A Mostar, con il secondo di tre capitoli tratti dal romanzo “Che ti sia lieve la terra”
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/12/camilla.jpg[/author_image] [author_info]di Camilla de Concini Ho appena pubblicato il mio primo romanzo: “Che ti sia lieve la terra”, nato in Libano nel 2010 mentre lavoravo come cooperante nei campi palestinesi e scrivevo per la rivista on line Bekhsoos- arab queer magazine.Cresciuto durante un lungo viaggio in macchina che da Bologna mi ha portato a Beirut attraverso, i Balcani, la Turchia e la Siria, questa storia ha preso forma al mio rientro a Bologna con la collaborazione dell’editor Chiara Piovan.[/author_info] [/author]
Dal romanzo “Che ti sia lieve la terra” (2014)
(leggi qui la presentazione pubblicata nei giorni scorsi e qui il capitolo già pubblicato)
15 dicembre 2014
– Quanti siete? – chiese l’usciere.
– Io e la pianta – scherzò Irena.
– Viaggia da sola?
– Sì, viaggio sola.
Irena si sentì a disagio. In macchina o in giro per le strade della città la solitudine la faceva sentire forte, indipendente, potente e questa scoperta le dava un sottile senso di eccitazione. Quando doveva relazionarsi con gli estranei però improvvisamente si sentiva debole, in qualche modo si vergognava della propria solitudine, come se il resto del mondo le sbattesse in faccia che non c’era niente di cui essere fieri ad esser sola come un cane.
Entrò nella stanza e le sembrò desolante, vuota, il grande letto matrimoniale la guardava con aria di sfida. Decise di non scendere a cena e ordinò qualcosa da mangiare in stanza. Cosa avrebbe fatto seduta al ristorante senza compagnia? Poteva immaginare gli sguardi dei camerieri e le domande dietro quegli sguardi.
La stanza non era brutta, ma aveva un’aria tristemente impersonale.
Come aveva fatto Nina a vivere per mesi in quelle camere d’albergo?
Non le era mai venuto in mente che la vita di Nina in trasferta comportasse anche momenti così, una donna in viaggio da sola. Nina che affitta una camera d’albergo, Nina che entra in quell’ambiente freddo e ne fa la sua dimora per una notte o per una settimana.
Chissà quante volte Nina aveva cenato sola. Era mai stata abbordata da un uomo o guardata con pena da un cameriere?
Chissà se anche Nina si era sentita come lei ora, imbarazzata della propria solitudine. Forse lei era abituata a quella vita e non ci vedeva niente di strano.
Guardò Cassiopea e immaginò il volto di Nina ridere bonario della sua stupidità.
Mise la pianta sul tavolino al centro della camera, le tolse le foglie secche e la innaffiò con cura. Quei piccoli gesti la calmarono, le diedero un senso di quotidianità. Arrivò la cena e la mangiò in piedi guardando fuori dalla finestra, appoggiata al davanzale.
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Era già stata a Mostar nel 2004, per l’inaugurazione del ponte. Era stata Nina a insistere per partire, quando aveva saputo che l’avevano ricostruito, aveva deciso che dovevano assolutamente andarci per celebrare l’evento. La storia di quel ponte l’aveva molto turbata. Le aveva raccontato che quando l’artiglieria aveva cominciato a colpirlo era rimasta attaccata alla tv per giorni col fiato sospeso, finché infine il ponte non era crollato. Irena non aveva capito bene perché le importasse tanto di quel ponte, ma Nina insisteva:
– Non era un obiettivo militare, capisci? Era un ponte pedonale… Quel ponte era il simbolo della città. Un arco di pietra che univa le due comunità, quella cristiana e quella musulmana.
– E quindi? Che te ne importa a te? – aveva chiesto lei ottusamente.
– Hanno voluto distruggere il punto di incontro tra due universi, tra due culture… hanno abbattuto il collegamento, il legame tra persone che avevano sempre convissuto nella stessa città.
Irena continuava a non capire, ma era inutile insistere. Quando Nina si infervorava su certi argomenti, l’unica possibilità era assecondarla. In fondo l’idea di fare un viaggetto non le dispiaceva e Mostar era pur sempre una città che non aveva mai visto.
Quando erano arrivate lì, il viso di Nina si era trasformato di colpo e il suo umore era mutevole, difficile da interpretare. Per Nina essere lì significava qualcosa di importante che a lei sfuggiva. Ne fu turbata, era abituata a sentire Nina come se fosse una parte di sé. In quei giorni a Mostar invece non sentiva nulla, era una semplice testimone di processi profondi e oscuri dai quali era esclusa.
Nina si soffermava davanti ai segni della guerra, lasciava scorrere la mano sui muri e sulle pietre della città, guardava i fori dei proiettili e ci infilava dentro le dita, si fermava a lungo davanti ai segni delle esplosioni, ai palazzi divelti. Irena aveva provato a chiederle, ma lei aveva semplicemente risposto:
– In questo posto mi sento a casa.
Per gentile concessione dell’autrice, Q Code Magazine ospita tre brani tratti dal romanzo di Camilla de Concini “Che ti sia lieve la terra”. Prossimamente la terza e ultima puntata frutto di questa collaborazione.