nei sobborghi della capitale senegalese. Colori e sensazioni dalla città che conclude il mese di digiuno
testo e foto di Paolo Riva, da Dakar
Il tassista indica un punto nel cielo di fronte a lui con fare concitato. «L’ho vista, l’ho vista!» dice al passeggero che però pare non osservare bene quanto lui. Intanto, nel traffico frenetico di Dakar, un cavallo con un carretto taglia la strada all’auto e i ragazzi che lo guidano confermano: «È là, è là!». E in effetti, tra i colori del tramonto e qualche nuvola sparsa, si intravvede una sottile falce di luna.
È la luna nuova che, con il suo sorgere, segna la conclusione del mese di Ramadan, periodo di digiuno e penitenza per i musulmani. Anche per quelli senegalesi, che rappresentano oltre il 90 per cento della popolazione.
Per loro, è arrivato il momento di celebrare la korité, il nome locale della festa dell’id al fitr che, dopo quella del sacrificio, è la ricorrenza più importante dell’anno islamico. E più attesa. Lo testimoniano le code di donne fuori dalle macine con i loro contenitori zeppi di miglio, necessario per uno dei piatti tipici della festa. Lo confermano le file di auto e bus che lasciano la capitale per portare intere famiglie nei loro luoghi natali. Lo certificano le occhiaie di Malick, che fuori dal suo laboratorio si concede un breve momento di riposo. Di lavoro fa il sarto e che, nell’ultima settimana, ha tagliato e cucito anche la notte per riuscire a consegnare tutti i vestiti che gli sono stati commissionati.
Sono gli stessi boubou, i completi tradizionali tunica e pantaloni, che la mattina della korité affollano le strade di HLM Grand Yoff, quartiere di recente costruzione tra l’aeroporto e il centro della capitale.
HLM Grand Yoff
La preghiera delle nove, la più importante della giornata di festa, non si tiene in moschea ma sotto un tendone montato in uno spiazzo di terra rossa. Sullo sfondo lo stadio di Dakar che dedicato al primo presidente del Senegal, il cattolico Léopold Sédar Senghor. La maggior parte dei fedeli arriva a piedi, con il tappeto per pregare sotto braccio. Non pochi, invece, giungono in auto, alcuni con dei Suv di grossa cilindrata, simbolo della crescita della classe media che in questa zona di città spesso e volentieri ha trovato casa. In un contrasto marcato, sono loro i primi obiettivi dei bambini talibés, gli alunni delle scuole coraniche, affidati dai genitori ai maestri che le gestiscono e che troppo spesso li costringono a vivere in condizioni indegne, senza una vera educazione, vittime di soprusi e violenze.
Scalzi e malvestiti, con una latta sottobraccio per raccogliere le offerte, si aggirano tra i due tendoni montati per l’occasione. Il primo, per le autorità religiose e gli uomini, è decisamente sottodimensionato e costringe molti fedeli a pregare sotto il sole, già forte. Il secondo, più proporzionato, è riservato alle donne. Tra i vestiti dai colori sgargianti e i veli per coprire la testa, c’è anche una vecchina di 87 anni. Magra, ossuta, con le rughe che le scavano il volto e gli occhi profondi e vispi, è insieme al nipote, un affettuoso bambino su per giù di dieci anni. Al termine della preghiera, la riaccompagna a casa tenendole il braccio. Lui, racconta, ha digiunato solo il primo e l’ultimo giorno di Ramadan. La nonna, invece, l’ha fatto per tutto il mese. “Se Dio mi ha fatto arrivare a questa età mi sembra giusto farlo”, dice. Accanto a lei, che procede lenta sulle strade sterrate del quartiere, una lunga e caotica processione. La korité è una festa di pace, spiegano: è un’occasione per chiedere perdono per quanto di spiacevole successo durante l’anno.
Golf Sud
Lo stato dell’edificio a due piani e della sua terrazza è inversamente proporzionale al numero delle persone che vi entrano ed escono. È a Golf sud che, rispetto a HLM Grand Yoff, è una zona di Dakar più popolare, vicina al mare, sulla parte settentrionale della penisola di Cap Vert sulla quale si allunga la capitale. La casa ha la terrazza cadente e il primo piano inagibile, ma al suo interno risuonano chiacchiere e risate. È mezzogiorno e il caldo toglie energie, ma nel cortile attorno al quale si svolge tutta la vita della casa è un continuo via vai di parenti e vicini in visita per la korité. “In Italia si è tutti chiusi dentro a chiave. Qui no”, dice Mama, che nel nostro Paese ha vissuto per poi tornare a Dakar.
