lo si diceva dal 1908 a Messina e Reggio.
Così come all’indomani della fine della prima Grande Guerra.
E la guerra costa. Ma quanto costa quella con la terra?
I terrestri sono in guerra, da sempre. Tante guerre, ma ce n’è una in particolare, una guerra dichiarata da nessuna bandiera, preannunciata da nessun attentato. L’ha iniziata lei, la guerra, l’unica non dichiarata dai terrestri e non poteva essere altrimenti. I terrestri sono in guerra con la terra, che ogni tanto si muove per decreto terrestre e li fa cadere sul campo. La stessa terra che però gli dà pure da mangiare, ai terrestri, su cui ci campano costruendo case, strade, ponti, centri commerciali, redazioni di giornali, basi militari, monumenti. E la scavano anche la terra, i terrestri, e sotto ci mettono le macchine, il vino, le persone, i bauli, i libri vecchi, i libri nuovi, le scatole dei ricordi belli e le scatole dei ricordi brutti e dentro le scatole dei ricordi brutti ci stanno le dichiarazioni di guerra che è la terra stessa a sputare fuori nel punto dove ai terrestri può fare più male e sono più vulnerabili, quando la maggior parte di loro se l’aspetta di meno. E a ogni guerra ci ricascano, i terrestri: dicono che sarà l’ultima perché stavolta hanno imparato davvero, che seppur necessaria e inevitabile alla prossima ci saranno meno vittime, che gli basta stringersi e dire di essere tutti terrestri della stessa zona che la prossima guerra non li toccherà
Pensavano di aver già pagato i loro debiti di guerra, i terrestri, dopo quello che era successo a Reggio Calabria e Messina, nel 1908, con 72mila in meno dei loro. Nemmeno dieci anni dopo, il 13 gennaio 1915, alle ore 7.55 e nella Marsica, in Abruzzo c’è di nuovo la guerra con la terra che si porta via più di trentaduemilaseicento terrestri. Il “tramuoto” non tocca solo Avezzano, ma arriva a Magliano, Forme, Le Cese, Cappelle, Crocumello, Castellafiume, Pagliara, Cerchio, Magliano, Pescina, nella terra del frumento fucense quello originario delle tenute del Fucino di proprietà del Principe Torlonia “raccomandato dai sindacati agricoli, comizi e consorzi e non va soggetto alla ruggine e alle nebbie, paglia alta 2 metri a 34 lire al quintale”, dove c’è lo zuccherificio pià grande d’Italia, dove nelle case c’è già l’acqua potabile e l’energia elettrica.
È il periodo in cui si rompono le mandorle, che quando dopo che la terra s’è mossa le macerie bianche diventano una cosa sola con la neve, tanto che non si distingue più il bianco morbido da quello che è crollato dalle case e dalle chiese e che ai terrestri che ci stavano dentro gli ha spaccato la testa.
«È con la sensazione di essere tornati da un campo di battaglia che ci si accinge a descrivere le esperienze nella zona del terremoto. Si è visto ciò che vedono anche i corrispondenti di guerra: paesi distrutti, case crollate, feriti che vengono portati via, morti che vengono sepolti. Si sono viste ambulanze, Croce Rossa, infermiere e medici in fermento. Si sono guardati in faccia i morti, e il puzzo dei cadaveri è ancora sui nostri vestiti» e lo scrive Johannes Jørgensen, un terrestre scrittore e poeta danese, il più tradotto dei danesi dopo Andersen, che era legato a Civita d’Antino da una di quelle strane cose che fanno certi terrestri che decidono di legarsi a un posto lontano dal loro e che dopo aver litigato con i loro conterrestri, come nel caso degli scandinavi, erano arrivati fino a Civita d’Antino per aprire una scuola per pittori e artisti, voluta e nata per volere di Kristian Zahrtmann. «Si sono sentiti i lamenti dei feriti, le grida di dolore, il pianto straziante della disperazione» continua Jørgensen. «Il crepuscolo degli dei che attraversa il mondo ha colpito anche la Danimarca».
