La valle del Mzab paga di nuovo il prezzo della decomposizione del regime algerino
di Karim Metref, tratto dal suo blog Divagazioni
Questi ultimi giorni gli scontri intercomunitari nella città di Ghardaia, nel Centro-Sud dell’Algeria hanno raggiunto livelli altissimi di violenza, provocando decine di morti. Le tensioni tra Mosabiti (berberofoni, musulmani ibaditi) e i Scianba (beduini arabofoni, musulmani sunniti) toccano livelli mai raggiunti prima e le armi da fuoco fanno il loro ingresso. Il bilancio provvisorio è di circa 25 morti e centinaia di feriti. Lo stato algerino si è dimostrato completamente incapace di mettere un termine a questi scontri. Attivisti appartenenti alle due comunità accusano l’utilizzo degli scontri di Ghardaia per saldare conti interni tra i clan rivali dentro il regime algerino.
Ghardaia, chiamata la perla del deserto, è una città millenaria classificata patrimonio dell’umanità. È il capoluogo dell’unica regione, in Algeria, dove complessi abitativi costruiti prima del periodo coloniale sono nello stesso momento normalmente abitati e in ottimo stato di conservazione. Le cittadine-fortezze della valle del Mzab (nome dell’area geografica) devono la loro costruzione e la loro conservazione alla minoranza religiosa dei Mosabiti.
I Mosabiti sono una comunità che parla ancora la lingua tamazight (berbero), la lingua originaria dei paesi del Maghreb. Sono di religione musulmana ma appartengono a un rito, detto Ibadita, che è oggi molto minoritario nel mondo musulmano. Gli Ibaditi si trovano, oltre che nella valle del Mzab, in pochi altri luoghi. Il sultanato dell’Oman (con circa 900.000 abitanti) è attualmente l’unica nazione dove la confessione maggioritaria è l’Ibadismo. Poi ci sono altre sacche sparse come Zanzibar, l’isola di Djerba in Tunisia e il Gebel Nefusa e Zuara in Libia.
Oltre ai Mosabiti, nella valle del Mzab vive una tribù di beduini arabi, gli Scianba. Una convivenza pacifica che dura da secoli dovuta a una complementarità economica tra le attività delle due comunità: Agricoltura, artigianato e commercio per i Mosabiti, allevamento di bestiame e trasporto via carovana per gli Scianba.
Una complementarietà che è venuta meno con la modernità. Oggi se da una parte la laboriosa e discreta comunità mosabita non conosce né crisi né disoccupazione, gli Scianba soffrono di tutti i mali di cui soffre il Sud Algerino: disoccupazione dilagante, miseria, droga, violenza, diffusione di traffici illegali e della criminalità organizzata. Oltre alla convivenza tra le due comunità, il capoluogo della provincia, Ghardia, è diventato una città abbastanza grande dove sono arrivati molti nuovi residenti provenienti da altre regioni del paese.
Violenze ricorrenti
Gli scontri violenti tra le due comunità sono segnalati fin dai primi anni dell’indipendenza del paese (anni 60′). Spesso scaramucce tra giovani che qualche volta portano a risse tra qualche decina, raramente centinaia, di persone da una parte all’altra. Alla fine delle quali le autorità locali e nazionali, con l’aiuto di notabili e saggi delle due parti hanno sempre saputo riportare la calma.
Ma dal 2013 fino ad oggi, il governo algerino e le autorità locali sembrano non poter o non voler riportare la calma. Gli scontri si sono fatti più frequenti, coinvolgono più persone, fanno più danni sia economici che umani. E per la prima volta nella storia di questi scontri, armi da fuoco e bande organizzate fanno la loro apparizione. Gli appelli che circolano sui social media portano gente proveniente anche da fuori dalla Valle del Mzab per prendere parte a uno scontro che perde l’appellativo “Mosabiti contro Scianba” per prendere quello (alla moda degli scontri interconfessionali che insanguinano il medio Oriente) “Sunniti contro Ibaditi”.
Questa settimana, gli scontri hanno preso forme e dimensioni mai viste e hanno prodotto circa 25 morti (numero riconosciuto dalle autorità algerine) e centinaia di feriti. Bande di uomini incappucciati e qualche volta armati con fucili e pistole scorrazzano per tutta la provincia di Ghardaia su camion e pick-up. Sembra di essere a Benghazi o in Siria, in uno di quei paesi in cui lo Stato non c’è più.
Il silenzio di Algeri: imbarazzo o complicità?
Invece in Algeria lo stato c’è. Militarmente è più forte che mai. Il paese non era così militarizzato neanche durante il decennio nero della guerra degli anni 90′. “C’è un posto militare ad ogni incrocio, come possono circolare liberamente le orde di predoni che arrivano da tutte le parti del Sud del paese”- si chiedono gli attivisti mosabiti. Decine di video su Youtube fanno vedere teppisti che lanciano pietre stando accanto ai poliziotti, gruppi che attaccano poi si ripiegano per mettersi sotto la protezione delle forze anti-sommossa, poliziotti in divisa che partecipano allegramente al saccheggio dei negozi della comunità mosabita…
Non si sa dove finisce la complicità spontanea di poliziotti che si schierano per sensibilità o disonestà personale e dove inizia un piano voluto per mettere la provincia a fuoco e a sangue. Quello che si a è che finora poco è stato fatto per mettere fine agli scontri. E che i finti dialoghi improvvisati davanti alle telecamere della Tv nazionale erano tra così detti “notabili” delle due parti a cui nessuno riconosce un minimo di rappresentatività.
Sono anche in molti ad interrogarsi di fronte al silenzio e all’immobilità di Algeri di fronte alla tragedia che colpisce la valle del Mzab: sono dovuti all’imbarazzo o alla complicità? O forse a entrambe le cose? Quello che succede a Ghardaia e nel resto del Sud algerino supera, verosimilmente, di molto le questioni di rivalità tra gruppi culturali e religiosi e trova radici nelle questioni che riguardano la corsa alla successione al posto del presidente Bouteflika moribondo da un po’ di anni e alla gestione delle enormi ricchezze del sottosuolo del Sud algerino.
Un risveglio tardivo è meglio di niente
Adesso che questa questione, che si trascina da 3 anni, ha raggiunto un livello critico che rischia di attirare l’attenzione della stampa internazionale, Algeri si sveglia. Il presidente ha convocato ieri una riunione di emergenza e decide di mettere la provincia sotto controllo diretto dell’esercito. Le forze armate presidieranno le città. Il presidente ha dato direttiva al Comandante militare di zona di “controllare l’operato delle forze dell’ordine”. Un riconoscimento implicito dell’inaffidabilità delle forze di polizia locali.
Le misure prese sono giudicate tardive e insufficienti dalla maggior parte delle forze politiche algerine.
Ma in attesa di una riconciliazione vera basata su una negoziazione e un dialogo tra figure veramente rappresentative delle due parti e anche di altre forze sociali e politiche in campo, si spera che la forza di interposizione militare possa portare a questa provincia martoriata almeno un po’ di tranquillità per leccarsi le ferite e cercare di trovare nella saggezza della sua popolazione la forza per ritornare a una tradizione di convivenza che dura da più di mille anni…
Un altro pezzo su Ghardaia scritto per Reset qualche mese fa: Algeria: ancora scontri nella valle del mzab