Postcards from Greece

Fotoreportage da un’isola delle cicladi, nel giorno del referendum

testo e foto di Giuseppe Candela

Alle 3 di un caldo pomeriggio estivo, il quorum è stato raggiunto: 150 abitanti dell’isola egea avevano già lasciato la propria scheda nell’urna.

Makis, il più giovane dei due scrutatori, riassume bene lo stato d’animo degli isolani incontrati nei giorni precedenti: distacco per quello che sta succedendo nei palazzi del potere (troppo distanti dagli impegni quotidiani delle terre da fresare o delle barche da riverniciare) misto a rabbia e orgoglio per il trattamento che sta subendo la popolazione greca.

Dopo aver lasciato il suo paese d’origine nella Tessaglia, da qualche anno Makis è rientrato da Berlino, per seguire su un lembo di terra delle piccole cicladi la sua compagna, vincitrice di un contratto precario a 450 euro al mese come insegnante di musica presso la scuola locale. Lo stesso edificio dove Makis sta registrando i nomi dei votanti.

La vita sull’isola scorre lenta e piacevole, mi racconta, lontana dagli stress della metropoli: d’estate i pochi che non guadagnano dalla presenza straniera, vivono le giornata come lupi della steppa. Il resto dell’anno invece si passa tra lavori manuali, pomeriggi di pesca e serate di chiacchiere e bevute all’unico bar del paese aperto tutto l’anno, dove capita di veder sedute allo stesso tavolo a discutere, persone che vanno dai 12 ai 60 anni.

Gli emigranti di ritorno sono poi i più attivi animatori della vita sociale (invernale) dell’isola, con proposte sportive e culturali extrascolastiche. Gli inverni quindi trascorrono sereni, con un ritmo lento che asseconda quello della natura. Unici inconvenienti possono essere i giorni di mare mosso senza collegamenti con la terraferma e le altre isole o la mancata ricezione del segnale telefonico o di internet per qualche settimana. Cosa, quest’ultima (ci tiene a precisare), che non lo infastidisce assolutamente.

I convenevoli riservati all’arrivo di Alexandros – “storico” elettore dell’isola nato nel 1926 a pochi passi dalla scuola, per l’occasione accompagnato dalla moglie Aphrodite – interrompono lo scambio di opinioni.

Dopo qualche minuto però sono già ripresi, con l’intervento dell’altro scrutatore che, inserendo un cd in uno stereo da lui stesso portato a scuola, mi chiede, con fare di sfida, di indovinare canzone o cantante.

La melodia mi ricorda le canzoni di Paolo Conte ma vengo subito corretto: è Sergio Cammariere, mi fa lui, e inizia a cantare ad alta voce: Cosa avrebbe un senso, Sotto a questo cielo immenso, Niente più sarebbe vero. Intanto il pomeriggio trascorre e si avvicina l’ora della chiusura dei seggi. La perdita di interesse nei confronti dell’improvvisato cronista in bermuda insieme ad un rinnovato afflusso di persone mi fanno capire che è arrivata l’ora di togliere il disturbo: saluto i presenti e faccio per andare verso l’uscita ma la mano di Makis mi blocca la spalla. Mi giro e, salutandomi, mi mostra con fiera circospezione il suo portafogli, su cui aveva incollato un piccolo adesivo arancione in cui distinguo a stento tre lettere: O, X e I.