A ogni incrocio delle strade create dalle bancarelle un uomo con un cartello al collo e un sacchetto in mano chiama a voce alta “Fissabillilah”, fate la carità.
La prima puntata – Cronache da Le Val Fourré: lo spazio
da Le Val Fourré (Mantes-la-Jolie, Francia),
testo e foto di Massimo Conte,
Agenzia Codici
Non fosse per gli anziani francesi che vengono a comprare qui attirati dai prezzi più bassi non sembrerebbe di essere in Francia. Si respira forte aria di Marocco e l’arabo è la lingua franca. Seduti a un caffè io e Fikri guardiamo la gente che passa. Il nostro vicino senegalese tenta la fortuna con un gratta e vinci. Approfittiamo di una breve interruzione della pioggia per muoverci, ma ricomincia subito e cerchiamo rifugio in un baracchino che vende frittelle dolci e the alla menta.
Mustafa
Ai tavolini Mustafa, quando capisce cosa faccio in giro, mi dice la sua opinione.«Prima c’era incontro, poi sono iniziati i casini degli anni ’90 ed è cambiata l’immagine dei marocchini. La polizia ha ucciso dei ragazzi e da questo sono nati gli scontri. Negli scontri, quando hanno visto l’energia dei giovani si sono spaventati. I bambini sono cresciuti e con loro è cresciuto l’odio. I giovani arabi che sono andati a scuola e non trovavano lavoro, sentivano il dito puntato contro. Si sono sentiti aggrediti, si sono chiusi e difesi».
Alphonse
Lasciato il mercato, andiamo al primo dei nostri appuntamenti. Incontriamo Alphonse, uno degli operatori del Centre de Vie Sociale. Alphonse è nato a Le Val Fourré, dove i suoi genitori si sono trasferiti dal Senegal, e ha iniziato a lavorare nel sociale quasi per caso, provando a fuggire a un mestiere da contabile che trovava insopportabile.
«Sono il responsabile delle attività per i ragazzi dai 12 ai 17 anni. Oggi accogliamo 36 tra ragazzi e ragazze, ma negli anni passati, quando avevamo più finanziamenti, arrivavamo ad accoglierne 70». Uno dei temi che sto cercando di approfondire riguarda i cambiamenti, anche perché negli incontri nel quartiere sembra sempre più facile parlare del passato, spesso raccontato con una buona dose di nostalgia, che del presente.
«Il cambiamento principale è stato a livello urbano. Il rifacimento degli immobili e delle strade oggi ci fa respirare di più. La qualità della vita è migliorata anche grazie a questo» mi dice Alphonse.
«Oggi c’è più apertura grazie alla caduta delle barriere. Prima chi era del quartiere non usciva perché nel quartiere c’era tutto. Non hanno creato il bisogno di uscire. Uscire, portare i ragazzi in giro, ha abbassato il livello di tensione perché ci siamo resi conto che anche in altre parti ci sono persone tristi e persone felici».
Come altre persone con cui sto parlando in questi giorni, anche lui ha ben chiaro che crescere nel quartiere gli ha consentito di vivere in un mondo complesso e lo ha costretto a fare i conti con tante e diverse difficoltà.
«Vedi, nelle difficoltà ci sono due tipi di persone. Quelli che abbassano le braccia e si abituano, che piangono sulla loro sorte, e quelli che noi diciamo che non hanno freddo all’occhio. Ti spiego cosa vuol dire. Quando c’è la nebbia e non sai cosa c’è dietro, l’unico modo per scoprirlo è andare verso la nebbia e attraversarla. Ecco, sono quelli che quando trovano la porta chiusa passano dalla finestra per alzare il livello dei loro sogni».
Mamadou
Crescere in mezzo alle difficoltà è anche quello di cui mi parla Mamadou, musicista di origine centroafricana. «Mantes La Jolie si porta dietro dei fatti negativi: prima l’immigrazione, poi il fallimento scolastico dei giovani, l’islamizzazione, il fallimento dell’integrazione».
«Tutto questo, mischiato, era un cocktail esplosivo. Tutto questo spiega la rabbia che abbiamo vissuto».
«Noi abbiamo portato la nostra rabbia nella musica, senza portare odio e senza creare danni collaterali. Possiamo risolvere le cose senza terrorizzare o brutalizzare le persone intorno a noi. Sono convinto che siamo al mondo per unire e per fare la differenza». Venire da un posto come Le Val Fourré costringe a portarsi dietro pregiudizi e stereotipi con cui è inevitabile fare i conti.