Le cronache sono quelle della guerra: il rumore del metallo, il vento ghiacciato, la neve, le rampe di scale crollate, i tetti scoperchiati, i vestiti stracciati, i paesi crollati, la fame, i campi improvisati, le comunicazioni difficili, le strade interrotte, le chiese distrutte, gli orologi fermi, le voci che chiamano da sotto le rovine «A cuncettèe».
«Me dòle la coccia» grida un ragazzo a Le Cese e Giovanni Cena, quello che aveva raccontato il terremoto di Messina, lo annota nel suo reportage. I soccorsi tardano: «Quel che sarebbe stato prezioso e lodevole il primo giorno diventa insufficiente e criticabile il quarto e il quinto», continua Cena. «Eppure, m’informano, esse erano assicurate contro gl’incendi con tutta la loro roba. Gente risparmiatrice: ma chi v’assicura contro il terremoto? L’ideale della guerra moderna non è di creare dei cataclismi rapidi e intensi per imporre la pace!». Sono i soldati i primi che portano aiuto, che costruiscono baracche, che come in guerra, trovano il modo per scrivere a casa dallo spaccio di tabacco e vino, una squadra di trentini che costruisce due baracche e le chiama Trieste e Istria.
Passa poco tempo e i soldati partono e a ricostruire Avezzano e la Marsica arrivano i prigionieri di guerra austroungarici catturati sul fronte della Grande guerra. Circa trenta ettari di campo, al nord di Avezzano, capace di ospitare 15mila prigionieri con risse all’ordine del giorno tra romeni e magiari. Tra i romeni nasce la Legione Romena d’Italia, quella che sarà protagonista poi nella terza battaglia del Grappa (2 ottobre 1918).
Quella guerra sarà lunga, e poi ce ne sarà un’altra e altre in giro per il mondo, ma mai tanto lunghe quanto quella con la terra: da un secolo e quindici anni il paese delle battaglie di Reggio e Messina, della Marsica, dell’Irpinia, dell’Aquila, dell’Emilia ha avuto circa 160mila vittime causate dal terremoto, oltre 9000 vittime e più di 700.000 sfollati e senza-tetto a causa del dissesto idrogeologico.
Mai più la guerra, come mai più i danni del terremoto: lo si diceva dal 1908 a Messina e Reggio. Così come all’indomani della fine della prima Grande Guerra. E la guerra costa. Quanto costa quella con la terra? Negli ultimi trent’anni si parla dell’8% del prodotto interno lordo per i danni provenienti dai terremoti. Nel piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico 2011-2017 sono stati stanziati 965 milioni. Spesa media annua per la prevenzione, intesa come microzonazione sismica più adeguamenti? Lo 0,08 del PIL (145,1 milioni di euro per l’anno 2015 e di 44 milioni di euro per il 2016). Spesa nel 2015: 18 miliardi di spese militari, di cui oltre 5 miliardi per l’acquisito di nuovi armamenti.
La campagna nazionale di microzonazione sismica dovrebbe dare a tutti i comuni a rischio sismico, entro il 2017, uno strumento urbanistico che permetta di sapere quali porzioni del territorio sono esposte alle maggiori amplificazioni sismiche. Ma la guerra, quella con la terra, i terrestri continuano a farla e seppellirla nella scatola dei ricordi brutti mentre sopra continuano a dichiarare «Siamo in guerra» tra terrestri perché è più facile da dichiarare in 140 caratteri: sono solo 15 caratteri e vicino ci si possono scrivere parole come “fondamentalismo” o “pacifismo ideologico” o “sicurezza”. Meno complicato che disegnare una vignetta vecchia di 100 anni con un cannone a due canne: una del terremoto e una della guerra.
«Dio dov’è?» ha chiesto cento anni fa Giovanni Cena a una donna, cinque giorni dopo il terremoto della Marsica. «In questo momento in una parte del mondo vi è qualcuno che invia Dio, perché aiuti i suoi milioni d’uomini a schiacciare altri milioni d’uomini. E anche questo è il caos». E alla terra di quello che fanno di sopra i terrestri non è che gli interessi poi tanto e per questo dovrebbero fare di tutto per non avere più macerie bianche che si confondono con l’inverno e magari invitare i danesi, i magiari, i romeni, i pakistani, i nigeriani a mangiarsela insieme la neve della Marsica.
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