#iononsonoinguerra

Contro chi saremmo in guerra? E soprattutto: chi si arroga il diritto di dire che noi, gli europei, siamo in guerra?

 

tratto dal blog Invisible Arabs

 

A un secolo esatto dalla prima guerra mondiale, dalla più imponente tragedia che ha colpito l’Europa, la parola ‘guerra’ si diffonde nel cuore della nostra terra. Come un’onda sulla cui cresta restano, in equilibrio precario, le nostre comode certezze di europei. Le immagini di Parigi in stato d’assedio generano i mostri impossibili che nascono, scriveva Francisco Goya, dalla “fantasia abbandonata dalla ragione”. La ragione, invece, deve essere ciò che ci guida, soprattutto in un tempo così critico, incerto, crudele. Ragione e onestà debbono essere i binari sui quali far camminare il nostro futuro possibile. La ragione – non solo e non tanto quella dei Lumi, ma l’intelletto che ha fatto tesoro degli oltre due secoli che ci separano da un tempo troppo mitizzato – deve farci leggere con precisione, nei dettagli, ciò che sta succedendo, andando oltre la dura cronaca. L’onestà, elemento altrettanto determinante, deve guidarci nell’interpretare le singole responsabilità di ciò che sta succedendo attorno al Mediterraneo.

Guerra. Guerra non è solo una parola forte. È ultimativa. Ed è da irresponsabili usarla come fosse un vezzo, una moda, uno scudo, un trampolino di lancio per carriere politiche e giornalistiche, e consenso di bassa lega. Guerra è morte. Guerra è dolore, macerie, carne a brandelli, odore acre, ambulanze, fuga, pianti disperanti di bambini, fame, case abbandonate. Guerra non è un aggeggio virtuale. Guerra è realtà. Chi abusa di una parola tanto importante quanto la parola pace, se ne assume la totale e imperdonabile responsabilità.

La guerra, in più, necessita di un nemico. E in questi giorni il nemico è stato indicato – com’è successo in altri conflitti – in un mostro a molte teste. Un mostro ambiguo perché impossibile da afferrare, dunque un mostro perfetto: un incubo che può far paura a tutti.

Intellettuali assurti a condottieri ci dicono che siamo in guerra. Ma non ci dicono, di preciso, contro chi e con chi. Siamo in guerra solo con i tre criminali e terroristi che hanno ucciso i colleghi di Charlie Hebdo, recidendo la libertà più delicata che abbiamo, quella del pensiero? Siamo in guerra con l’ISIS, anche se non sappiamo se i tre criminali all’ISIS appartenevano, né sappiamo cos’è l’ISIS e per quale motivo ha trovato un terreno di coltura così fertile e finanziamenti così facili? Oppure siamo in guerra – come qualcuno irresponsabilmente scrive – con una fede, l’islam, e con il suo circa miliardo e mezzo di fedeli? O ancora, siamo in guerra con gli arabi, tanto da paventare una delle pagine più nere e atroci dell’Europa, quella delle crociate con cui abbiamo disseminato morte in nome della fede? Siamo in guerra con gli europei nelle cui vene scorre sangue arabo e nel cui cuore batte la fede nell’islam?

Contro chi saremmo in guerra? E soprattutto: chi si arroga il diritto di dire che noi, gli europei, siamo in guerra?

In guerra ci sono gli arabi, nei loro paesi e da molti anni. Civili arabi – di fede musulmana e cristiana, o di nessuna fede – sono bersagli e vittime della guerra. Sono vittime dell’ISIS o di regimi autoritari come quello siriano, agnelli sacrificali invisibili che non hanno spazio sulle nostre prime pagine. Sono stati (anche in tempi recentissimi) vittime della guerra che noi – europei e occidentali – abbiamo condotto contro di loro. Noi, noi siamo (stati) in guerra contro di loro. Sulla loro terra. Per anni. Nella presunzione di battere il terrorismo internazionale dell’11 settembre e consegnare un modello di democrazia sui fusti dei nostri cannoni.

La colpa più grave di questi tempi, però, è che noi europei siamo in guerra con noi stessi, con quegli stessi valori dietro ai quali razzisti e islamofobi si stanno ora nascondendo. Noi siamo in guerra contro i diritti civili, che nei fatti non riconosciamo a tutti coloro che vivono in Europa. Noi siamo in guerra contro la tolleranza, anzi, contro il rispetto che dobbiamo a ogni essere umano. Noi siamo in guerra contro coloro su cui applichiamo con una ipocrisia senza pari il doppio standard: da noi vige la democrazia, voi vi potete tenere i vecchi e nuovi dittatori che a noi fanno comodo. Noi siamo in guerra contro coloro di cui non riconosciamo la sofferenza: i profughi che stanno morendo di freddo in Libano e Siria, i civili ammazzati dagli eserciti statunitense e britannico in Iraq, i migranti morti annegati nel Mediterraneo, i palestinesi tra le macerie (ora alluvionate) di Gaza.

Noi siamo già in guerra. In una guerra non dichiarata che non è, però, la mia. È probabile che dal massacro di Parigi scaturirà un altro intervento militare dell’Occidente a est del Mediterraneo per salvare il nostro modello illuministico di convivenza. “I nostri valori”. Per quanto mi riguarda, però, in guerra io non sono. E a questa guerra degli ignavi mi oppongo, in nome di valori sacri che appartengono a ogni fede e a ogni essere umano: libertà, fratellanza, diritti.

 

#iononsonoinguerra

 

La me piace Joe Sacco, dal Guardian.

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