Sembra un racconto di Soriano, è una storia di migranti e identità
di Christian Elia
@eliachr
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31 luglio 2014 – Il nome sembra arrivare da uno dei racconti di Osvaldo Soriano: Club Deportivo Palestino. E il suo nome racconta una storia, della quale si è parlato in questi giorni di morte e dolore a Gaza, per la decisione della formazione di scendere in campo con la Palestina storica disegnata sulle braccia.
Il club partecipa al massimo campionato cileno, ma la sua identità è legata a doppio filo alla Palestina. Una storia che inizia ad Osorno, capoluogo dell’omonima provincia nel Cile meridionale. La sua fondazione avviene il 20 agosto 1920, ad opera di un gruppo di immigrati palestinesi, arrivati in Cile in cerca di lavoro, mentre la fine della Prima Guerra mondiale e l’implosione dell’Impero turco rendeva il futuro della provincia ottomana della Palestina molto incerto.
Divenne mandato britannico, poi arrivò il 1948, la prima guerra, la nascita dello Stato di Israele. Una lunga storia, che arriva fino ai massacri in corso a Gaza oggi. Il club, nel quale militano tutti calciatori cileni, più qualche argentino, è rimasto però per sempre legato alla storia dei suoi fondatori e il legame con la Palestina è fortissimo.
I colori sociali (bianco, rosso, nero, verde) sono quelli della bandiera palestinese, lo stesso sponsor è la Banca di Palestina, quella che diventerà la banca nazionale appena i palestinesi vedranno riconosciuto il diritto (sancito dalle Nazioni Unite) a un proprio stato nazionale.
I suoi giocatori sono chiamati ‘arabi’, o ‘tricolores’, per la bandiera. Il capitano della squadra, oggi anche vice-allenatore in campo, è Roberto Bishara. Gioca nella squadra da una vita, è nato a Santiago del Cile ma è palestinese, vestendo la maglia della nazionale araba per 26 volte.
Un legame forte, che in passato ha causato molti problemi al club. L’ambasciata israeliana in Cile ha sempre contestato, chiedendo interventi duri alla federazione cilena contro il club, l’uso dell’immagine della Palestina storica. Per Israele, quell’immagine è un modo per negare l’esistenza dello stato ebraico, per i palestinesi è simbolo della terra espropriata con l’occupazione del 1967 prima e le colonie dopo.
Fatto sta che entrando in campo per il match contro il Cobreloa, perso in casa per 1-2, i giocatori del Palestino hanno scelto di dipingere sulle loro braccia la mappa della Palestina. Un gesto di solidarietà, per chiedere la fine dei bombardamenti.
L’INNO DEL CLUB DEPORTIVO PALESTINO
Un gesto che potrebbe comportare sanzioni dalla federazione cilena, ma che tutti i giocatori hanno voluto fare, per un legame storico e simbolico. E un piccolo club, in Cile, finisce per raccontare una storia grande: quella della diaspora palestinese. Milioni di uomini, donne, bambini. In fuga dalla guerra, in cerca di una vita senza occupazione, sfollati con la forza, o migranti economici.
Un popolo in cammino, che tiene stretto al petto un elemento identitario più forte di quello di cittadini di stati che non aspettano di essere riconosciuti. Perché questa è una delle mille storie che dimostrano come la Palestina, anche se non ancora per la diplomazia, esiste. Nel cuore della sua gente.
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