In un giorno di festa come questo, l’impressione è che questa socialità sia ancora più forte, più sentita, al culmine. E infatti, al rientro dalla preghiera, dopo aver mangiato insieme il thiakry, un dolce tipico fatto di miglio e yogurt, la giornata in cui si festeggia la fine del Ramadan scorre in maniera, a prima vista, normale. A fare la differenza sono gli incontri. Guinée, per esempio, ha invitato la ragazza che l’ha aiutata a curare la casa e crescere i suoi figli e che, oggi, a sua volta, è arrivata con una bambini di pochi mesi. Doudou che vive in Italia da quasi un trentennio, invece, per la prima volta dopo 26 anni è riuscito a tornare a Dakar per la korité e ha deciso di trascorrerla viaggiando per i quattro angoli della città, per fare visita ai fratelli rimasti in Senegal.
Pikine
Una delle sorelle maggiori abita a Pikine. Tra il serio e lo scherzoso, alcuni sostengono che il nome di questo dipartimento della regione di Dakar sia una storpiatura di Pechino, dal momento che la zona è densamente popolata. In effetti, nel corso del pomeriggio, con la temperatura che comincia un poco a scendere e la brezza che dal mare inizia a salire, le sue strade sono invase dagli abitanti. Ripensando alla quiete della mattina, durante la preghiera, o alla rottura del digiuno durante il mese di Ramadan, il contrasto è evidente. Mentre in quei momenti vitalità e caos tipici della capitale sembravano come sospesi, ora ritornano a palesarsi con tutta la loro forza. E con ancora più colore del solito: quello dei vestiti della festa.
Ad essere particolarmente eleganti sono i bambini che, per tradizione, durante la korité girano di casa in casa, a gruppetti, per chiedere piccole offerte in denaro, che puntualmente ricevono.
Nell’abitazione della sorella di Doudou, una vedova sessantenne che abita con i figli in tre stanze con grandi immagini religiose alle pareti, nonostante non ci sia un grande benessere, hanno preparato un intero contenitore colmo di monete, pronte per essere donate. I piccoli, compiti e silenziosi, entrano con educazione, salutano, allungano la mano, ricevono qualche franco CFA e, ringraziando, proseguono alla volta della prossima tappa, fino a sera inoltrata. Anche Moussa ha ingrossato il loro bottino. Nella sua bella abitazione parla dei suoi progetti futuri. Dopo oltre vent’anni in Italia, sta pensando di rientrare a casa.
“Per ora, sono rimasto qui alcuni mesi, ma sto facendo molta fatica a re-integrarmi”, confessa. Spesso, quando parla dei suoi connazionali, usa il “loro” anziché il “noi”, più volte ripete che ormai si sente brianzolo e confessa che molti aspetti della vita senegalese lo lasciano interdetto. Si lamenta dell’energia elettrica che manca spesso e volentieri, della polizia che è inaffidabile e corrotta, dell’assenza dello Stato in molte parti del paese. Eppure, complice il lavoro da commerciante che a Milano non rende più come in passato, medita comunque di tornare definitivamente in patria. Al tempo stesso, però, riconosce che la socialità e le relazioni in questo giocano un ruolo importante. E la korité ne é un esempio lampante. “L’atmosfera di giorni come questi è davvero bella” ammette.
Guinaw Rails
A Guinaw Rails, invece, la maggior parte degli abitanti è emigrata dalle campagne del Paese in questo povero e degradato insediamento, nato a metà anni ’90 per la crescente urbanizzazione. Anche qui, nonostante cominci ad imbrunire, le precarie strade del quartiere sono vivaci e animate. I vestiti eleganti però sono meno numerosi. Le treccine, che altrove ornano le teste delle donne, sono meno frequenti. E ancor più rare quelle con le perline colorate delle bambine più piccole. Non le hanno né Fatou né la sua bambina che vivono nella stessa casa della nonna. Tre generazioni in due stanze semibuie.
L’arrivo dei parenti per la festa, però, è accolto con grande entusiasmo: Doudou è venuto a far visita alla maggiore delle sue sorelle, quella che l’ha cresciuto. Per lui e gli altri ospiti, si va immediatamente al negozio vicino per acquistare delle bevande gassate in bottigliette di vetro. La korité è un’occasione per incontrarsi, per chiedere come vanno le cose, per ascoltare problemi, dare consigli e, a volte, anche un sostegno. Come fa Doudou che, al momento dei saluti, prima di uscire di casa, senza dare nell’occhio, mette nelle segnate mani della sorella alcune banconote. Fuori, la corrente va via, come capita spesso a Guinaw Rails. I pochi e fiochi lampioni si spengono. La luna si fa ancora più scintillante. Ma, ora che la koritè si avvia alla conclusione, nessuno sembra farci più tanto caso.