Largo ai giovani!

A Budapest i giovani protestano contro la tassa su internet che vuole introdurre il governo di Viktor Orbán. È la seconda manifestazione in pochi giorni

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/12/1482358_10201544698914098_328256574_n.jpg[/author_image] [author_info]di Alessandro Grimaldi, da Budapest. Scrivo e mi appassiono qui, a Budapest, perchè da 150 anni è il posto dove in Europa ci si annoia meno. Tiene il blog Live in Budapest [/author_info] [/author]

31 ottobre 2014 – “Ci saranno due discorsi brevi, poi ci muoviamo in corteo”. Ma quando i brevi discorsi con qualche contenuto e critiche alle politiche fiscali, finiscono (e le luci smettono di inquadrare i dipendenti del ministero delle Finanze qui sopra la piazza che credendosi al sicuro sbucano dietro le tende) e il corteo inizia a incolonnarsi, ci mettiamo parecchio tempo prima di muoverci. Vuol dire che siam tanti a protestare anche oggi, a sole 48 ore dal primo corteo. Contro la tassa su internet che vuole introdurre il governo.

Ci muoviam piano piano. Vedo un volto familiare, una ragazza del corso di origami, 18 anni appena compiuti, rossetto e montatura in osso, una brava ragazza, con un’amica. “Ciao”. Ce ne sono migliaia come lei in piazza, gente giovane e istruita senza nessuna bandiera di partito e sorridente.

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È ad Astoria che si inizia a capir che siamo tanti, ci si muove lentamente, il serpentone non sembra finire mai, e non sono le poche decine di migliaia (e vi sembran pochi) che dicono i media tradizionali e no, sembran proprio di più, (io vorrei dire anche più dei 100.000 che già mi parevan l’altra volta. È che è una manifestazione così, senza grandi partiti alle spalle, ma nemmeno movimenti di un certo spessore (che so, di Solidaritas ed Egyutt, quando Egyutt era solo un movimento, degli anni passati) e le piazze di arrivo e partenza concesse son piccoline e contarli no è facile…
Direzione Clark Adam tèr, lì a Buda, alla fine del ponte delle catene. “Lì c’è il chilometro zero ungherese”. “È lì che vogliamo andare, zero come le tasse che vogliamo su internet!” e rispedita al mittente la mediazione che già in realtà circolava già dalle prime indiscrezioni sulla tassa: massimo di 700 fiorini per i privati e 5000 per le aziende e costi da far ricadere sui provider e non sui singoli. Come per le banche.

La gente però è scesa in piazza, sa di essere nel giusto. Come dicevano prima dal palco, è una tassa sui poveri e sui giovani e su chi vive isolato. E risuona sempre la parola Europa, ci sono città che danno internet gratuitamente e qui lo si vuole tassare. È gente che vive in ville lussuose con piscina, non sa cosa vuol dire internet, per noi giovani, solo per noi giovani.

Han pure invitato Orban medesimo: ”Venga qui se vuole a spiegarci perché è giusto tassare internet”. E Orban avrà avuto un coccolone nel capire che in fondo il suo popolo non gli vuole bene assai, né a lui né al suo gruppo dirigente, o per dirla con una parola ungherese facilmente intelligibile banda.
Avrà pure stravinto tre elezioni di seguito con più dei 2/3 dei seggi assegnati, ma l’astensione è cresciuta sempre e ha corso praticamente da solo e il buon Andreotti si sbagliava: il potere davvero logora chi ce l’ha e chi ha il potere assoluto ora si sente gridare gli stessi cori che ormai otto anni fa gridava la piazza al suo grande e storico avversario socialista Gyurcsanyi Ferenc.
Allora mi ero fatto una cultura che ora riesco a mettere perfettamente a frutto: “Orban takarodj” (vai via, vattene, come per scacciare un cane” “Mocskos Fidesz” (sporca fidesz, il suo partito, sporca) e le accuse di corruzione, aver formato un quadrato, anzi un cerchio di potere e beato a chi ce l’ha, ma ecco cori a lui più attinenti “Viktator” e tutti cori che ora la gente grida forte, divertita, senza più la soggezione di domenica.

