Goodluck Jonathan è stato definito dal quotidiano britannico The Guardian un “accidental president”, presidente per caso. Si è trovato sulla poltrona presidenziale nel 2009 quando il presidente eletto, il musulmano Umaru Yar’Adua, è morto improvvisamente. Jonathan era il vicepresidente e malgrado fosse cristiano gli è stato concesso di subentrare alla carica.
Una decisione che non piacque a molti musulmani poiché quello era il “loro” mandato in base al patto non scritto dell’alternanza tra cristiani e musulmani nell’espressione del presidente.
Un patto sempre rispettato dai contraenti a partire dal 1999, anno in cui si pose termine alla dittatura militare per avviare una lunga (e incompiuta) transizione democratica, al punto che nella squadra di governo, accanto a un presidente musulmano, c’era un vice-presidente cristiano, Goodluck Jonathan appunto. Nel 2011 Jonathan si candidò alle presidenziali e vinse con larga maggioranza, anche in quel caso però i musulmani rivendicarono il diritto ad esprimere un presidente.
A complicare il quadro c’è il fatto che, dal 1999, tutti i presidenti sono membri del People’s Democratic Party, partito “di potere” che si è assunto l’onere di gestire l’alternanza guadagnando la fiducia degli elettori al punto che la vittoria dei suoi candidati è sempre stata ampiamente prevedibile.
Questa volta però è diverso. Secondo i suoi avversari Jonathan ha già fatto due mandati presidenziali e deve farsi da parte per consentire l’elezione di un musulmano. Il presidente uscente replica che gli anni in cui è subentrato a Yar’Adua non possono essere considerati come un primo mandato, ed egli ha quindi tutto il diritto di ripresentarsi. La corte suprema nigeriana non ha saputo dirimere la questione, mancando precedenti e una norma costituzionale cui fare affidamento, e così la situazione si è trascinata fino ad oggi, esacerbando lo scontro politico tra musulmani e cristiani già inquinato dalla questione di Boko Haram.
Goodluck Jonathan, professore di zoologia prestato alla politica, già governatore dello stato di Bayelsa, nel Delta del Niger, uno dei pochi capi di stato non militari della storia nigeriana, si è rivelato inadeguato al compito che lo attendeva. Non ha saputo trovare l’appoggio della componente musulmana del suo partito, non ha realizzato nemmeno una delle sue mirabolanti promesse, non ha risolto i problemi dei nigeriani che devono affrontare una disoccupazione al 25%, una corruzione dilagante, la mancanza di scuole e ospedali, l’inadeguata fornitura di elettricità. Soprattutto non ha saputo affrontare in modo deciso e coerente la minaccia rappresentata da Boko Haram e la sua incapacità ha consentito al gruppo di crescere, compiendo azioni eclatanti.
Goodluck Jonathan non è l’uomo adatto a guidare il paese per i prossimi quattro anni, ma il fatto che lo sfidante sia Muhammadu Buhari fa sembrare Goodluck Jonathan l’unica possibile soluzione per evitare che il paese entri in una fase di ancor più acuta incertezza.
Buhari 72 anni, musulmano, generale a riposo, aveva infatti espresso la sua totale approvazione per l’estensione della shari’a nelle regioni del nord e, nel 2012, Boko Haram lo aveva incluso in una lista di persone che il movimento avrebbe accettato come mediatori per un eventuale cessate-il-fuoco. Le simpatie di Buhari verso i jihadisti, anche se dettate dall’opportunismo, non possono essere sottovalutate. Il rischio è che, chiunque vinca tra Jonathan e Buhari, a perdere sia il paese.
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