, una cellula di narcotrafficanti che fino al 2010 controllava dai Balcani fino alla Spagna, arrestato a maggio. È lui l’ultimo boss finito dietro le sbarre. Ma all’infuori di quell’indagine, le operazioni non portano a nulla: “Venti giorni fa ho ordinato una vasta operazione contro il narcotraffico, ma non è successo praticamente niente”, diceva, quel 21 giugno il premier di Belgrado. E ancora: “Ho richiesto i risultati della lotta ai cartelli dello spaccio, ma questi dirigenti hanno tentato di parlarmi di affari interni”. L’unico a salvarsi dalla furia di Vučić è stato il direttore generale della polizia (l’unico ad acquisire la carica per concorso e non per nomina politica) Milorad Veljović.
Darko Šarić avrebbe rivelato durante i suoi interrogatori che i dirigenti rimossi avrebbero protetto dei narcotrafficanti serbi, facilitandone la latitanza. Anche lui per anni ne avrebbe beneficiato: Šarićha accusato il capo della polizia criminale, il generale Rodoljub Milović, capo della Criminalpol serba, di essere il misterioso “Papaja” che, a fronte di varie dazioni di denaro per un totale di 7,4 milioni di euro, avrebbe favorito per anni la sua latitanza.
Questi i fatti. Dietro i quali, però, si potrebbe nascondere altro. Vučić potrebbe aver utilizzato le parole di un criminale per sbarazzarsi di colleghi che non gli andavano a genio. Dopo l’accusa, infatti, Rodoljub Milović ha deciso di sottoporsi alla macchina della verità: il risultato ha dato ragione alla sua difesa, eppure è stato rimosso.
Al caos serbo, s’aggiungono le parole di Milo Đukanović, il presidente montenegrino, secondo cui a Belgrado si respira la stessa atmosfera che si respirava nel marzo 2003. Quando è stato ucciso dal cecchino Zvezdan Jovanović, uomo vicino agli ambienti del gruppo criminale Clan Zemun, l’ex premier europeista e riformista Zoran Đinđić.
Così scrive Dragan Janjić su Osservatorio Balcani e Caucaso:
Speculazioni
Sui legami fra i criminali e vertici della polizia per ora non vi sono prove concrete. Detto questo resta un’opzione possibile. Kosmajac era già stato descritto una decina di anni fa dalla polizia come uno dei più potenti capi della malavita serba. Da anni però nessuno ne parla più, anche si sa che non ha dismesso i suoi affari.
Per quanto riguarda i legami polizia-criminalità non si può non nominare il cosiddetto Clan di Zemun, coinvolto nel 2003 nell’attentato al premier Zoran Đinđić. Il principale testimone al processo sull’omicidio dell’ex premier è stato proprio il capo di questo clan, Ljubiša Buha Čume. Quest’ultimo ha ricevuto lo status di testimone protetto ma fonti ben informate affermano che continua a svolgere affari illegali in modo indisturbato. La cosa non sarebbe possibile senza un sostegno, quantomeno indiretto, dei vertici della polizia.
È possibile che alcuni capi della malavita abbiano voluto far fuori Buha e che per farlo abbiano iniziato a lanciare accuse contro i generali della polizia, e in particolare contro Milović. È anche possibile che Šarić, sostenendo la tesi di Milović come principale informatore della malavita, volesse creare le condizioni per l’arrivo di altre persone ai vertici della polizia, a lui forse più favorevoli.
Vučić, per come stanno le cose, non ha ben capito cosa stava accadendo ed ha iniziato la caccia a Kosmajac, che i media e alcune fonti ben informate definiscono come il capo di Šarić. Così facendo Vučić ha voluto dimostrare di voler affrontare tutti i principali capi della malavita. Solo quando avrà nominato i nuovi generali della polizia, sarà chiaro se sarà però davvero in grado di farlo.
Se riuscirà a trovare persone capaci e oneste, avrà la possibilità di riuscirci. In caso contrario, tutto si concluderà come in Serbia accade ormai da anni in merito ai cosiddetti passi importanti nelle riforme degli organi statali e dell’economia: grandi proclami sui media e poi più nulla.
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