In fabula / La rana che bolle

Una rubrica per non dimenticare il valore del patrimonio narrativo mondiale, tra fantasia e attualità

«Ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in noi una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi. Questo è certamente il senso
dei simboli, dei miti e delle leggende: ci aiutano ad andare al di là, a guardare oltre il visibile.
Questo è anche il valore di quel capitale di favole e di racconti che uno mette da parte da bambino e a cui ricorre nei momenti duri della vita, quando cerca una bussola o una consolazione. Di questi miti eterni, capaci di far strada all’anima, in Occidente ne abbiamo sempre meno».

Tiziano Terzani

La rana che bolle

C’era una volta una rana, che gioiosa se ne andava in giro insieme alla sua amica libellula. Le due passeggiavano per la foresta spensierate, fin quando un manipolo di scarafaggi non le circondò. La libellula riuscì a fuggire via, innalzandosi alta nel cielo, mentre la rana venne catturata.

Ma con suo grande stupore, nel mentre che gli scarafaggi la portavano verso il loro villaggio, la rana scoprì che non erano animali malvagi e che non volevano il suo male. Infatti, per quanto non capisse come mai l’avevano acciuffata e la stavano costringendo a seguirli, non si sentiva minacciata, anzi. Pareva che quegli scarafaggi fossero dei veri benefattori, tanto che, appena arrivata al villaggio, con grande gioia scoprì che quei simpatici nuovi amici le avevano preparato una tinozza e la invitavano per un bagno caldo.

Così, dopo essere stata cosparsa di oli e piante profumate dalla tribù di scarafaggi, s’immerse felice nell’acqua ancora fredda, mentre gli animaletti si adoperavano ad accendere un gran fuoco sotto la tinozza, invitando la ranocchia a rilassarsi.

Quella, tutta contenta, si lasciò andare all’acqua della tinozza, che piano piano si scaldava sempre di più. E così felice di quel bagno caldo e quei suoi nuovi amici, non diede affatto ascolto ai consigli della sua amica libellula che, avvicinatasi di soppiatto, la metteva in guardia e l’avvisava di scappare il prima possibile:

“Non è una tinozza quella in cui stai, ma un calderone. E loro non vogliono farti fare un bagno caldo, ma bollirti!”.

Ma la rana continuava a non crederle: “Sei solo invidiosa e i tuoi sono solo stupidi e saccenti allarmismi. Se entrassi qua dentro, scopriresti che l’acqua è magica e tiepida.”

“Ma diventerà bollente e ti squaglierà”.

“Sta tranquilla che non lo farà. E quand’anche fosse, non sono mica stupida: lo sentirei e uscirei per tempo!”.

L’acqua divenne sempre più calda, i sensi della rana si assopirono sempre di più. Il suo cervello s’intontì, le forze e la reattività cominciarono a venirle meno.

Le avvisaglie della libellula divennero sempre più lontane e sbiadite al suo udito, perse tra i suoi sensi ormai annichiliti. E piano piano, scivolò sott’acqua, la rana, tra le bolle che fumavano e la vita che se ne andava.

Al mattino seguente, dopo il gran banchetto, il calderone era stato svuotato e gli scarafaggi ancora dormivano a pancia piena nelle loro tane. Solo una libellula volava nell’aria, sconsolata e sconfitta, a desiderare ancora un destino diverso per la sua amica rana.
Parabola Occidentale

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