Uno studio realizzato in Africa Dal Fair Trade Employment and Poverty Reduction fa crollare infatti le certezze che un marchio così affidabile offriva agli acquirenti
[author] [author_image timthumb=’on’]http://www.buongiornoafrica.it/wp-content/uploads/2012/06/raffa01.jpg[/author_image] [author_info]di Raffaele Masto. @RAFFAELEMASTO. Faccio il giornalista e lavoro nella redazione esteri di Radio Popolare. Nei miei oltre venti anni di carriera ho fatto essenzialmente l’inviato. In Medio Oriente, in America Latina ma soprattutto in Africa, continente nel quale viaggio in continuazione e sul quale ho scritto diversi libri dei quali riferisco in altri spazi del blog www.buongiornoafrica.it. Insomma, l’Africa e gli africani, in questi venti anni, mi hanno dato da vivere: mi sono pagato un mutuo, le vacanze e tutto ciò che serve per una vita di tutto rispetto in un paese come l’Italia.[/author_info] [/author]
21 settembre 2014 – Verrebbe da dire che non c’è più religione: adesso anche il commercio equo e solidale è finito sotto accusa, colpevole di non rispettare la sua “mission”, cioè garantire, a chi acquista prodotti etici, che ai produttori africani siano stati garantiti compensi adeguati, condizioni di lavoro dignitose e tutela del territorio.
Uno studio realizzato in Africa Dal Fair Trade Employment and Poverty Reduction, un organismo del Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale del governo britannico, fa crollare infatti le certezze che un marchio così affidabile offriva agli acquirenti.
La Rivista “Africa” che ha pubblicato un lungo articolo sulle conclusioni di questo studio ne riporta alcuni stralci: “I compensi ricevuti dagli agricoltori che vendono prodotti certificati sono spesso più bassi di coloro che hanno a che fare con le società di Import-Export tradizionali”.
Parole che pesano come macigni e che Christopher Cramer, uno dei curatori del rapporto, docente di economia all’Università di studi orientali e africani di Londra, conferma: “In molti casi siamo giunti alla conclusione che il commercio equo e solidale non si è rivelato un efficace meccanismo per migliorare la qualità della vita dei contadini poveri”.
I ricercatori poi toccano un argomento ancora più sensibile, quello del lavoro minorile: “un numero molto significativo di giovani, bambini in età scolare, è stato costretto ad abbandonare la scuola per lavorare nei campi”.
La rivista “Africa” pubblica anche la reazione a caldo del principale ente certificatore dei prodotti equo e solidali: “Le conclusioni del rapporto sono ingiuste e superficiali” – scrive Fairtrade International – “i ricercatori hanno commesso l’errore di confrontare tra loro piantagioni di dimensioni industriali con vivai di dimensioni contenute, gestiti da piccole cooperative di contadini. Di conseguenza i risultati sono distorti e le dichiarazioni rese da alcuni produttori sono state strumentalizzate”.
La vicenda resta aperta, ma il fatto che sia stata sollevata risulta già inquietante in sé. Se anche il commercio equo e solidale è finito sotto accusa, il mercato, quello spietato che tante volte accusiamo, per contrasto, diventa più accettabile.
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