Il paese dove si dorme male

Intervista a Nello Trocchia, il giornalista del Fatto Quotidiano minacciato dalla camorra

di Enrico Natoli

Quando contatto Nello Trocchia, giornalista che scrive per Il Fatto Quotidiano e realizza servizi e interviste per la trasmissione televisiva “La Gabbia”, mi risponde in modo asciutto: “Non parlo di quello che mi è successo”. Quello che gli è successo dunque lo scrivo io, a beneficio di chi non ha letto o ascoltato notizie a riguardo. Secondo quanto emerge dalle cronache gli investigatori hanno intercettato una conversazione in cui un boss della camorra con il fratello parla di Nello in modo tale che nessuno di noi vorrebbe stare al suo posto. Passato un mese lo Stato non ha ancora assegnato nessuna protezione al giornalista campano.

In un paese come il nostro non è la prima e non sarà l’ultima volta che un giornalista viene minacciato per ciò che scrive, ma è importante capire come mai i giornalisti debbano temere seriamente di svolgere il loro lavoro.

Se si tratti – nel caso delle minacce – di casi isolati, oppure sia un fenomeno talmente connesso al nostro vivere quotidiano che ormai ci facciamo caso in pochi. E poi, se qualcuno pensa di zittire Nello, mi pare importante diffondere la sua voce, amplificarla, prendendosi ognuno per quel che può una parte di responsabilità.
“Io sto in montaggio, se mi dici presto così torno a lavorare”. Il nostro colloquio inizia così ed è il segnale che non c’è tempo da perdere né spazio da concedere alle domande dei giornali “veri”: quelle che chiedono “Come ti senti in questo momento?” aggrappandosi alle viscere dei lettori ed impedendo qualsiasi ragionamento utile.

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Nello, vorrei partire dal fatto che Renzi chiama i mafiosi di Roma Capitale ladri. Non ha mai pronunciato la parola mafia.

Roma Capitale ha svelato una serie di reati funzionali al sistema mafioso, reati di corruzione a volte anche aggravata. Possiamo parlare anche di una sottovalutazione, comunque io non mi appenderei alle parole. Per me conta di più che la legge per lo scioglimento dei comuni infiltrati dalle mafie sia stata di fatto incenerita. Quando dalla comoda poltrona di “Porta a porta” si annienta la legge è molto più grave di usare una parola al posto di un’altra. Mentre la Commissione d’accesso stava ancora terminando i lavori presso il Comune di Roma e non aveva ancora consegnato la relazione al prefetto di Roma Gabrielli, Matteo Renzi dichiarava che non ci sarebbe stato nessuno scioglimento per infiltrazioni mafiose. È un caso più unico che raro, perché nel processo di scioglimento di un ente locale il Presidente del Consiglio ha un ruolo preciso. Renzi ha anticipato l’esito dei lavori vanificando il lavoro della Commissione. Roma non sarà sciolta per mafia per questioni di gestione politica e perché c’è un Giubileo straordinario alle porte. A questo punto tanto vale cancellare la legge, avrebbe più senso.

Sai perché mi stupisce la definizione “ladri”? Ho la sensazione che la politica, quando non è assente, in grave ritardo o collusa, preferisca aspettare il lavoro della magistratura. Salvo poi tacciare i magistrati di protagonismo o di ingerenza nella sfera politica.