La folla, il numero dà forza, manuale minimo di sociologia. Il coro risuona forte, Viktator, quello accanto a me dice “Kis duce”(piccolo duce). Sorrido. Il percorso stavolta è diverso, non più la splendida Andrassy di una domenica d’ottobre ma Astoria, Parisi udvar, ponte Elisabetta, poi si devia fino al ponte delle catene. La bellissima Budapest illuminata, da percorrere al centro della strada. Facciam molta strada ma ci par poco dentro questo splendore.

Incrocio con Vaci utca – sì, c’è ancora Vaci utca – parte il coro “Non molliamo”; all’angolo un uomo in un cappotto elegante, dalla carnagione un po’ scura e nella mano elegante bustona di una qualche boutique di moda della via. Avrei voluto avere i google glass, mentre i ragazzi gridano “Non molliamo” vedo le sue labbra muoversi e sillabare il Non molliamo.

Superiamo il ponte, da lontano intravedo una collega, anche lei giovane, sui 27anni, con i suoi capelli ricci e un gonnellino zebrato che sbuca sotto il cappottino. È di lontano, passiam sotto i Giardini del Castello. Povero Orban, ha ridato alla città questo che era un rudere con tanto di graffiti e fogli di compensato a chiuder le finestre, ora è uno splendore ed ecco che la gente ci cammina davanti e protesta.

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Perché arrivi anche la coda del corteo ci vorrà una mezz’oretta dall’arrivo dei primi, ma senza aspettare parte un immancabile inno nazionale. Un ubriaco grida durante l’inno. Quella dietro di me stona, il comuque difficilissimo inno nazionale ungherese. Ci penso un po’, non sarà un caso. Tantissimi microfoni, media tradizionali e non, di sinistra, ma anche HirTV, la Tv di Fidesz accolta dal poco ben augurante coro Hir TV Szar TV” e solo qualche ultras, agitatore scalmanato quasi dall’imbocco della funicolare che porta al Castello. Fischiano dal corteo. Io nn ci faccio caso, Ci ero rimasto male a vedere il giorno dopo il primo grande corteo la freepress che mi davano all’uscita della metro titolare “Attaccano la sede di Fidesz” per un computer buttato dalla finestra. Come se la notizia fosse quella…

Dal camioncino messo di traverso prima del ponte delle catene dove si è conclusa la manifestazione un tipo con cappellino e microfono urla come in un villaggio turistico “Siete stati Super, siete forti, il più grande corteo degli ultimi 150 anni”, tiene alto il morale.

L’unica altra cosa che ripete è di fare qualche donazione anche piccola a quelli che passano con la scatola di un router con un buco al entro. Ci servon soldi per organizzare la prossima manifestazione. Lo ripete spesso e in fondo è un buon segno. Chi sta lassù una seppur minima passione politica ce la deve avere e sicuramente una tessera di un’associazione o di una biblioteca ce l’avrà in tasca, ma qui non si vedono soldi di partiti.

Un capellone si avvicina e mette un paio di banconote. Altro proclama: “Orban ha detto ai suoi stiamo uniti”, ma forse si starà anche rigirando la carta di identità tra le mani. Avrà visto di sbieco magari su internet i volti della manifestazione, potevano essere suoi figli e si starà domandato dove ha sbagliato, proprio ora poi che il Paese è in ripresa negli indicatori economici, ha messo tasse su tutto, l’IVA arrivata al 27% e poi servizi bancari, hamburger, energy drinks e mai niente, nessuna seria protesta, ed ecco ora tutta questa gente.
Poteva allontanrsi con me sul ponte delle catene, verso la metro. Saluto un ragazzo dai capelli rossi, figlio di un amico iscritto ad economia. Han tolto da lì la storica statua di Marx un mesetto fa. “Sì peccato, ma in fondo chi se ne frega!” mi aveva confessato. Ora però è in piazza. Internet cattura il suo interesse, chi l’avrebbe detto. In metro tutti col naso incollato ai loro smartphone, per seguire le ultime sulla manifestazione sulle loro bacheche facebook e massaggiarsi con gli amici.

Orban, fatti da parte, largo ai giovani…


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