Israele, refusenik nell’intelligence

Quarantatrè riservisti dell’unità militare più segreta dell’esercito, la 8200, predisposta per spiare ogni aspetto della vita palestinese nei Territori. Rifiutano di tornare a servire e svelano i meccanismi di controllo israeliani

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tratto da NenaNews

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18 settembre 2014 – “Noi, veterani dell’ unità 8200, riservisti nel passato e nel presente, dichiariamo che rifiutiamo di prendere parte ad azioni contro i palestinesi e rifiutiamo di continuare a servire come strumenti per approfondire il controllo militare sui territori occupati”.

Questo si legge nell’incipit della lettera firmata da 43 riservisti di una delle unità di intelligence militare più segrete dell’esercito israeliano – la Yehida Shmoneh – Matayim – indirizzata al premier Benjamin Netanyahu, al capo di stato maggiore e al capo dei servizi di intelligence e pubblicata ieri dai quotidiani Yedioth Aharonot e the Guardian.

Nella lettera, preparata prima dell’operazione “Margine protettivo” contro la Striscia di Gaza, gli ufficiali e gli istruttori firmatari sostengono che i dati di intelligence che l’unità raccoglie sui palestinesi – “molti dei quali sono innocenti” – è usata per la “persecuzione politica e per creare divisioni all’interno della società palestinese”. Secondo quanto sostenuto dai promotori dell’iniziativa, l’unità 8200, incaricata di intercettare le comunicazioni elettroniche – email, social network e chiamate, oltre che traffico diplomatico e militare – in realtà ha ben poco a che fare con la difesa e la sicurezza di Israele: lo scopo sarebbe quello di “infiltrarsi” e “controllare ogni aspetto della vita palestinese”.

“La popolazione palestinese – si legge nella lettera – sotto il governo militare è completamente esposta allo spionaggio e alla sorveglianza dei servizi segreti israeliani. Essi creano divisioni all’interno della società palestinese attraverso l’assunzione di collaboratori. In molti casi, l’intelligence impedisce agli imputati di ricevere un processo equo nei tribunali militari, con le prove contro di loro che non vengono rivelate”.

Tra le accuse fatte ai responsabili dell’unità e al governo militare c’è quella degli “obiettivi” palestinesi: la maggior parte è innocente e non connessa ad alcuna attività militare. L’unità, quindi, se ne occupa “per altre ragioni” e tratta tutti alla stregua dei terroristi. Un’altra ingiustizia denunciata è quella di espropriare la terra per darla alle colonie illegali della Cisgiordania e di Gerusalemme est. Inoltre, il personale militare è addestrato per isolare qualsiasi dettaglio “dannoso” delle vite dei palestinesi – preferenze sessuali, problemi finanziari, malattie e tradimenti – e servirsene, a tempo debito, “per estorcere o ricattare le persone, costringendole a diventare dei collaborazionisti”. Altri appunti fatti all’unità sono quelli di intercettare le telefonate a sfondo sessuale e usarle per il divertimento della truppa e perseguire le “agende” dei singoli politici israeliani.

Tre dei firmatari, due sergenti e un capitano, che hanno rilasciato delle interviste al Guardian e ad altri media stranieri prima ancora che la lettera fosse pubblicata, ci hanno tenuto a dire che non vogliono assolutamente rivelare segreti militari né rendersi riconoscibili, ma solo denunciare lo stato dei servizi di sicurezza che “assomigliano più a quelli di un regime che di una democrazia”. “Nell’ intelligence israeliana riguardante i palestinesi – spiega Nadav, 26, un sergente ora studente di filosofia e letteratura a Tel Aviv intervistato dal Guardian – questi ultimi non hanno diritti. Non è come per i cittadini israeliani, perché se si vogliono raccogliere informazioni su di loro è necessario andare in tribunale”. Semplicemente, non ci sono regole per rendere un palestinese un target: “l’unico freno alla raccolta delle informazioni nei territori occupati – continua Nadav – sono le risorse”.

Nelle loro interviste, i tre descrivono l’ impunità nella quale regna l’unità, con i soldati scoraggiati “a mettere in discussione la legittimità degli ordini” e “deliberatamente fuorviati dai comandanti circa le circostanze di un caso in cui un membro della loro unità si sia rifiutato di cooperare alla bombardamento di un edificio pieno di civili in rappresaglia per un attentato in Israele”.

L’ultimo grande episodio di denuncia delle politiche militari israeliane riguardante i “refusenik” era balzato agli onori della cronaca nel 2002, quando 27 piloti riservisti dichiararono pubblicamente di rifiutarsi di volare su Gaza per commettere degli omicidi mirati, dopo aver ucciso 14 civili – tra cui alcuni bambino – nell’uccisione mirata di Salah Shehadeh, l’allora capo dell’ala militare di Hamas.

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