di Marta Clinco
Il padiglione della Siria a Expo non c’è. “Problematiche di natura politica e socio-economica”, “questioni di politica internazionale, guerre in corso”: questo si leggeva su uno dei comunicati ufficiali pubblicati poco prima dell’apertura.
Ma per la giornata internazionale di solidarietà con la rivoluzione siriana, attivisti sia italiani che siriani del Comitato di sostegno al popolo siriano hanno organizzato un presidio a Milano, proprio alle porte di Expo, ingresso Rho Fiera.
Milano ad agosto è deserta. I visitatori in coda ai tornelli pensano ancora alle vacanze: davanti ai cartelli bilingue e alle immagini forti abbassano lo sguardo e affrettano il passo. Accanto agli striscioni “Stop bombing Syria”, “Save Syrian Children” alcune fotografie mostrano gli effetti degli attacchi con armi chimiche: la maggior parte delle vittime sono donne e bambini.
Ricordano il massacro della Goutha – area situata nella regione di Damasco – il bombardamento chimico al gas sarin sotto cui il 21 agosto di due anni fa persero la vita tra le 1500 e le 1700 persone. L’attacco non ha ancora un responsabile, almeno ufficialmente. I ribelli accusano il governo. Assad ricambia, nonostante siano ormai ampiamente documentati i casi di bombe al cloro sganciate su zone abitate da elicotteri governativi.
Da quando a inizio marzo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha condannato l’utilizzo di armi chimiche a seguito della diffusione del video girato a Sarmin, Idlib, in cui medici disperati tentavano di rianimare tre bambini siriani morti in seguito a gravi difficoltà respiratorie causate dal gas, sarebbero già più di venti i casi di bombardamenti chimici accertati dagli attivisti in loco e dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani.
È curioso ricordare di come Al-Assad abbia aderito da tempo ormai alla Chemical Weapons Convention, documento della Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons che regolamenta e proibisce l’utilizzo di armi chimiche – e di come Stati Uniti e Russia stiano ancora cooperando per far passare una risoluzione delle Nazioni Unite che obblighi definitivamente il presidente siriano a smantellare l’arsenale chimico che ancora possiede, nonostante abbia acconsentito nel 2013 a distruggere le scorte.
Le indagini su quanto è accaduto dall’inizio della guerra civile sono tutt’ora in corso a livello internazionale. A fronte di prove ed evidenze, al-Assad continua a negare l’utilizzo di armi chimiche da parte governativa. Definire la responsabilità degli attacchi è necessario, e resta l’unico modo per rendere giustizia e dignità ad un popolo che da quattro anni ormai vive la propria tragedia quotidiana in cui le bombe continuano a uccidere civili, donne e bambini.