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«Sono cresciuto qui e ci sono sempre stati dei pregiudizi. È una città che fa parlare di sé negativamente e noi da quando siamo giovani combattiamo contro questi stereotipi. Arrivavamo ai concerti con il nostro look da ragazzi di Le Val Fourré e poi salivamo sul palco con i nostri costumi tradizionali. Avevamo un’immagine, ma portavamo una forza che parlava di altro».
Incontro Mamadou nel Centro dove ha iniziato a suonare da bambino e dove oggi coordina l’area musicale. «Venire in luoghi come questi ti da il diritto di sognare. Le persone che vengono qui hanno in comune il fatto di avere gli occhi pieni di sogni. È un luogo fatto per questo. In un posto come Le Val Fourré Dio mette sempre delle persone belle perché ci sia una forma di equilibrio».
Lahoucine, Bocare, Youssef
In un’altra sala del Centro i ragazzi della 1er Avertissment Crew provano le loro figure. Lahoucine, Bocare Youssef, escono dalla sala e si mettono comodi su un divano per parlare con noi. Chiedo subito del nome. «Il nome doveva restare nella testa della gente: questo è il primo avvertimento e non ce ne sarà un secondo». Sono tutti della Val Fourré, anche se di settori diversi, e hanno costruito la crew alla fine degli anni ’90. «Abbiamo iniziato stando nella stessa barca di tutti e in un periodo difficile, perché era il periodo degli scontri».
«Abbiamo tutti un passato un po’ negativo perché tutti abbiamo fatto casino, quello che ci ha salvato è stato il ballo».
«Negli anni abbiamo sempre cercato di portare fuori i ragazzi. Questo è un luogo che ha tirato fuori dalla merda un sacco di gente». Negli anni ’90, Le Val Fourré era diventata tristemente nota per gli scontri tra gruppi di ragazzi e contro la polizia. Da intervento modello di urbanistica si era trasformata in un luogo simbolo del fallimento delle politiche di integrazione.
Bocar mi racconta come hanno vissuto quegli anni. «Tanti amici sono morti negli scontri. Era come in tutti i quartieri della Francia, ma noi avevamo l’impressione che qui fosse più dura. Perché c’era una separazione tra noi e il resto del mondo. Vivevamo nella nostra cupola ed era così. Eravamo separati dal resto del mondo. Mantes è l’ultima banlieue, dopo di noi inizia la Normandia, eppure siamo la banlieue più grande d’Europa».
Gli scontri più violenti erano quelli con la polizia, usata sempre più spesso dallo Stato francese come strumento principale per fare i conti con la rabbia giovanile.
«Quando era la polizia a entrare non c’era discussione, era subito scontro» mi dice Lahoucine. «Per loro non eravamo umani, eravamo come animali. Per un controllo d’identità eravamo insultati e picchiati. Quale che fosse la nostra origine, marocchina o senegalese o turca, era sempre una sporca origine”. La gestione della rabbia giovanile ha avuto due leve: la repressione e la riqualificazione.
«Le famiglie non hanno vissuto la distruzione delle torri come una ristrutturazione, una riqualificazione, ma come una punizione. Quando la nostra generazione è andata in tilt hanno scelto di demolire i palazzi. Abbattere le torri è servito a separare la gente». Essere cresciuti e avere trovato la propria strada impone un debito di riconoscenza. «Ora lavoriamo alla trasmissione verso i più giovani per restituire loro quello che abbiamo ricevuto. I più giovani lo faranno con altri quando saranno cresciuti».
Restituire. Fikri
Restituire. Mi sembra una parola chiave, talmente forte da diventare motivo di orgoglio e cifra identitaria. Talmente forte da spingere a scelte radicali nella propria vita, perché gli altri sono sempre presenti a ricordarti la tua storia, il tuo percorso, il tuo faticoso equilibrio.
Parliamo di questo tornando a casa io e Fikri. Ormai è più dell’una di notte e il quartiere è vuoto e silenzioso. Scherziamo sul fatto che sembra di essere in un quartiere di pensionati e non in un pezzo di Africa in Francia. Scherziamo, ma poi Fikri si fa serio e non trattiene le lacrime.«Vedi, io sono tornato qui perché sento che finalmente sono pronto a restituire quello che ho imparato in giro per il mondo. Ora è il momento».
(continua)
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