Dodici avvocati, alcuni dei quali avrebbero dovuto comparire in aula per difendere 35 imputati di Batasuna, quattro persone definite come i tesorieri di Herrira, piattaforma che lottava per i diritti umani e dei carcerati per motivi politici e le loro famiglie messa fuori legge dalla magistratura spagnola il 30 settembre del 2013 con una sospensione di due anni prorogabili. Tutto accade a 36 ore dall’immensa manifestazione di Bilbao, con ottantamila persone che hanno chiesto il rientro dei prigionieri politici baschi nelle carceri basche, la fine della dispersione, l’amnistia.
Più che giustizia, politica a orologeria quella del giudice Eloy Velasco, in un paese in cui il Fiscal Generale del Estado è di nomina governativa, sancendo un’impossibile autonomia e indipendenza di uno dei poteri dello stato.
Ma torniamo a ieri mattina: alle sette scatta l’operazione con le patrol verde militare della Guardia Civil che raggiungono gli studi di avvocati nei paesi Baschi, mentre altri avvocati vengono arrestati direttamente a Madrid, mentre si apprestavano a raggiungere l’Audiencia Nacional dove la seduta del processo è stata sospesa giocoforza. I crimini che avrebbero commesso i 16 vanno dall’integrazione a banda armata, accusati cioè di far parte del cosiddetto frente de las carceles di Eta, a riciclaggio di denaro. Le fonti giudiziarie stimano, infatti, che per le mani di Herrira e a disposizione dei familiari dei prigionieri politici siano circolati in due anni 1 milione trecentomila euro ‘evasi’ rispetto al fisco. Quest’ultima accusa riguarda le disponibilità di denaro che il magistrato imputa alla sospesa Herrira.
C’è anche da segnalare un ‘furto’ per mano degli agenti del corpo militare spagnolo: tutte le donazioni che sono state raccolte sabato alla manifestazione, 90mila euro, erano state depositate negli uffici del sindacato LAB di Bilbao in attesa che lunedì mattina aprissero gli uffici bancari, dove sarebbero stati versati sui conti per ripagare le spese di organizzazione della manifestazione. I soldi sono finiti nei sacchi e scatoloni della Guardia civil con la certezza, più che il sospetto, che non arriveranno mai più a destinazione.
Tutti gli arrestati sono in regime ‘comunicato’, cioè non spariranno per cinque giorni come è accaduto per decenni (i temuti cinque giorni di incomunicacion in cui si sono verificati spesso casi di tortura, che erano proprio uno dei temi che gli avvocati trattavano) in questo genere di arresti, ma avranno da subito contatti con il proprio legale di fiducia e già oggi potrebbero essere interrogati.
Se un anno fa l’operazione di polizia che si abbatté contro membri di Herrira venne battezzata dagli acuti strateghi in divisa ‘Scacco’, quella di ieri è stata denominata ‘Matto’, e se la cosa non fosse non solo seria, ma grave il gioco di parole meriterebbe un articolo a sé.
Fra le reazioni politiche quella del partito al governo, il Partido Nacionalista Vasco (PNV) che esprime il lehendakari, il presidente basco. Josu Erkoreka, portavoc del governo, è andato a mettere la faccia in conferenza stampa per dire che il governo di Vitoria non era stato avvertito di un’operazione che non può che agire come una leva sugli equilibri interni e rispetto al lavoro che sta compiendo in solitaria la sinistra basca. Dopo l’addio alle armi di Eta, con il silenzio e l’immobilismo che contraddistingue l’inazione del governo centrale di mariano Rajoy – quello che abbracciava due giorni Hollande in nome della Liberté – il Pnv si sente ancora più scomodo: si era candidato a costruire il nuovo scenario di pace, ma non riesce a rubare l’iniziativa alla sinistra basca. E le operazioni come quelle di ieri non fanno che aumentare il riconoscimento verso chi davvero sta portando avanti uno scenario di pacificazione.
Un anno fa’, quando l’8 gennaio venivano arrestai altri avvocati, la reazione sociale, di corpi, di popolo, decretò una sonora sconfitta per gli inquisitori spagnoli. Quest’anno evidentemente hanno aspettato che passasse il giorno della manifestazione per andare a teorizzare vecchie accuse che mettono in risalto il problema irrisolto dei prigionieri politici (oltre a portar via i soldi raccolti).
Eta non spara più, anzi prosegue nel suo sigillare le armi comunicandolo alla Commissione di verifica Internazionale, il Partido popular, ma lo stesso vale per i socialisti, non ha nessun interesse nel trovare la via di una soluzione definitiva al nodo basco, un processo di pace non c’è e gli stati – spagnolo e francese – si sentono liberi di ignorare le radici politiche del conflitto in un esercizio di mediocrità storica che rimarrà negli annali.
Intanto, quotidianamente, decine e decine di prigionieri politici restano chiusi in celle a centinaia a volte migliaia di chilometri da casa, mentre i loro familiari sono obbligati a spese e viaggi pericolosi e logoranti. Molti di questi prigionieri sono condannati o detenuti non per fatti di sangue, tutti avrebbero diritto a scontare la propria pena a una ragionevole distanza dal loro domicilio. Ma la dispersione, inventata dal Psoe di Felipe Gonzales e applicata da destra e ancora i socialisti in seguito, resta lì, anche dopo anni di silenzio delle pistole.
L’arresto dei 16 fra avvocati e militanti della sinistra basca è un fatto grave, che non scandalizzerà l’opinione pubblica europea. In Spagna hanno chiuso giornali, radio, torturato e negato la libertà a chi ha favorito l’abbandono della lotta armata (Arnaldo Otegi è ancora in carcere), ma se chiedete per strada forse sapranno più di Orban, o di Erdogan.
Come un anno fa’, vale ripetere sempre la stessa domanda: chi davvero vuole ed è interessato alla pace?