Parlare di politica in generale non ha molto senso. In questi anni ci sono state evidenti distrazioni da parte del mondo politico. La responsabilità politica si ha quando si alternano classi dirigenti e governi di sponde diverse e rispetto a palesi violazioni nessuno interviene mai.
Quando è esploso il caso Cerroni, ossia si è prefigurata secondo la Procura un’associazione delinquere a carico del gestore di Malagrotta, qualcuno si è stupito. Io meno, perché erano anni che andavo raccontando che non si è mai raggiunto il 65% di raccolta differenziata e mantenendo aperta la discarica si disattendevano le indicazioni europee. Di fronte alle palesi violazioni la risposta politica è stata la concessione continuata nel tempo di proroghe per aggirare le leggi. Chi ha governato ha atteso che si muovesse la magistratura mettendo ai domiciliari Cerroni e coinvolgendo diversi funzionari pubblici nell’inchiesta. Solo in seguito la classe politica si è risvegliata dal suo sonno. Nel frattempo si è compiuto un danno sia ai conti pubblici che alla salute dei cittadini. in un libro avevo indicato anomalie e violazioni nella gestione dei rifiuti nella capitale. A Roma ho fatto pochissime presentazioni, non c’era alcuna volontà di dibatterne.
Su Mafia Capitale si può raccogliere un’estesa rassegna di dichiarazioni che mostra la sottovalutazione di quanto accadeva, a partire da quelle dell’ex Prefetto Pecoraro. A giudicare solo dal quinquennio della gestione Alemanno non era poi così difficile comprendere il sistema che si andava consolidando.

Nel tuo lavoro incontri decine di persone, sono cittadini come tutti noi. Ti sei fatto un’idea di quale sia il ruolo dei singoli cittadini in questo contesto?

È complicato rispondere. Penso che abbiamo una responsabilità enorme nella battaglia quotidiana alla mafiosità intesa come sistema di valori. Ciascuno ha un suo ruolo in questo contesto.
Io faccio sempre l’esempio che per organizzare un “giro bolla”, un traffico illecito di rifiuti, realizzare una discarica c’è bisogno non solo del boss che metta a disposizione i terreni, ma anche di un trasportatore, di un avvocato, dell’architetto che fa il progetto, del consulente, dell’ingegnere. Una catena di figure professionali, insomma, fatta da cittadini. Se li chiamiamo “colletti bianchi” rischiamo di farne una categoria astratta: parliamo invece di cittadini che si prendono la responsabilità di contribuire al sistema malavitoso. Ognuno di noi può scegliere di opporsi o di assecondarlo. Lo stesso succede quando parliamo di abusi edilizi, di saccheggi nelle città. Questi avvengono con il contributo degli uffici tecnici dove ci sono professionisti, sono cittadini anche loro. È difficile immaginare un sistema malavitoso che si basi unicamente su politici e boss.

Vorrei chiudere sul dato che l’Italia è il settantatreesimo paese al mondo nella classifica della libertà d’informazione. Si può uscire da questo piazzamento scomodo?

Quello che ho detto sull’onda di quanto mi è accaduto si può riassumere in due punti fondamentali: il primo riguarda la questione delle “querele temerarie” e le richieste di risarcimento in sede civile; il secondo sono senza dubbio le intimidazioni. Il combinato disposto di questi due elementi contribuisce molto ad appesantire la libertà d’informazione in questo paese. Poi dovremmo ragionare sulla qualità degli editori, molto spesso “impuri”, che hanno interessi che vanno al di là della pubblicazione di contenuti. È anche questo un discorso molto ampio che meriterebbe un approfondimento a parte. Certamente non sono solo i camorristi a limitare la nostra libertà di informare ma anche i potentati politici, economici e territoriali. Si dorme male non solo quando si viene minacciati ma anche quando le richieste di risarcimento in sede civile sono di enorme entità; quando l’editore è piccolo o medio e di fronte a questo scenario preferisce assecondare i diktat di un politico o dell’imprenditore di turno invece di pubblicare un’inchiesta, così magari potrà anche usufruire di una sponsorizzazione.
È un problema molto complicato. Non penso che ci sia in giro molta voglia di discuterne né di scalare la classifica di cui parli se non per peggiorare la nostra posizione. Al momento io ho visto solo colleghi al mio fianco, spesso precari come me, figli del lavoro. Sono il mio ordine professionale.

Saluto Nello e lo immagino che torna al suo lavoro di montaggio. Non so come si senta, non posso neanche immaginarlo e non ci provo. Penso che sia assurdo vivere in un paese dove all’improvviso diventiamo tutti massimi esperti di faccende greche e non facciamo una piega se i giornalisti, invece di fare il lavoro che spetta loro, devono essere intervistati perché non possono lavorare con serenità.