Drace, Dalmazia
dalle ore 22.45 alle 23.50 del 23 Agosto 2014
di Bruno Giorgini, foto Ellis Boscarol
27 agosto 2014 – Che il cambiamento climatico non sia questione accademica ce lo racconta questa estate di piogge quando non tempeste d’acqua a torrenti. Nella penisola di Peljesac, sud della Croazia, sembrava a volte di stare in Irlanda, e l’erba verdeggia come mai accadde a memoria d’uomo. Ma di trovarmi nel bel mezzo di una tempesta di fulmini, no, non avrei creduto mi capitasse, nonostante avessi letto di una tempesta consimile su New York non molto tempo fa, ma si sa la grande mela è tutta speciale.
Invece qui a Drace, ben più modesto villaggio, è accaduto il 23 agosto, tra le dieci e mezza poco più e mezzanotte circa.
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I fulmini avvenivano prima isolati poi in sequenze, sormontando e incoronando le colline dell’interno, mentre io e Ellis Boscarol stavamo su un moletto che si protende nel malo more, il piccolo mare che s’incunea tra il continente e la penisola. Questi traccianti di luce, disegnando percorsi zigzaganti di frattura sembravano lacerare la volta celeste, piuttosto nera di nuvole nere, mentre anche si scaricavano i tuoni. Il periodo di scarica tra una evento e l’altro era dell’ordine di dieci, quindici secondi in media, ma spesso un evento era plurimo, cioè composto da diversi fulmini che parevano inseguirsi. La visione era insieme molto bella e inquietante assai, con decine di folgori che a volte ti parevano a un passo gettarsi in mare.
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Hai un bel dirti che di altro non si tratta se non di scariche elettriche, però ciò non toglie che un sordo timore ti prenda quasi il mondo fosse preda di un dio incazzato, e ti viene in mente Zeus re degli dei che scaglia folgori, qualche volta mortali, ogni volta che litiga con la moglie gelosissima, colto se non in flagrante adulterio almeno nel mentre inventa travestimenti per potere accedere alle grazie di giovani avvenenti fanciulle.
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Per contrastare questa sorta di ipnosi del profondo che la selva dei fulmini esercita sui piccoli minuscoli esseri umani con la testa all’insù e i piedi quasi a mollo nel mare, nel frattempo infatti le acque si sono alzate fino a sommergere il molo, decidiamo di tentare alcuni scatti fotografici, dividendoci il lavoro, io di professione fisico sono addetto al tentativo, assai precario se non del tutto improbabile, di prevedere in quale quadrante del cielo comparirà il prossimo evento, Ellis maestra fotografa con una piccola macchina casalinga senza treppiede e neppure scatti automatici ravvicinati, è incaricata appunto di inquadrare e scattare in tempo utile, cioè nemmeno il battito di un ciglio.
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Quattro volte su un centinaio funziona, le foto che vedete in questa pagina, quindi a noi che c’importa più del cielo, abbiamo le nostre immagini, digitali sia ben chiaro, zeus può tornare un mito dei tempi antichi,mentre noi abbandoniamo il molo correndo a vedere in casa come sono venute, e così la modernità è salva. In attesa della prossima ventura tempesta.
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