Spalato – Bari

Jurica Pavicic, scrittore e giornalista croato, Mario Desiati, scrittore pugliese. Incontro a due voci a cavallo dell’Adriatico

di Christian Elia
@eliachr

7 settembre 2014 – L’unica cosa che accomuna Jurica Pavicic e Mario Desiati, a prima vista, è la condivisione del Mar Adriatico. Giornalista e scrittore di Spalato il primo, scrittore e notista pugliese il secondo.
Maglietta nera, felpa della Jugoplastika Split, mitica squadra di pallacanestro del passato della sua città, Pavicic sembra un ultras che parla come un poeta. Desiati invece, raffinato e caustico, è un affabulatore gentile.

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Jurica Pavicic

Ma la condivisione su questo asse adriatico, tra la Dalmazia croata e la Puglia, diventa comunione nel sentire di due sensibilità differenti. Il Festivaletteratura di Mantova è l’occasione, mediata dal giornalista Carlo Annese, di un contronto tra due autori che quasi ostinatamente si specchiano nello stesso mare.

Pavicic, nelle sue rubriche sui media croati e nei suoi libri, spesso esalta l’anima mediterrannea della sua gente, in contrapposizione con la fredda e asburgica Zagabria, perché ciascuno ha il suo sud da difendere o criticare. Desiati, pugliese trapiantato a Roma, finisce per raccontare nei suoi romanzi la terra natia, filtrata dal forse necessario abbandono.

Ecco che il modello di sviluppo di due terre, la Dalmazia e la Puglia, che sembrano aver trovato nel turismo di massa la panacea di tutti i secolari affanni, diventa elemento di critica. Perché le tradizioni, gli usi e i costumi, almeno quelli carichi di simbologie del passato, rischiano di diventare un recinto di Orientalismo che inchioda due terre a un passato posticcio o peggio ancora a un eterno spartito suonato senza variazioni.

E invece no, anche se sull’alternativa le sponde si fanno più lontane. Pavicic diffida della moda temporanea del turismo, come Desiati, ma il croato non rimpiange affatto l’epopea dello sviluppo industriale della ex-Jugoslavia, vedendo nei casermoni socialisti e nelle fabbriche un segno di sviluppo diffuso, mentre in Desiati – figlio della regione ferita dall’Ilva – l’industria ha troppo spesso significato morte e distruzione del territorio.

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Mario Desiati

Le sponde, però, si riavvicinano nella storia comune, nel ‘mito’ italiano per la Jugoslavia. Secondo Pavicic, al contrario di altri paesi del blocco sovietico che guardavano all’Occidente come l’arcadia dei beni materiali, l’eretica Jugoslavia guradava all’Italia come il luogo dello stile. Oggi è lontano il tempo dei dalmati che parlavano italiano, anche odiandone la memoria di occupazione militare durante il secondo conflitto mondiale, come il padre di Pavicic. La lingua è l’inglese, i modelli di vita sono altrove.

Questa rotta però, può diventare asse di confronto e di scambio, per un modello di sviluppo altro, nuovo e vecchissimo allo stesso tempo. Un sud dei sud non solo location di matrimoni kitsh e turismo di massa. Quello che ci spaventa del borseggio a Bari Vecchia, magari ci impedisce di riflettere (come fa il dirimpettaio Pavicic) sulla bellezza di un centro storico mutato dalla gentrificazione dei tempi, ma dove resiste un genius loci, uno zoccolo duro di popolazione nata e cresciuta del quartiere. Che deve risolvere i suoi problemi, ma senza cambiare seguendo il modello che la cartolina pretende.

 

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