Uranio impoverito: «certo il nesso tra esposizione e tumori dei soldati»

Lo stabilisce una sentenza della Corte d’Appello di Roma. «È un macigno giuridico che si abbatte sul ministero della Difesa»

di Nicole Corritore,
tratto da Osservatorio Balcani e Caucaso

È del 26 maggio la notizia della sentenza emessa a carico del ministero della Difesa dalla corte d’appello di Roma in cui viene decretata la «inequivocabile certezza« del nesso causale tra esposizione a uranio impoverito e insorgenza di malattie tumorali.

Lo dichiara l’Osservatorio Militare nel comunicato stampa diramato stamattina in relazione alla sentenza ottenuta dall’Avv. Angelo Fiore Tartaglia dell’Osservatorio Militare in appello:

«È un macigno giuridico che si abbatte sul ministero della Difesa».

«Un macigno che rischia di schiacciare definitivamente ogni tentativo di confondere, nascondere la determinazione di chi ha voluto far luce e dare giustizia ai 317 militari morti e gli oltre 3.600 malati causati da una esposizione senza mezzi di protezione in zone bombardate da uranio impoverito».

La sentenza emessa dalla corte d’appello di Roma riconosce ai familiari del militare deceduto per cancro, contratto in seguito al servizio ricoperto nell’ambito della missione internazionale in Kosovo tra il 2002 e il 2003, il risarcimento di un milione di euro ai quali si aggiungono danni morali e danni per il ritardato pagamento.

Ad oggi sono oltre 30 le sentenze a carico del ministero della Difesa, di cui la maggior parte ormai definitive, che danno ragione a militari italiani ammalatisi o familiari di militari deceduti, seguite dall’avvocato Tartaglia. Sentenze che segnano la storia del cosiddetto caso “Sindrome dei Balcani” scoppiato nel 2001, con l’emergere dei primi casi di militari italiani ammalatisi o deceduti al rientro dalle missioni in Bosnia Erzegovina e Kosovo. Due paesi che erano stati bombardati dalla Nato, nel 1995 e nel 1999, con proiettili all’uranio impoverito (DU), come emerse dalle mappe dei siti bombardati, rese pubbliche dalla Nato in diverse fasi temporali tra il 2001 e il 2003.

Dalle mappe risulta, ad esempio, che in Kosovo nel 1999 la zona posta sotto protezione del contingente italiano fu una delle più bombardate: 50 siti per un totale di 17.237 proiettili.

Da allora è una battaglia: tra chi nega l’esistenza di una correlazione tra esposizione al DU e malattia, e chi sostiene il contrario con numeri di morti e malati alla mano e sentenze di condanna a carico del ministero della Difesa. Si sono susseguite diverse commissioni di indagine, di cui tre inchieste parlamentari tra l’autunno del 2005 e gennaio 2013, mentre lo scorso 22 aprile il parere favorevole della commissione Affari Sociali della Camera ha dato l’avvio all’iter per l’istituzione di una nuova (la quarta) Commissione parlamentare d’inchiesta che dovrebbe partire con i lavori nel secondo semestre del 2015.

Secondo Domenico Leggiero, responsabile del Comparto Difesa dell’Osservatorio Militare, con questa sentenza si mette però la parola fine anche alle numerose commissioni d’inchiesta. Inoltre, Leggiero sottolinea un altro aspetto importante: «Una sentenza del genere potrebbe aprire il caso uranio ad aspetti penali di gravissima entità, d’altronde la sentenza è chiara: inequivocabile certezza anche sul fatto che i vertici già sapevano, ancor prima dell’invio del personale che un’esposizione in zone contaminate da proiettili all’uranio impoverito comportava il probabile rischio di ammalarsi e magari morire di cancro».

 

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