Slavoj Zizek è uno di quei pensatori che pone il quesito del confine. Un limes mobile, che scivola tra provocazione e riflessione e tra personaggio e pensatore. Ma non lascia quasi mai indifferenti.
Le sue considerazioni sulla strage di Charlie Hebdo pubblicate sul quotidiano britannico Guardian diventano, elaborate e approfondite, un libro pubblicato in Italia dall’editore Ponte delle Grazie, con il titolo: L’Islam e la modernità – Riflessioni blasfeme.
Un libro interessante, quanto disomogeneo; come se la potenza del flusso di considerazioni scatenate da fatti gravissimi volesse viaggiare libera, senza freni e argini. Il punto di partenza è subito spigoloso: la sfilata dei potenti a Parigi è patetica e ipocrita, almeno come ragionare come si suol dire a ‘mente fredda’, perché “ragionare a mente fredda non è di per sé garanzia di maggior obiettività”.
Il resto delle considerazioni non è da meno: “Contrariamente ai veri fondamentalisti, i terroristi pseudo-fondamentalisti sono profondamente turbati, intrigati e affascinati dalla vita peccaminosa dei non credenti. Si intuisce che, nel peccatore, essi combattono la loro stessa tentazione”. Non possono non venire in mente i profili di quegli autoproclamati martiri contemporanei, passati nel giro di pochi mesi dalle canzoni rap al jihad globale.
Per Zizek, “il conflitto tra permissività liberale e fondamentalismo religioso è in ultima istanza un falso conflitto, un circolo vizioso in cui i due poli si generano e si presuppongono a vicenda”, e chi “non è disposto a criticare la democrazia liberale dovrebbe anche tacere sul fondamentalismo religioso”.
Perché il liberalismo, per avere un senso, ha bisogno della sinistra. Che rende reale e innervato di questioni sociali il liberalismo e il suo ‘lasciar fare’. In quel vuoto che la sinistra ha lasciato, si insinua oggi una pratica violenta che ritiene di aver trovato giustificazione e redenzione in una fede che pratica uguaglianza.
“Il Dio di Qutb e il mercato di Hayek”, sostiene Zizek, muovendosi tra uno dei massimi ideologi dei Fratelli Musulmani (Sayyid Qutb) e Friedrich von Hayek (economista tra i simboli del liberismo), “svolgono perciò una stessa funzione: garantire la libertà personale”. E i fondamentalismi, quello islamico e quello liberista, si avvinghiano come facevano comunismo e anti-comunismo, essendo uno la legittimazione sufficiente e necessaria dell’altra.
Idee forti, originali, ma che a volte lasciano la sensazione di una certa autoreferenzialità teorica, cui manca l’impatto empirico delle strade e dei quartieri di tutto un mondo che Zizek commenta. Ma che per questo non risultano meno stimolanti.
La seconda parte del libro, con piglio provocatorio, si innesta nello stesso humus del finto conflitto che cela una reciproca necessità di rappresentarsi e raccontarsi. L’Islam e la donna, anche se nel limite di guardare a quella islamica come una cultura omogena, lancia una lettura interessante.
“La dipendenza dal femminile è il fondamento represso dell’Islam, è il suo non-pensato, ciò che esso si sforza di escludere, di cancellare, o almeno di governare mediante il suo complesso edificio ideologico, ma che persiste e lo ossessiona, dal momento che è la fonte stessa della sua vitalità”.
Khadijia e la schiava Agar, Sara e Abramo, Isacco e le comuni origini delle tre grandi religioni monoteiste, nelle differenti declinazioni che hanno portato a raccontarsi i differenti precetti, legati – per Zizek – a una necessaria dissimulazione (velo) che presuppone uno svelamento. E negare il velo non è battaglia di laicità, ma un modo per negare l’alterità di un multiculturalismo che non riesce a spiegare le sue ali.
Non bisogna essere d’accordo sempre con Zizek, né con la sua dialettica acuminata, per riconoscergli il dono del contributo intelligente e stimolante. Un libro che non ha paura di esprimere un’idea, in un mondo che sembra rinculare pavidamente verso le granitiche certezze della divisione e della differenza.