Clara Capelli da Tunisi
Tunisi. Torni dalla pausa pranzo e ti ritrovi mail, Facebook e Whatsapp intasati di messaggi che ti travolgono per i toni preoccupati: “Ho saputo, come stai?”, “Stai bene? Tutto bene? Fammi sapere!”, “Dove seiiiiiiii?”.
Ti chiedi cosa diavolo sia successo e dopo una breve ricerca scopri che a mezzogiorno alcuni uomini armati avrebbero cercato di irrompere nel Palazzo del Parlamento, nel quartiere del Bardo, cuore delle proteste che nel 2013 contribuirono a sbloccare il processo di transizione tunisino verso l’approvazione della Costituzione e le consultazioni elettorali.
Non riuscendo nel loro intento, gli attentatori si sono rifugiati nel vicino museo, noto per la sua ricca collezione di splendidi mosaici, prendendo in ostaggio i visitatori che si trovavano nell’edificio. Nel momento in cui scrivo, almeno venti persone – prevalentemente turisti – sono morte nello scontro a fuoco.
Ti trovi così a rassicurare tutti i tuoi amici, dicendo loro che sì, stai bene, che abiti e lavori praticamente dall’altra parte della città. Tutto regolare, hamdullah, ringraziamo il cielo. Lontana, distante, la cosa non ti riguarda, fai pure un poco di ironia con i colleghi per i toni apocalittici del tuo papà così apprensivo.
E invece no, perché tu abiti in Tunisia, segui la sua Storia da quando eri una studentessa alle prime armi di lingua araba, quando chiedevi una bottiglia d’acqua in arabo aulico e tutti ridevano, quando le immagini di Ben Ali erano ovunque, letteralmente ovunque, mentre la politica non era da nessuna parte. Ai sit-in al Bardo ci sei stata più volte, delle paure per le infiltrazioni terroristiche hai spesso discusso con tunisini e non.
Il tuo primo pensiero è che, dannazione, questo attacco avrà un effetto catastrofico sul turismo, settore chiave di un Paese dall’economia debole e dalla disoccupazione elevatissima. Come convincere qualcuno ora a venire in Tunisia? Forse solo abbassando ancora i prezzi, svendendosi ulteriormente a un turismo di massa che non conosce altro che i resort sulla costa e la chincaglieria della medina.
Nel mio ufficio tutti hanno un’aria mesta, scoraggiata. Qualcuno addirittura è sull’orlo della lacrime: la rivoluzione del 2011, le proteste del 2013, tutte le lotte per dare un nuovo corso alla Tunisia, tra fallimenti, compromessi e successi; si riparte ancora da zero, perché la forza più grande del terrorismo è di oscurare tutto quanto, occupare in maniera assoluta la scena, accecare.
Tutto spazzato via, rimane solo la paura per la sicurezza. E anche io, in fondo, mi sento come se fossi stata trascinata bruscamente alla casella del via. Di nuovo a duellare contro stereotipi triti, di nuovo a vedere gli sciacalli dell’islamofobia spopolare, di nuovo a constatare che la logica e la conoscenza poco possono di fronte a luoghi comuni che sono sordi e ciechi perché alimentati da paura e pigrizia. Un’opposizione inconciliabile tra il mondo in cui io e tanti altri viviamo e cerchiamo di raccontare e l’immagine che ci viene contrapposta, così simile a un film sulle crociate, magari con la regia di Tarantino.
C’è la Tunisia e ci sono le dinamiche regionali in cui il Paese è inserito. Migliaia di tunisini hanno combattuto e combattono in Siria e Iraq nelle fila di Al-Qaeda, Jabhat Al-Nusra, ISIS. Le cifre variano a seconda della fonte, ma la Tunisia è uno dei principali Paesi di provenienza dei miliziani della galassia jihadista.
Le ragioni sono molteplici, ma questa è un’altra storia ora. L’ISIS ha rivendicato questo attacco, occorrerà verificare la veridicità della cosa e comprenderne le ragioni. L’Islam come Male Assoluto è buono solo per le serie tv americane, ma le trame che si tessono tra Medio Oriente, Nord Africa e Sahel sono di tutt’altro tipo. E vanno combattute con mezzi altri rispetto alla guerra santa.
La settimana prossima Tunisi ospiterà il World Social Forum e quasi in contemporanea si terrà la 31esima edizione della Fiera Internazionale del Libro. Come la Parigi “col nemico in casa”, a gennaio di quest’anno, dietro le quinte di una scena dominata dalla minaccia del terrorismo la vita procede.
L’altra sponda del Mediterraneo è molto più della morte e di una religione che non conosciamo, ma che pretendiamo di appiattire alle sue espressioni più violente. Guardiamo con altri occhi e guardiamo anche altro.
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